Per la seconda volta nell’arco di poche settimane, il presidente francese Macron ha incassato nelle elezioni anticipate di domenica una pesantissima sconfitta che equivale nuovamente a un netto rifiuto delle politiche anti-sociali e guerrafondaie promosse di comune accordo con i vertici europei. L’aritmetica della distribuzione dei seggi nella prossima Assemblea Nazionale sarà decisa dopo il secondo turno del 7 luglio, ma la scommessa dell’inquilino dell’Eliseo risulta già persa in maniera più che evidente. Quella che non è ancora chiara è invece l’identità del nuovo governo. Anche se l’estrema destra dell’ex Fronte Nazionale, ora “Rassemblement National” (RN), è nettamente il primo partito, possibili alleanze tattiche, patti di desistenza e manovre politiche più o meno esplicite potrebbero alterare notevolmente gli equilibri emersi dopo il primo turno.

 

Le previsioni che circolano sui media francesi danno il RN di Marine Le Pen e del candidato premier, Jordan Bardella, a una manciata di seggi dalla maggioranza assoluta, quanto meno nell’ipotesi più ottimistica per questi ultimi. La quota da raggiungere è fissata a 289 e, ad esempio secondo Radio France Internationale, il RN dopo il secondo turno potrebbe aggiudicarsene tra i 230 e i 280. In termini percentuali, questo partito ha ottenuto domenica il 33,2%, contro il 28% dell’alleanza delle sinistre (“Nuovo Fronte Popolare”), il 20% della coalizione di Macron ("Ensemble") e il 6,6% dei gollisti (“Les Républicains”; LR).

Tutti i candidati che nei singoli collegi elettorali abbiano ottenuto almeno il 12,5% dei voti degli aventi diritto andranno anch’essi al secondo turno. Ciò significa che in molti casi avranno luogo sfide a tre e, come di consueto, ci saranno pressioni e trattative frenetiche affinché i candidati arrivati terzi si ritirino per favorire uno dei primi due in corsa. È possibile perciò che Macron e la sua coalizione, i cui candidati sono già stati eliminati in circa la metà delle circoscrizioni elettorali, cerchino di orientare i loro elettori verso il “Nuovo Fronte Popolare” (NFP).

Sia il presidente sia il primo ministro uscente, Gabriel Attal, hanno rilasciato dichiarazioni in questo senso nella serata di domenica e ancora lunedì. Attal, tuttavia, ha insistito sul fatto che i candidati da sostenere non appartenenti a “Ensemble” dovranno imprescindibilmente condividere i “valori della Repubblica”. La stampa ufficiale ha rilevato in questa precisazione una possibile chiusura ai candidati della “sinistra radicale”, soprattutto del partito “La France Insoumise” (LFI) di Jean-Luc Mélenchon. Al di là della disputa sui “valori” citati da Attal, gli scrupoli dell’Eliseo hanno poco a che fare con questi ultimi e molto di più con le posizioni anti-liberiste e a favore di una de-escalation del conflitto russo-ucraino espresse da una parte dell’alleanza di sinistra. Nella serata di domenica, intanto, Le Monde ha già censito 179 casi “desistenza” andati in porto che riguardano “Ensemble” e NFP.

Ad avere un peso decisivo potrebbero essere anche le posizioni degli elettori e dei deputati gollisti. Quando, alla vigilia del voto, il leder di LR, Eric Ciotti, aveva dichiarato la disponibilità del suo partito a entrare in una coalizione di governo con RN, era esplosa un’autentica rivolta interna. È però del tutto possibile che un certo numero di deputati e di elettori della tradizionale formazione “moderata” francese possa alla fine optare proprio per questa soluzione, consegnando le chiavi del governo per la prima volta dal secondo conflitto mondiale all’estrema destra.

Esiste d’altronde un certo consenso per un gabinetto a guida Le Pen-Bardella negli ambienti di potere e, soprattutto, del business transalpini. L’operazione di sdoganamento dell’ultra-destra in Francia è d’altra parte e in primo luogo opera del miliardario Vincent Bolloré, a capo di un gruppo che controlla, tra l’altro, numerose testate giornalistiche e reti televisive. Queste ultime hanno condotto una campagna elettorale di fatto contro il Nuovo Fronte Popolare nelle ultime settimane e, secondo quanto riportato da Le Monde, Bolloré aveva concordato personalmente con Eric Ciotti la proposta di apertura al RN da parte dei gollisti.

La Le Pen ha comunque ribadito che il suo partito accetterà l’incarico di formare il nuovo governo solo se disporrà di una maggioranza assoluta. È presumibile che l’estrema destra non desideri farsi coinvolgere in un esecutivo di minoranza che avrebbe davanti a sé un percorso ad ostacoli fin dall’inizio, tanto più con la figlia del fondatore del partito di ultra-destra favorita per le presidenziali del 2027. Secondo alcuni osservatori era d’altra parte proprio questo il disegno di Macron quando ha deciso di sciogliere l’Assemblea Nazionale dopo la batosta delle europee. Il presidente intendeva cioè “lanciare” il RN verso il governo ma con tutte le limitazioni derivanti dall’impossibilità di agire in autonomia per via dei numeri, così da provocare frustrazioni e malumori tra gli elettori che avrebbero poi penalizzato il partito e la sua candidata alla presidenza tra tre anni.

