- Dettagli
- Scritto da Administrator
- Categoria principale: Articoli
- Categoria: Esteri
di Emanuela Pessina
BERLINO. Sono gravi le condizioni di Dietrich Wagner, l'ingegnere in pensione di 66 anni che ha subito lesioni agli occhi durante gli scontri degli ultimi giorni fra polizia e manifestanti a Stoccarda, nella Germania del Sud. Si tratta del controverso progetto Stoccarda 21, la mega infrastruttura che dovrebbe andare a sostituire la vecchia stazione della città: oltre il 50% dei cittadini manifesta da settimane contro il progetto, ma di questo, alla politica, sembra importare ben poco. E dopo la escalation degli ultimi giorni, ora si riflette sulle cosiddette "democrazie moderne" e su quanto effettivamente i cittadini abbiano ancora la possibilità di far valere la loro opinione rispetto a quella dei politici che - paradossalmente - hanno scelto.
Da settimane i manifestanti avevano occupato il Mittlerer Schlossgarten, il parco che verrà sacrificato a Stoccarda 21, incatenandosi agli alberi. Le forze dell'ordine hanno usato cannoni ad acqua, spray al pepe e manganelli per intimare lo sgombero: risultato, centinaia di feriti, tra cui soprattutto scolari e pensionati, uno di questi, appunto Dietrich Wagner. E Wagner, per il momento, continua a non vedere: le sue palpebre sono lacerate e sembra che le ferite abbiano addirittura raggiunto la retina; i medici hanno già appurato che il cristallino è andato distrutto e, in futuro, dovrà essere sostituito con uno artificiale.
E ora la linea di demarcazione fra cittadini e politici si fa sempre più dura, arrivando a toccare gli strati più profondi delle coscienze: le immagini di Wagner sanguinante hanno procurato imbarazzo e offesa anche a chi prima non si interessava della questione. "Attenzione, confine tedesco-tedesco tra popolo e politici" avverte un cartellone appeso sopra i sigilli della polizia presso il cantiere nel cuore dello Schlossgarten. I politici stanno tentando in tutti i modi di convincere i loro cittadini della convenienza di Stoccarda 21: ma la spaccatura sembra destinata a non rimarginarsi.
Stoccarda 21 prevede la costruzione da zero di un'enorme stazione iperfuturistica nel parco di Mittlerer Schlossgarten, il cuore verde di Stoccarda. Oltre al consueto edificio esterno, la stazione dovrebbe andare a svilupparsi anche nel sottosuolo: i binari principali del raccordo attuale verranno spostati sottoterra e, secondo le rosee prospettive di politici e ingegneri, lo spazio risparmiato alla superficie permetterà uno sviluppo più armonico della città attualmente divisa dalle vie ferrate. Dalla nuova stazione partirà inoltre una nuova linea metropolitana simile alla S-Bahn di Berlino, un treno di superficie che costituirà un'ulteriore comodità per turisti e cittadini e che collegherà la città direttamente all'aeroporto. Da un punto di vista internazionale, la stazione servirà ad agevolare la comunicazione ferroviaria tra Parigi e Budapest.
Ma i cittadini di Stoccarda non sembrano aver accolto con entusiasmo l'idea e si oppongono con tutte le loro forze a un progetto inutile e dispendioso. Stoccarda 21 costituirebbe, innanzitutto, uno shock ecologico enorme per la città. Per far spazio alla stazione si dovrà cementare buona parte dello Schlossgarten e si renderà necessario l'abbattimento di centinaia di vecchissimi alberi al suo interno. Senza contare l'inquinamento che comporterebbero gli innumerevoli anni di cantiere previsti: i lavori per la costruzione della stazione lascerebbero tracce di deterioramento indelebili sulla parte di verde rimanente e nella vita quotidiana dei cittadini.
E chi si sta muovendo contro Stoccarda 21 non dimentica neppure il lato pratico della questione, quello che interessa anche i meno sensibili. Un progetto così avveniristico non può che costare molto: le ultime stime non definitive prevedono una spesa di oltre 10 miliardi di Euro.
