di Eugenio Roscini Vitali

E’ dalla pagoda Shwegu di Pakokku che il 31 ottobre scorso è ripartita la protesta dei monaci Buddisti contro il regime del generale Than Shwe, Capo del Consiglio di Stato per la pace e lo sviluppo (Spdc) dal 23 aprile 1992 e Comandante delle Forze Armate - Tatmadaw Kyi - che da 15 anni governano l’Unione di Myanmar nella paura e nella repressione e che soffoca con la violenza qualsiasi forma di opposizione. Pochi giorni prima, a New York, l’Organizzazione non governativa Human Rights Watch (Hrw) ha pubblicato una relazione sull’attuale stato dei diritti umani nell’ex Birmania. Nella relazione è contenuto un allarme inquietante: per far fronte alla crescente fenomeno della diserzione e alla mancanza di volontari, le Forze Armate rapirebbero, comprerebbero o costringerebbero gli adolescenti ad arruolarsi tra le fila dell’esercito. Si tratterebbe di un sequestro per migliaia di bambini strappati dalle proprie famiglie per diventare parte attiva di un regime tirannico che ormai va avanti dal 1962, anno in cui fu destituito il governo democratico di Thakin Nu da un colpo di stato militare condotto dal Generale Ne Win. Un incubo che ricorda il dramma dei bambini soldato in Cambogia, in Uganda, in Congo, nella Sierra Leone, in Liberia, in Rwanda e in molti altri stati, una tragedia che probabilmente non ha né confini spaziali né temporali e che si ripete ogni giorno davanti agli occhi del mondo intero.

di Carlo Benedetti

Nel periodo sovietico era una massoneria del silenzio, ma prima della Rivoluzione bolscevica aveva avuto periodi di splendore. Aveva dalla sua parte, ancora nel 1917, Kerenskij e tutto il suo governo. Poi il netto calo e quindi, con Gorbaciov la ripresa di ogni attività. Si deve appunto al fondatore della perestrojka e al suo diretto collaboratore Aleksandr Jakovlev (accusato un tempo di essere un “muratore” di una loggia moscovita) se è tornata attiva inglobando giornalisti, scrittori, deputati, avvocati, diplomatici e affaristi di ogni risma che operano negli ambienti dell’amministrazione comunale della capitale. Ora i “nuovi massoni” escono decisamente allo scoperto invadendo tutti i gangli della società russa. Prendono in mano settori della diplomazia e della politica, delle istituzioni e delle banche. Stabiliscono rapporti diretti con le massonerie di altri paesi e dominano la vita di molti media.

di Giuseppe Zaccagni

Da Belgrado parte un nuovo allarme per il Kosovo: “Se si dovesse giungere alla situazione estrema di concedere ad una parte del nostro territorio serbo l’indipendenza, sarebbero violati i principi cardine del diritto internazionale, si calpesterebbe la carta dell’Onu, si annullerebbero i risultati dell’Atto di Helsinki, sarebbe destabilizzata l’intera area occidentale dei Balcani e potrebbero scoppiare nuovi conflitti armati”. Parole forti. A pronunciarle è Goran Bogdanovic, uno dei massimi esponenti della direzione slava, membro del team negoziale per la questione kosovara. La sua dichiarazione arriva pochi giorni prima dell’incontro che inizia oggi a Vienna e viene valutata, dagli osservatori internazionali, come una vera e propria dichiarazione di guerra dal momento che non sono escluse azioni di rivolta che, ovviamente, sarebbero scatenate da quanti, a Pristina, non vogliono staccarsi dalla madrepatria serba. Secca la risposta che arriva da parte degli albanesi che, invece, soffiano sul fuoco della contrapposizione etnica. E così il presidente di Tirana, il veterinario Bamir Topi, esce allo scoperto per sostenere, in modo ufficiale, che il Kosovo “deve essere indipendente”. Esclude categoricamente un ritorno alla situazione preesistente al 1999 e prospetta una soluzione geopolitica completamente nuova.

di Raffaele Matteotti

Sospensione delle garanzia costituzionali, nomina d’autorità di un nuovo presidente della Corte Costituzionale, radio e Tv chiuse, stato d’assedio. Queste le ultime decisioni del dittatore pachistano Musharraf che vedono la situazione nel paese diventare di ora in ora sempre più critica. Ma non è che l’ultima delle performance alla quale il padrone del Pakistan ha abituato il mondo intero ad assistere. Negli ultimi anni, infatti, Musharraf ha dovuto superare molte difficoltà. Ma ha sicuramente le qualità necessarie per permanere al potere, visto che è riuscito a sopravvivere a più di sette attentati, alla minaccia di Bush di riportare il Pakistan all’età della pietra, all’ostilità talebana e di al Qaeda e anche allo scarso gradimento che riscuote presso il resto dei suoi compatrioti. Quest’anno Musharraf ha deciso un giro di vite contro i fanatici islamici, che si è concretizzato nell’ormai famosa distruzione della Moschea Rossa ad Islamabad. Da allora le cose per il suo governo sono decisamente peggiorate. Stretto tra gli americani che gli chiedevano durezza verso i santuari talebani in Waziristan e i partiti di ispirazione islamica che gli chiedevano conto dell’ostilità verso i correligionari, Musharraf sembrava aver accettato a malincuore un accordo per una parziale transizione del potere.

di Daniele John Angrisani

Che fine han fatto i prigionieri 'fantasma' della CIA? E' questa la domanda che si pongono in molti a Washington, non ultimo il principale quotidiano della capitale, il Washington Post, che proprio ieri ha pubblicato una inchiesta sul destino dei prigionieri dimenticati della guerra al terrorismo. Stiamo parlando di quei detenuti di alto grado che, sin dall'inizio della guerra, erano stati nascosti all'opinione pubblica e detenuti in alto segreto nelle carceri della CIA. Lì la gran parte di loro era stata sottoposta ad un regime di detenzione che, secondo tutte le norme internazionali, verrebbe definito di tortura e che solo i consulenti legali della Casa Bianca si ostinano ancora oggi a chiamare in modo diverso. Sta di fatto che poco più di un anno fa, il 6 settembre 2006, per rispondere alle proteste internazionali, il presidente Bush aveva deciso di chiudere definitivamente queste carceri segrete (o almeno affermare di averlo fatto) e trasferire 14 tra i più importanti detenuti di Al Qaeda nel carcere di Guantanamo. Tra questi il presunto organizzatore degli attentati dell'11 settembre 2001, Khalid Sheikh Mohammed, ed il suo vice, Ramzi Binalshib. Eppure, come fa notare il Washington Post, da allora all'appello mancano ancora circa 30 detenuti. Cosa è successo loro?


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