Sia Le Pen sia Bardella hanno da parte loro identificato senza indugi i rivali in vista del secondo turno di domenica prossima e non si tratta evidentemente di Macron né della sua coalizione. Entrambi i leader hanno invitato i francesi a votare contro l’alleanza delle sinistre, evocando scenari apocalittici per la Francia e i valori tradizionali francesi in caso di ulteriore avanzata del NFP. Ciò perché quest’ultimo ha fatto segnare un risultato superiore alle aspettative, a conferma dell’interesse nell’elettorato per proposte progressiste nonostante il deserto che spesso domina la sinistra europea. Con il diffondersi lunedì dei piani per accordi di desistenza tra “Ensemble” e NFP, l’ex Fronte Nazionale è andato all’attacco contro entrambi, con Bardella che ha parlato di “alleanza del disonore”.

Il blocco delle sinistre resta comunque un raggruppamento eterogeneo che include l’ultra-screditato Partito Socialista, i Verdi, LFI e il Partito Comunista (PCF). Nella coalizione, messa assieme in fretta e furia per contrastare la vittoria praticamente certa del RN dopo l’improvviso scioglimento dell’Assemblea Nazionale, convivono tendenze “moderate”, liberiste e filo-atlantiste, personificate ad esempio nella candidatura dell’ex presidente Hollande, con ambienti più “radicali”. La composizione del NFP si riflette sulla mancata definizione della leadership, che vede tuttora in corsa Mélenchon e altri esponenti più moderati, come l’irriducibile europeista Raphaël Glucksmann.

Anche se il nome dell’alleanza rimanda al Fronte Popolare degli anni Trenta del secolo scorso, la natura dei partiti che ne fanno parte e il contesto storico risultano molto differenti. Per cominciare, le formazioni della sinistra o presunta tale in essa comprese non sono espressione di un movimento popolare di massa, ma spesso addirittura fortemente osteggiate da lavoratori e classi medio-basse, come appunto nel caso del Partito Socialista. È d’altra parte un dato acquisito che questa fetta dell’elettorato, in Francia come altrove, è stata almeno in parte intercettata dall’estrema destra, precisamente a causa dell’abbandono delle cause progressiste da parte della “sinistra” tradizionale.

Proprio la retorica populista e il rilancio di politiche economiche che promettono un freno al far-west liberista, di cui è espressione Macron e i governi susseguitisi durante il suo mandato, hanno contribuito al successo del RN, così come l’attitudine più cauta nei confronti della guerra in Ucraina. Il problema è che l’ex Fronte Nazionale ha già ammorbidito le proprie posizioni in ambito economico, sociale e di politica estera, ispirandosi in buona parte all’esperienza del governo di Giorgia Meloni in Italia.

D’altro canto, la prospettiva di un possibile scostamento dall’ortodossia ha già scatenato a livello europeo una campagna per screditare le politiche economiche teoricamente nel programma dell’ex Fronte Nazionale, in modo da caratterizzarle come rischiose, irresponsabili e impossibili da implementare in un regime ultra-classista che non prevede deviazioni dall’austerity perpetua. Lo stesso discorso vale per il Nuovo Fronte Popolare e questa realtà la dice lunga sui cambiamenti che gli elettori francesi potranno aspettarsi dopo il secondo turno di domenica prossima nonostante la lezione impartita a Macron e a ciò che il presidente e il suo partito rappresentano.

Resta il fatto che lo sfondamento del “Rassemblement National”, dopo almeno due decenni di penetrazione nel panorama politico “mainstream” francese, è la diretta conseguenza dello spostamento a destra del baricentro politico di questo paese, così come di tutto l’Occidente. Una dinamica che ha legittimato partiti relegati tradizionalmente ai margini, inglobandone molte delle istanze, prima fra tutte quella della lotta all’immigrazione irregolare.

Tra pochi giorni andrà così verificata la tenuta del “fronte repubblicano”, progressivamente svuotato di significato proprio dalle tendenze anti-democratiche evidenziate in questi anni da Macron. Un “cordone sanitario”, contro il RN, che potrebbe mostrare cedimenti al centro, tra i gollisti e forse l’ala moderata della coalizione del presidente. In definitiva, se la sconfitta dell’Eliseo è limpidissima, i veri vincitori delle elezioni anticipate sono ancora da stabilire, anche se è del tutto possibile che nessun partito o coalizione arriverà alla maggioranza assoluta. I seggi già assegnati sono infatti appena poco più di 60, mentre oltre 500 saranno decisi nel secondo turno di domenica prossima.

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