La ristrutturazione della vecchia stazione di Stoccarda costerebbe sicuramente meno, accusano i cittadini, e con gli avanzi si potrebbe andare a migliorare le infrastutture già esistenti, così da migliorare effettivamente la qualità della vita nella città. Alcuni studi dimostrano addirittura l'esistenza di insicurezze a livello di tecnica, che rendererebbe pericolosa la costruzione del tunnel previsto per i binari di circa 60 Km.
"In quale altro posto della Germania se non qui avrebbe potuto prendere forma un progetto così futuristico?", si è limitato a commentare con orgoglio Stephan Mappus (CDU), il Ministro-Presidente del Baden-Württemberg, riferendosi con orgoglio alla "sua" Land, una tra le più ricche della Germania.
Ma purtroppo per lui non sono solo Verdi, Die Linke e SPD a chiedere l'immediata sospensione del progetto: anche la maggior parte dei cittadini ne chiede lo stop. E sorge spontanea una domanda: fino a che punto si può impedire alla maggioranza dei cittadini di Stoccarda di decidere della loro città in nome del progresso?
- Dettagli
- Scritto da Administrator
- Categoria principale: Articoli
- Categoria: Esteri
di Michele Paris
Senza alcun intervento del Congresso americano, il 31 dicembre prossimo cesseranno i generosi tagli alle tasse voluti dall’amministrazione Bush nove anni fa. In campagna elettorale il presidente Obama aveva promesso di prolungare i benefici fiscali per la cosiddetta classe media statunitense, ma di eliminare i tagli per i contribuenti più ricchi. A meno di un mese dalle elezioni di medio termine, tuttavia, la maggioranza democratica non ha avuto il coraggio di affrontare un tema così avvelenato come quello delle tasse, rimandando ogni decisione a dopo il voto, quando un rinvigorito Partito Repubblicano con ogni probabilità sarà in grado di ottenere condizioni favorevoli per i redditi più alti.
I provvedimenti adottati in materia fiscale dalla precedente amministrazione tra il 2001 e il 2003, pur non avendo contribuito al progresso economico degli Stati Uniti, hanno determinato un ulteriore allargamento della forbice tra i redditi più alti e quelli più bassi. Soprattutto, i tagli alle tasse tuttora in vigore hanno prodotto un deficit enorme. Il costo complessivo per le casse pubbliche è stato finora di almeno mille miliardi di dollari, mentre per il prossimo decennio, nel caso i tagli venissero resi permanenti, il costo stimato è di qualcosa come tremila miliardi di dollari.
In un clima politico come quello di Washington nel quale da qualche mese a questa parte la preoccupazione più diffusa è precisamente quella dell’insostenibile deficit, è singolare come né i democratici né i presunti falchi in materia fiscale - i repubblicani - abbiano saputo trovare un compromesso per eliminare la principale causa del rosso di bilancio (assieme alle guerre in Iraq e Afghanistan). Nelle intenzioni di George W. Bush al momento della stesura della legge che stabiliva i “temporanei” tagli alle tasse, vi era probabilmente la speranza che nove anni più tardi i membri del Congresso non avrebbero permesso un ritorno alle aliquote precedenti per non essere accusati di aumentare il carico fiscale. Una previsione che si sta appunto materializzando in queste settimane.
Secondo l’attuale regime, lo scaglione fiscale nel quale rientrano i redditi più elevati gode di una aliquota del 35 per cento, mentre i redditi più bassi del 10 per cento. Nel caso venissero eliminati i tagli alle tasse, l’aliquota massima e quella minima tornerebbero rispettivamente al 39,6 e al 15 per cento, con quelle intermedie aggiustate verso l’alto di conseguenza.
Il voto previsto un paio di settimane fa al Senato è stato rimandato a dopo le elezioni del 2 novembre che rinnoveranno gran parte del Congresso americano. L’intenzione dei democratici era teoricamente di far approvare una misura simile a quella sostenuta da Obama, cioè allungare la durata dei tagli fiscali per i redditi al di sotto dei 200 mila dollari per un contribuente singolo, e di 250 mila dollari per una famiglia, e porre fine invece ai benefici per i redditi superiori.
