di Luca Mazzucato


Alcuni mesi fa, avevamo raccontato della manifestazione che si svolge tutti i venerdì da quasi tre anni, nel villaggio palestinese di Bil'in, in West Bank. Il muro dell'apartheid, che dalla Linea Verde si snoda nella profondità dei Territori, ha rubato centinaia di ettari appartenenti al villaggio, per annetterli alla vicina colonia illegale israeliana: olivi secolari e terre coltivate, sottratti ai legittimi proprietari adducendo i soliti “motivi di sicurezza.” La scorsa settimana, la Corte Suprema israeliana ha accolto la petizione degli abitanti di Bil'in e ordinato al governo Olmert di abbattere il muro e ricostruirlo lasciandone fuori i terreni del villaggio. Un vero e proprio schiaffo per chi sostiene che il muro serva a proteggere Israele: la Corte ha infatti sconfessato il governo e messo a nudo il sistema di corruzione che lega le imprese di costruzione israeliane alle colonie illegali in continua espansione in West Bank. Millecinquecento persone hanno festeggiato a Bil'in lo scorso venerdì, con il primo ministro dell'ANP in West Bank Salam Fayyad e alcuni parlamentari arabi-israeliani. Per dimostrare che, laddove il confronto militare fallisce miseramente, le mobilitazioni non-violente della popolazione possono fare davvero la differenza.

di Maura Cossutta

La ricerca della verità non è separabile dalla ricerca della libertà. Con buona pace - si fa per dire - delle gerarchie vaticane. Il progresso della conoscenza umana non ci sarebbe stato senza l’insopprimibile libertà del pensiero. Quando questa libertà è stata sottoposta a coercizioni ed umiliazioni, la conoscenza si è arrestata. E il buio delle coscienze ha sempre trascinato con sé arretratezza sociale, disuguaglianze, guerre, povertà, distruzioni. Senza libertà del pensiero sono cresciute e crescono le società e i regimi autoritari. Si dovrebbe ripartire da qui; e soprattutto la Chiesa dovrebbe ripartire da qui, quando si accinge a rilanciare crociate per la Verità. Verità Assoluta, s’intende, cioè quella di Dio. Ma quando e come la Chiesa ha aiutato il progresso della conoscenza e quindi il progresso dell’umanità? E’ una semplice domanda, che però nessuno fa più. Da sempre la Chiesa ha piegato alla verità assoluta di Dio ogni campo della conoscenza, prima la filosofia, poi la scienza, oggi la biologia (l’economia no, è zona franca). L’unica possibile conoscenza doveva e deve continuare ad essere “ancilla domini”. Conoscenza “sana”, laicità “sana”: è la Chiesa a certificare e a prescrivere. Forse Galileo Galilei è tornato tra noi o comunque noi siamo sprofondati nel Seicento.

di Giuseppe Zaccagni

E’ ancora lunga la strada che dovrebbe portare ad una soluzione del problema del Kosovo. In questo prolungato ristagno della crisi, c’è una nuova tappa prevista per fine mese. Questa volta si esce dai confini europei per sbarcare a New York, dove le delegazioni della Serbia e dell’Albania si troveranno a confronto con la troika di quei mediatori che rappresentano Usa, Russia e Unione europea. Prima di questo vertice ci sarà una riunione dei ministri degli Esteri di Usa, Russia, Inghilterra, Italia, Germania e Francia, che fanno parte del “Gruppo di Contatto”. Ma tra questi paesi le differenze, a proposito del rapporto con Belgrado, sono notevoli. C’è il capo della diplomazia russa, Serghiej Lavrov, che ha già messo in guardia gli interlocutori americani sul fatto che per Mosca esiste una questione sulla quale va tirata una "linea rossa", da non oltrepassare. Il riferimento è ben preciso: è lo status del Kosovo, alla cui indipendenza dall'alleata Serbia la Russia si oppone strenuamente. Decisa - e di segno nettamente contrario - la posizione dell’Albania. Paese che rivendica il territorio kosovaro presentandolo come area di interesse nazionale in quanto abitata da una maggioranza albanese. E così il portavoce di Tirana, Skender Hyseni, parla a nome del Kosovo e dichiara: ''Pristina è sempre pronta a partecipare a tutti gli incontri che saranno proposti dalla troika perchè il nostro obiettivo è chiaro, è l'indipendenza della regione”.

di Daniele John Angrisani

La grande partita per il Cremlino del dopo Putin è definitivamente iniziata. Dopo giorni in cui si speculava in continuazione su questa possibilità, oggi pomeriggio il primo ministro russo, l'oscuro e spento tecnocrate Mikhail Fradkov, ha deciso di rassegnare le dimissioni sue e del suo intero governo nelle mani del presidente russo, Vladimir Putin, che le ha accettate immediatamente. La notizia è rimbalzata immediatamente in tutta la Mosca che conta: nei minuti successivi le televisioni ed i siti web russi sono stati infatti inondati di dichiarazioni di analisti politici e parlamentari della Duma che si attendevano a momenti la nomina di Sergei Ivanov, fino ad oggi il principale candidato alla successione di Putin, come primo ministro. Tale prospettiva era stata rafforzata dalle parole di colui che viene definito il "Karl Rove del Cremlino", ovvero Gleb Pavlovsky, che alla televisione russa aveva affermato che il prossimo primo ministro sarebbe stato "inequivocabilmente" anche il candidato presidente alla successione di Putin. Si può dunque immaginare facilmente lo shock del mondo politico russo, e non solo, quando Boris Gryzlov, lo speaker della Duma e segretario del partito filo-Putin Russia Unita, ha affermato dinanzi ai giornalisti che il presidente Putin aveva appena nominato nuovo primo ministro Viktor Alekseyevich Zubkov.

di Daniele John Angrisani

Sono passati sei anni esatti dall'11 settembre 2001, il giorno che ha cambiato il mondo e, mentre in America si svolgono, sempre più sottotono, le celebrazioni per ricordare gli "eroi dimenticati" di quella giornata, anche nel resto del mondo oggi ci si ferma per riflettere. Cosa è cambiato da allora? E' un mondo migliore o peggiore? Si poteva fare qualcosa per evitarlo, e soprattutto si potrà evitare un'altra carneficina del genere? Tutte domande alle quali ora è impossibile dare una risposta circostanziata. Ma si tratta pur sempre di domande che si porranno anche negli anni a venire ed a cui solo gli storici in futuro potranno dare una risposta definitiva. Ciò che è sicuro è che molte cose sono cambiate da allora, ma altrettante sono rimaste uguali. L'America quel giorno si è scoperta per la prima volta da decenni vulnerabile a ciò che accade nel resto del mondo, anche e spesso soprattutto a causa delle sue politiche. La più grande superpotenza economica, militare e politica mondiale ha visto così il suo centro colpito a sangue dall'arma più improbabile che potesse essere usata a questo scopo: quella flotta aerea che aveva rappresentato in molte parti del mondo il simbolo della potenza americana, con i suoi stendardi e l'aquila a due teste.


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