Le elezioni presidenziali di sabato a Taiwan hanno rispettato l’esito previsto da tutti i sondaggi della vigilia, assegnando un terzo storico mandato consecutivo al Partito Progressista Democratico (DPP) indipendentista. Il successo del candidato alla presidenza, l’ex premier e attuale vice-presidente Lai Ching-te, prospetta quindi un altro periodo di tensioni con la Cina e consente agli Stati Uniti di continuare a disporre di uno strumento per fare pressioni su Pechino nel quadro della rivalità multidimensionale in atto in Estremo Oriente. L’affermazione del DPP ha avuto però dimensioni molto più ridotte rispetto alla precedente consultazione e indica un logoramento del consenso per le politiche di confronto con la madrepatria cinese, nonché uno spazio di manovra più ristretto per il presidente e il suo partito.

La violenza scatenatasi in Ecuador trova ampio risalto nelle reti informative e reazioni diffuse nelle Cancellerie latinoamericane. Tutte unanimi nel condannare la violenza delle bande narcos che seminano il terrore nel Paese, ma solo il Dipartimento di Stato USA propone la sua “assistenza” al governo dell'Ecuador.

La proposta ricorda con qualche brivido come vennero assistite Cile e Argentina, ma non è solo frutto del riflesso pavloviano dell’interventismo USA in America Latina, piuttosto cade ad hoc. In Ecuador, infatti, dall’Agosto del 2023 gli USA hanno avanzato un piano di intervento contenuto nel “Progetto di lotta alla delinquenza organizzata internazionale”.

La nomina del 34enne Gabriel Attal alla carica di primo ministro in Francia segna una nuova fase della presidenza Macron dopo l’implementazione forzata, nel corso del 2023, di due “riforme” profondamente impopolari, la prima delle pensioni e l’altra sul tema dell’immigrazione. La scelta del giovanissimo ex ministro è arrivata dopo un acceso scontro interno al governo e ai vertici della burocrazia d’oltralpe. Attal dovrebbe proiettare un’immagine di rinnovamento e modernità in vista delle elezioni europee del prossimo mese di giugno, con l’ex Fronte Nazionale che continua a essere il principale favorito. Concretamente, il neo-premier presiederà tuttavia a un’ulteriore sterzata verso destra dell’Eliseo, anche se dietro l’apparenza di un progressismo esclusivamente di facciata.

Il quarto tour in Medio Oriente del segretario di Stato americano, Antony Blinken, dall’inizio dell’aggressione israeliana a Gaza si concluderà nuovamente senza una tregua permanente nonostante l’impegno pubblico del governo USA per una de-escalation nella striscia. Anche l’obiettivo di ridurre i pericoli di un allargamento del conflitto rischia di essere disatteso, con le tensioni tra lo stato ebraico e Hezbollah in Libano sempre più vicine al punto di rottura.

Il capo della diplomazia di Washington è arrivato domenica scorsa in Giordania e ha già visitato l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi e il Qatar, prima di approdare martedì in Israele. In tutte le tappe, Blinken ha ribadito come il suo paese intenda continuare ad adoperarsi per stabilizzare la situazione in Medio Oriente, ma un misto di impotenza, paura e duplicità ostacola il raggiungimento di una soluzione pacifica alla crisi in atto.

Alla base del fallimento di Blinken resta il fatto che gli USA sono essi stessi la causa principale dell’escalation di violenza nella regione. In primo luogo tramite il sostegno incondizionato a Israele. Le dichiarazioni pubbliche a favore della pace rimangono parole vuote di fronte alle azioni americane che permettono al regime sionista di continuare a massacrare la popolazione palestinese a Gaza.

Inizieranno questa settimana a L’Aia, in Olanda, le udienze sull’istanza presentata dal governo sudafricano contro Israele in merito al massacro in corso contro la popolazione palestinese a Gaza. I giudici della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) delle Nazioni Unite dovranno stabilire se le azioni dello stato ebraico rientrano nella definizione di genocidio e, nel caso, se emettere un’ingiunzione teoricamente vincolante contro il governo di Tel Aviv per fermare la strage. Il caso si basa su solidissimi elementi di prova, facilmente documentabili grazie alle immagini, alle testimonianze dirette dei fatti e alle stesse numerose dichiarazioni auto-incriminanti di politici e militari israeliani.


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