Buona parte degli stessi senatori democratici, ovviamente con redditi ben al di sopra dei 200 o 250 mila dollari, ha visto però apparire lo spettro di essere accusati di voler alzare le tasse nel pieno di una gravissima crisi economica. Con una campagna elettorale in molti casi ancora tutta da decidere, agire in questo modo, dal loro punto di vista, avrebbe servito un clamoroso assist ai repubblicani. Nella realtà dei fatti, metter fine ai tagli alle tasse per i più ricchi incontra il favore della maggioranza degli americani. Per questo, l’inerzia democratica non farà altro che scoraggiare altri elettori da qui ai primi di novembre.
L’incapacità di passare un provvedimento che cerca di fare pagare, sia pure modestamente, una parte del costo della crisi ai redditi più alti è poi la dimostrazione di quanto si siano ormai spostati a destra i termini del dibattito politico negli Stati Uniti. Tanto più che il mancato voto sui tagli alle tasse non è dovuto all’ostruzionismo repubblicano, bensì alla contrarietà di svariati senatori democratici, palesemente a favore del prolungamento degli stessi tagli per quella minima parte dei contribuenti che accumula enormi fortune.
Oltre a quanti si sono dichiarati contrari allo stop dei tagli alle tasse per i più ricchi, c’è poi un gruppo di senatori che preferirebbe prolungarli complessivamente per un anno o due, in attesa di tempi migliori. Ogni rinvio, tuttavia, non farà che assegnare un maggiore potere decisionale al Partito Repubblicano, nettamente in testa nei sondaggi per le elezioni di medio termine.
Un qualche voto da parte del Congresso entro la fine dell’anno ci sarà comunque, in caso contrario tutti i tagli voluti da Bush termineranno al 31 dicembre. Ad occuparsene sarà così quella che viene definita una “lame duck session” del Congresso, verosimilmente sotto le pressioni dei repubblicani freschi di successo alle urne, cioè un Parlamento che si riunisce quando è già stato eletto il suo successore, anche se il mandato di quest’ultimo non ha ancora avuto inizio.
Nel tentativo di dare seguito alla sua promessa, il presidente Obama negli ultimi giorni sta tardivamente insistendo sulla necessità di riportare le tasse ai livelli antecedenti al 2001 per i redditi superiori ai 250 mila dollari, che rappresentano appena il 2.5 per cento dei contribuenti americani. Visto l’umore all’interno del suo stesso partito, tuttavia, le possibilità che il Congresso possa muovere in questa direzione sono praticamente nulle.
Rinunciando ad un confronto con l’opposizione sul tema delle tasse, il Partito Democratico ha così offerto un altro successo alla retorica repubblicana. Allo stesso tempo, la vicenda rappresenta una nuova mortificazione della base elettorale democratica che si appresta a voltare le spalle ad un presidente e ad una maggioranza sempre più lontani dai bisogni dei lavoratori e di quella classe media che continuano a pretendere di voler rappresentare.
- Dettagli
- Scritto da Administrator
- Categoria principale: Articoli
- Categoria: Esteri
di Emanuela Pessina
BERLINO. La Germania ha festeggiato i vent’anni dalla Riunificazione ufficiale e lo ha fatto in grande stile, ma i cittadini tedeschi non possono astenersi da una riflessione più profonda sui risultati effettivi di tale evento storico. Uno studio pubblicato in questi giorni dall'Istituto Statistico Federale (Destatis), infatti, mostra che il processo di compensazione e riequilibrio tra ex-Repubblica Democratica Tedesca (RDT) ed ex-Repubblica Federale Tedesca (RFT) è arrivato a una fase di stagnazione.
Destatis ha condotto un confronto statistico di ampia portata tra quelle che furono le due Germanie proprio per valutare l’eventuale divario ancora esistente: dietro i lustrini e i colori dei festeggiamenti, alla Germania non resta che prendere atto di quella che tanti amano ancora oggi definire la “Riunificazione imperfetta”. Dal 1990 a oggi la popolazione dell'ex-Germania dell'Est è calata dell'11.7% a causa di una forte emigrazione e di una diminuzione delle nascite non indifferente, mentre la “fu” Germania Ovest ha registrato un aumento complessivo dei residenti.
