Dopo la clamorosa sentenza emessa lunedì dalla Corte Suprema americana, la natura del governo degli Stati Uniti potrebbe cambiare radicalmente. La maggioranza ultra-conservatrice dei giudici ha riconosciuto una “parziale” immunità legale al presidente, trasformandolo di fatto in un soggetto al di sopra della legge e quindi, per quelle azioni compiute nell’esercizio delle proprie funzioni, non perseguibile potenzialmente per nessun crimine. Il caso specifico riguarda Donald Trump e avrà ripercussioni sulla campagna elettorale in corso e le elezioni di novembre, ma le implicazioni sono molto più ampie e gettano solide fondamenta per la creazione di una vera e propria dittatura presidenziale.

Per la seconda volta nell’arco di poche settimane, il presidente francese Macron ha incassato nelle elezioni anticipate di domenica una pesantissima sconfitta che equivale nuovamente a un netto rifiuto delle politiche anti-sociali e guerrafondaie promosse di comune accordo con i vertici europei. L’aritmetica della distribuzione dei seggi nella prossima Assemblea Nazionale sarà decisa dopo il secondo turno del 7 luglio, ma la scommessa dell’inquilino dell’Eliseo risulta già persa in maniera più che evidente. Quella che non è ancora chiara è invece l’identità del nuovo governo. Anche se l’estrema destra dell’ex Fronte Nazionale, ora “Rassemblement National” (RN), è nettamente il primo partito, possibili alleanze tattiche, patti di desistenza e manovre politiche più o meno esplicite potrebbero alterare notevolmente gli equilibri emersi dopo il primo turno.

I risultati elettorali europei, sebbene abbiano indicato un malessere diffuso tra gli elettori, hanno consentito comunque il mantenimento degli equilibri politici del precedente assetto. E’ arrivata dunque la conferma per Ursula Von der Leyen alla guida della Commissione e del blocco di Socialisti, Popolari e Liberali a sostegno. Sfumato l’allargamento a destra verso i Conservatori: le polemiche dopo l’inchiesta giornalistica che ha fatto emergere l’antisemitismo, il razzismo e le nostalgiche fasciste nel movimento giovanile del partito della Meloni, hanno definitivamente sepolto l’idea di un allargamento della maggioranza al gruppo dei Conservatori europei dei quali Fratelli d’Italia è il maggior esponente e che ora assume il suo naturale ruolo di irrilevanza.

L’appoggio dei fascisti, infatti, sarebbe stato in palese violazione della Carta fondativa della UE ed è stato tassativamente escluso da parte dei socialisti, che tutt’al più, ove necessario per rafforzare la maggioranza a Strasburgo, prevedono l’adesione dei Verdi, ormai innocui, ridotti ad un impasto di liberismo ed atlantismo a tinte green.

La disastrosa prestazione di Joe Biden nel primo dibattito presidenziale di giovedì ha scatenato uno tsunami di reazioni isteriche sulla stampa americana “mainstream”, che chiede improvvisamente il clamoroso ritiro del candidato democratico dalla corsa alla Casa Bianca. Quella in corso in queste ore ha tutti i contorni di una campagna pianificata da tempo che attendeva solo l’occasione propizia per esplodere ed esplorare le modalità per mettere da parte un presidente chiaramente avviato da tempo verso il declino fisico e intellettuale.

Il suggello su questa operazione lo ha messo giovedì il comitato di redazione del New York Times con un articolo nel quale Biden viene sollecitato a ritirare la sua candidatura alla presidenza. I vertici del giornale invitano a prendere atto che l’inquilino della Casa Bianca “non è l’uomo che era quattro anni fa” e che non esiste più alcun “fondamento logico per cui Biden debba essere quest’anno il candidato democratico [alla presidenza]”. Segue poi il riconoscimento di quanto gli americani hanno potuto osservare nell’evento di giovedì, cioè l’evidenza del peso “dell’età e delle limitazioni” fisico-mentali di Biden che rendono impossibile per lui sostenere una campagna elettorale e, tantomeno, un secondo mandato alla guida degli Stati Uniti.

Se rimaneva qualche dubbio sulla natura del piano promosso dagli Stati Unit per dispiegare un corpo di polizia internazionale guidato dal Kenya ad Haiti, una tragica coincidenza avvenuta questa settimana ha provveduto a fugarli completamente, dimostrando il carattere predatorio e repressivo dell’operazione autorizzata formalmente dal Consiglio di Sicurezza ONU lo scorso anno. Proprio mente a Port-au-Prince approdavano i primi 400 dei circa mille agenti kenyani previsti, a Nairobi e nel resto del paese africano andava in scena una feroce repressione della rivolta esplosa contro un pacchetto di austerity approvato dal parlamento su ordine del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Il numero di vittime tra i manifestanti, definiti “traditori” dal presidente William Ruto, recentemente accolto con tutti gli onori alla Casa Bianca, è superiore a venti e anticipa in modo inquietante il trattamento che potrebbe essere riservato alla popolazione haitiana nei prossimi mesi.


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