In vent’anni, dall'ex- RDT se ne sono andati quasi due milioni di cittadini, molti dei quali si sono trasferiti proprio a Ovest. Inoltre, se le nascite sono diminuite in tutta la Germania, a Est il calo è stato nettamente maggiore, raggiungendo una percentuale del 38% rispetto al 22% dell'Ovest. L’unico dato che accomuna la quotidianità della nuova Germania unita è l'aspettativa di vita, ormai praticamente la stessa. Secondo le statistiche, tuttavia, la popolazione dell'Est invecchia prima a causa di quelle sfavorevoli condizioni economiche generali che, d’altra parte, potrebbero stare proprio alla base della diminuzione degli abitanti.
Perché, a quanto pare, nell’ex- RDT regna una situazione d’insicurezza economica che ancora oggi sembra influenzare le condizioni sociali complessive. Come i dati sull’occupazione che, purtroppo, non sembrano incoraggiare i cittadini tedeschi a trasferirsi a Est. Tra lo stipendio medio della parte orientale della Germania e quello della parte occidentale esiste ancora una differenza tangibile: nel 2008 lo stipendio medio di un cittadino dell'ex-RDT è stato di 15mila Euro annui, mentre il tedesco medio dell’Ovest ha raggiunto i 20mila euro.
A questo proposito, gli analisti rilevano un’interessante anomalia. Le retribuzioni dell'Est sono aumentate vertiginosamente fino al 1997, per poi stabilizzarsi e stagnare fino a oggi. Se confrontate ai compensi dell’ex- RFT, nel 1991 l'aumento è stato del 43%, nel 1996 del 73% e, dopo questa data, di percentuali trascurabili.
Ma le cattive notizie non sono ancora finite: a quanto sembra, anche la disoccupazione, da sempre più diffusa a Est, non accenna a trovare un equilibrio. Nel 2008 il tasso di disoccupazione è stato del 13% a Est e del 6.4% a Ovest:: il rischio di povertà continua quindi a essere più alto nella parte occidentale della Paese, praticamente doppio. E ciò nonostante gli ottimi risultati complessivi sfoggiati dalla “locomotiva d’Europa” negli ultimi mesi: a settembre 2010 il numero totale di disoccupati tedeschi è sceso a 7.2%, il tasso più basso registrato negli ultimi diciotto anni in Germania.
L’unico punto su cui la Germania unita sembra aver raggiunto l'equilibrio è, quasi beffardamente, quello dei consumi: se si considerano le spese per telefono, televisioni, cellulari e lettori mp3, le uscite dei cittadini sono in pratica le stesse in tutto il Paese. E questo nonostante le diverse entrate di cui dispongono i cittadini: un traguardo da ricondurre, forse, alla prepotenza dell’economia di mercato impostasi dopo la caduta del Muro.
L’ex- RDT mostra comunque anche un primato d’onore, e cioè nel campo dell’educazione. A Est, la quota dei diplomati raggiunge in media il 41%, superando di gran lunga la media nazionale, che si attesta attorno al 30%. Nella maggior parte delle Laender orientali la percentuale della popolazione che termina le scuole superiori raggiunge addirittura il 61%: un numero elevatissimo se confrontato con il ricco Sud tedesco, dove la percentuale media di diplomati scende a un cittadino su sei.
Equilibrio nei bisogni e nell’educazione, dunque, ma non nelle possibilità offerte per dar loro soddisfazione: sembra essere questo il risultato statistico di vent’anni di Riunificazione. "La forbice ha ripreso ad allargarsi", ha commentato Udo Ludwig dell'Istituto per la ricerca di Halle (Est). "Gli svantaggi dell'Est ne impediscono l'ulteriore sviluppo e l'Ovest continua a essere più innovativo e quindi più concorrenziale". Anche se i cittadini tedeschi non si lasciano spaventare dai numeri e sono ormai arrivati alla conclusione più logica, anche se scontata: successo o delusione, la Riunificazione è tutta una questione individuale. Nonostante gli sforzi politici ed economici che vi stanno dietro. E nonostante tutti la vogliano interpretare con la storia e con le statistiche.
- Dettagli
- Scritto da Administrator
- Categoria principale: Articoli
- Categoria: Esteri
di mazzetta
Facili profezie quelle che vedevano il presidente Zardari correre incontro al fallimento prima ancora che il suo partito vincesse le elezioni. Gli Stati Uniti avevano lavorato a lungo per offrire un'uscita onorevole a Musharraf, l'ex capo dell'esercito golpista sarebbe diventato presidente e Benhazir Bhutto avrebbe potuto correre alle elezioni grazie alla rimozione del limite dei mandati e alla condanna all'esilio che aveva accettato invece di finire in galera per corruzione.
L'accordo lasciava fuori l'ex primo ministro Sharif, nelle stesse condizioni di Bhutto, ma il suo partito non era negli interessi degli americani. L'idea degli americani era quella di una transizione verso un governo capace di sottomettere l'esercito all'amministrazione civile e di allontanarlo da suggestioni e personaggi troppo vicini all'islamismo radicale, con il quale ormai da decenni i potentissimi servizi segreti pachistani intrattengono rapporti utilitaristici quanto evidenti.
Benhazir però è morta in una strage che ha colpito il suo corteo elettorale e al governo ci è andato il marito, “Mr 10%”, come lo chiamano i pachistani. Da allora si può dire che non ne abbi presa una, ha fatto cadere Musharraf dalla carica presidenziale e accettato il ritorno di Sharif spingendo in teoria il paese verso la democrazia, ma ha fatto ha testate con l'apparato giudiziario sostenuto dall'opinione pubblica, si è rivelato come d'abitudine più incline a badare ai propri interessi che a quelli del paese e il paese è affondato come prevedibile.
Per gli americani non ne è venuto niente di buono, l'esercito pachistano ha accettato l'intervento americano sul territorio nazionale e ha lanciato una grande offensiva contro talebani e associati senza che le cose migliorassero stabilmente.
Poi sono arrivate le alluvioni, e mentre Zardari stava nella sua casa a Parigi i pachistani hanno potuto contare solo l'esercito, il governo è rimasto afono e impotente. Tanto afono che nel mondo la catastrofe pachistana ha avuto un'eco relativa, come relativamente congrui sono stati gli aiuti internazionali per i soccorsi, appena più congrui delle scarsissime donazioni in moneta sonante. Se a giustificare parzialmente la taccagneria Occidentale ci può essere l'impressione che il Pakistan sia un paese nemico abitato da nemici, per il resto del mondo vale la regola che dare denaro al governo Zardari significa arricchire il presidente.
Così siamo da capo, i pachistani guardano di nuovo all'esercito come all'elemento unificante e costituente dello stato, l'unica istituzione affidabile, onesta, moderna e laica per quanto profondamente musulmana. Il che pone ancora una volta le condizioni ideali per un golpe che, a fronte di un tale fallimento, più d'uno considera già necessario. Per i pachistani, piagati da un sistema politico, tipicamente asiatico, nel quale i partiti fanno capo a un'oligarchia corrotta che si riproduce lungo le linee delle dinastie familiari più in vista, l'esercito è per definizione “meno corrotto” delle alternative civili.
L'esercito, al quale storicamente è stata affidata senza interferenze anche la “difesa” dall'India, è stato a lungo il vero gestore della politica pachistana e, come in Turchia, ha sviluppato una mistica sui suoi doveri verso il paese. Mistica che prevede il dovere di salvare il paese quando i ladroni esagerano, il che nella storia pachistana accade invariabilmente a scadenze abbastanza regolari.
Il nuovo capo dell'esercito e papabile dittatore è il generale Kayani, istruito nelle accademie occidentali e considerato ben disposto verso gli Stati Uniti, almeno fino a prova contraria. Prova contrari che sembra essere stata raggiunta in questi giorni, quando il Pakistan per protestare contro i bombardamenti americani sul suo territorio, prima con i droni e ora con gli elicotteri, ha chiuso il passo del Kyber e tagliato i rifornimenti agli americani. Per una notevole coincidenza gli americani hanno anche perso un intero convoglio che trasportava benzina, colpito in Pakistan da un gruppo di militanti non ancora identificato.
La pressione americana non aiuta, dall'amministrazione arrivano indicazioni spesso dissonanti e Obama sembra quasi intenzionato a spostare il baricentro dei combattimenti in Pakistan, almeno stando ad alcune sue dichiarazioni in questo senso e all'osservazione dell'aumento degli attacchi in Pakistan. I generali pachistani però dispongono del temibile deterrente atomico e un attacco aperto al Pakistan è impensabile perché non è possibile paralizzare le capacità nucleari pachistane. Il nucleare, voluto per fronteggiare la minaccia indiana e finanziato da Arabia Saudita, Iran e Libia è tanto caro ai militari pachistani, che negli anni lo hanno coccolato e ne hanno tratto grandi soddisfazioni e prestigio.
Per questo quando nel 2003 si è scoperto “ufficialmente” il traffico nucleare verso Libia e Iran, Musharraf ha accusato di tutto un solo scienziato, il padre del nucleare pachistano. Nello stesso momento in cui Musharraf accusava lo scienziato in televisione, ne annunciava il perdono. A. Q. Kahn, il padre del nucleare pachistano, si è fatto un po' di domiciliari e ora è di nuovo sulla cresta dell'onda.
Nessuna americano ha potuto interrogarlo, nonostante a Washington volessero tanto. Lo stesso Musharraf, pur deposto e oggetto di gravi accuse, vive libero e sereno, molto più di prima, quando da dittatore è stato bersaglio di almeno sei attentati di quelli seri e pesanti.
Difficilmente Kayani si discosterà dalla tradizione pachistana, probabilmente tratterà a viso aperto con gli Stati Uniti mettendo sul tavolo le inderogabili esigenze dell'esercito pachistano, identificandole con l'interesse nazionale. Zardari è ormai appeso alla volontà dell'esercito, privo di legittimazione morale e il suo governo è sostenuto solo dai pochi che non si rassegnano alla gestione militare, mentre i partiti politici cercano impossibili alchimie e inedite alleanze per sostituirlo. Un compito improbo, in un panorama politico frammentato e paralizzato dai veti incrociati di un'oligarchia incapace di evadere un copione, che la vede corrotta e inadeguata ai compiti che si è riservata.
- Dettagli
- Scritto da Administrator
- Categoria principale: Articoli
- Categoria: Esteri
di Eugenio Roscini Vitali
Il primo attacco ai siti atomici iraniani è stato sferrato: il weapon system si chiama Stuxnet, il virus in grado di riprogrammare i sistemi SCADA (Supervisory Control And Data Acquisition, controllo di supervisione e acquisizione dati) utilizzati per il monitoraggio e la gestione delle reti informatiche e dei grandi complessi infrastrutturali e industriali che utilizzano PC dotati di sistema operativo Windows e software WinCC e PCS 7.
Non è certo il primo attacco cibernetico che colpisce la Repubblica islamica, ma fino ad ora sembra quello meglio riuscito: fonti israeliane hanno rivelato che nel 2008 il Mossad utilizzò alcune società ombra per vendere all’Iran una partita di sistemi contenenti un virus che si sarebbero dovuto sviluppare una volta entrato in rete e nel 2009 sarebbe stato lo stesso presidente americano, Barack Obama, ad autorizzare un progetto “top secret” che prevedeva un’offensiva elettronica contro il progetto nucleare iraniano.
Nonostante le rassicurazioni del vice direttore della Società per la Tecnologia Informatica del Ministero dell'Industria iraniano, Hamid Alipour, che minimizza il numero dei computers colpiti a circa 30.000, e le sprezzanti dichiarazioni del direttore dell'Organizzazione per l'Energia Atomica dell'Iran (Oeai), Ali Akbar Salehi, che parla di fallito tentativo di danneggiare i piani nucleari iraniani, in Iran il virus potrebbe aver già infettato milioni di pc.
Secondo tecnici occidentali il vero bersaglio del virus sono i sistemi che coordinano le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio di Natanz e la centrale di Busher, attivata lo scorso agosto con l’assistenza dei tecnici della Atomstroyexport, la compagnia russa specializzata nella costruzione di reattori di terza generazione che in Iran sta portando avanti il progetto del nucleare civile. Stuxnet aveva fatto la sua prima comparsa a metà luglio in Bielorussia e ad isolarlo era stata la VirusBlokAda, società con sede a Minsk che opera nel settore della sicurezza informatica.
Il malware utilizzava una falla “0day” causata da un bug del sistema operativo Windows e per espandersi infettava i dispositivi USB rimovibili, uno degli accessori per pc attualmente più diffusi. Informata la Microsoft e le altre società di sicurezza informatica, si arrivò ben presto a scoprire che lo Stuxnet attaccava sistemi Windows nei quali erano installati i prodotti Simatic WinCC e PCS 7 (soluzioni Siemens utilizzate per sistemi SCADA) e che per scrivere il codice, di cui esisteva almeno un’altra variante, gli autori avevano rubato i certificati digitali appartenenti a Realtek Semiconductor e JMicron Technology, certificati poi utilizzati per firmare i malware.
Un perfetto caso di spionaggio industriale, dunque, talmente sofisticato che è difficile pensare all’attacco di un pirata informatico isolato: dopo ulteriori analisi, Microsoft è giunta infatti alla conclusione che Stuxnet non utilizza solo l’ormai datata falla MS08-067, impiegata dal malware Conficker per diffondersi nelle aziende, o la famosa MS10-046, quella relativa alla vulnerabilità nella Shell di Windows corretta nell’agosto scorso, ma altre tre: la nuova MS10-061 che riguarda lo spooler di stampa ed è stata corretta da Microsoft con gli aggiornamenti rilasciati a settembre e altre due di cui non si sa ancora nulla.
Chi sta analizzando il codice del virus Stuxnet è certo comunque che è stato scritto da chi ha un’ottima conoscenza del linguaggio utilizzato per la programmazione dei PLC (AWL di Siemens) controllati dai sistemi SCADA, profonda a tal punto da riuscire perfino a nascondere il codice alterato.
I tecnici della Repubblica Islamica non sono ancora riusciti a trovare un antivirus adatto a Stuxnet e sembra che nel tentativo di eliminarlo lo abbiano reso ancora più aggressivo: il virus riesce infatti ad infettare nuovamente una macchina dalla quale è già stato rimosso. La situazione sarebbe talmente grave che le autorità, che si rifiutano di rendere note le modifiche apportate al sistema Scada con cui l'Iran gestisce i suoi complessi industriali e militari; sarebbero addirittura arrivate a chiedere aiuto ad alcuni esperti europei di sicurezza informatica, ma nessuno dei tecnici contattati avrebbe fino ad ora accettato di collaborare.
La paura è che gli stessi creatori del virus abbiano un controllo parziale della situazione e che per quanto riguarda la diffusione siamo solo all’inizio: Stuxnet, che attacca in particolare i programmi utilizzati da Siemens per l'automazione industriale, incluse le piattaforme petrolifere, gli oleodotti e le centrali elettriche, è stato segnalato in Pakistan, India e Indonesia, e in Cina avrebbe già infettato 6 milioni di computer di singoli utenti e quasi 1.000 aziende, interessando molti settori chiave dell’industria del continente asiatico.
Un portavoce della Siemens ha dichiarato che ad Hong Kong le compagnie che utilizzano i sistemi incriminati non sono state ancora attaccate, ma secondo un ingegnere della Rising International Software di Pechino l’allarme è già stato lanciato: tra i clienti della multinazionale ci sono l’aeroporto internazionale di Hong Kong, le ferrovie di Stato, Disneyland, la Clp Power e il Saint Paul Hospital. Secondo alcuni esperti non si saprà mai da dove viene questo virus e ancor meno chi lo ha progettato, ma dall’analisi del codice sembra ci sia un file chiamato “Myrtus”, possibile riferimento al Libro di Ester contenuto nella Bibbia ebraica e nell’Antico Testamento: nei dieci capitoli del libro si parla di una fanciulla ebrea di nome Hadassa (tradotto significa appunto mirto) che, divenuta moglie del re persiano Assuero, sventa un complotto contro gli ebrei ordito dal primo ministro persiano Haman e ottiene dal re il diritto per i giudei di difendersi.