I risultati elettorali europei, sebbene abbiano indicato un malessere diffuso tra gli elettori, hanno consentito comunque il mantenimento degli equilibri politici del precedente assetto. E’ arrivata dunque la conferma per Ursula Von der Leyen alla guida della Commissione e del blocco di Socialisti, Popolari e Liberali a sostegno. Sfumato l’allargamento a destra verso i Conservatori: le polemiche dopo l’inchiesta giornalistica che ha fatto emergere l’antisemitismo, il razzismo e le nostalgiche fasciste nel movimento giovanile del partito della Meloni, hanno definitivamente sepolto l’idea di un allargamento della maggioranza al gruppo dei Conservatori europei dei quali Fratelli d’Italia è il maggior esponente e che ora assume il suo naturale ruolo di irrilevanza.

L’appoggio dei fascisti, infatti, sarebbe stato in palese violazione della Carta fondativa della UE ed è stato tassativamente escluso da parte dei socialisti, che tutt’al più, ove necessario per rafforzare la maggioranza a Strasburgo, prevedono l’adesione dei Verdi, ormai innocui, ridotti ad un impasto di liberismo ed atlantismo a tinte green.

 

Ma se si vuole lasciare il terreno della rappresentazione formale della composizione del nuovo Esecutivo e ci si sposta sulla sostanza, appare evidente come l’aggiunta di una figura inquietante alla guida della politica internazionale, ovvero la ministra estone Kaja Kallas, sposti ulteriormente la politica estera della UE in chiave di pura russofobia. La Kallas, infatti, ha nell’odio contro la Russia (eredità familiare) la cifra unica della sua carriera politica.

Ad un esame obiettivo della sua nomina si dovrebbe riscontrare come sia dotata di scarso rilievo politico, non appartenga a nessuno dei paesi fondatori (finora titolari della politica estera dell’Unione) e come il suo paese, che conta su una popolazione complessiva pari ad una città italiana, risulti quanto meno inadeguato ad esprimere una formulazione delle linee di attività politica e diplomatica dell’intero continente.

Non sfugge l’affronto politico a Mosca anche sotto il profilo diplomatico. La sua nomina a Lady PESC rappresenta infatti una provocazione politica, dato che la Kallas è inseguita da un mandato di cattura emesso dalla magistratura russa. Pensare anche solo ad un incontro tra UE e Russia a livello di ministri degli Esteri diventa quindi impossibile, a certificare la ormai folle corsa dell’Europa verso lo scontro totale ed aperto con Mosca.

La nomina della Kallas invia un messaggio chiaro: si esclude ogni possibile ruolo della UE in eventuali trattative per una soluzione diplomatica del conflitto in Ucraina e si nega in radice ogni possibile cambio d’indirizzo nella politica aggressiva europea verso la Russia, sia sul terreno delle sanzioni che su quello del dialogo politico più generale.

Con la nomina della Kallas si lascia dunque la zona del ruolo internazionale dell’Europa, del buon senso e delle compatibilità politiche e ci si avventura su quella del fondamentalismo atlantista incentrato sull’odio russofobico come asse portante della politica estera.

Si indirizza la politica estera UE verso il preciso intento di provocare Mosca e di convincere l’opinione pubblica mondiale che l’avventura atlantista, miseramente persa in Ucraina, ha la sua giustificazione sia nella difesa di uno “stato sovrano” attaccato che nella più ampia considerazione di un ipotetico “espansionismo russo” che non si limiterebbe a Kiev ma ambirebbe alla conquista dell’intera Europa. Il che non è vero ma è utile all’ulteriore allargamento della NATO ad Est.

C’è insomma un aspetto di valore strategico che inquieta, destinato a cambiare per sempre il ruolo dell’Europa, mettendo fine al progetto originario dell’unità continentale e della difesa dei suoi interessi. Ovvero l’adesione ad un ruolo di subordinazione, di riconoscimento della NATO come leadership anche politica e dell’assunzione degli interessi strategici del suo senior partner (gli USA) come interessi generali dell’intero Occidente, dunque della stessa Europa.

Ha luogo una trasformazione della UE in un protettorato USA e l’aspetto più inquietante di questo cambio di destinazione è che Estonia, Lituania e Lettonia si propongono dal 2022 come la punta di lancia dell’aggressività e dell’espansionismo della NATO nell’area euroasiatica.

Fornire una vetrina politica ai Baltici (come l’assegnazione della titolarità della politica estera e di cooperazione UE alla Kallas) porta un rischio enorme sotto il profilo della relazione con la Russia.

Infatti, con la nomina della Kallas, i paesi Baltici, che hanno nella russofobia la loro identità culturale e nella nostalgia del nazismo il loro imprinting politico, si sentiranno coperti da Bruxelles nel minacciare direttamente il territorio russo, con la scusa di difendersi da possibili aggressioni. Ciò rappresenta una pesante minaccia di attacco diretto alla Russia e Mosca la quale, com’è da attendersi, difficilmente permetterà senza reagire ulteriori minacce alla sua sicurezza da parte di paesi dichiaratamente ostili.

 

L’irrilevanza come scelta

In sostanza, appare all’orizzonte la definitiva abdicazione agli interessi statunitensi in Europa e con il nuovo Esecutivo si compie un passo decisivo verso un orizzonte di economia di guerra. Il quadro che si prospetta è irto di conseguenze negative per l’Europa e per la stabilità internazionale.

Il rafforzamento dello scontro con la Russia avrà infatti serie ripercussioni sul terreno economico per l’Europa che indica però di essere disposta ad assumerne il costo in nome di una nuova crociata contro la Russia. La riduzione degli interessi europei a mero affiancamento di quelli USA in Europa disegna una subalternità fatale in chiave di sviluppo economico, di allargamento dei mercati e di rafforzamento dell’export. La volontà di scontro con la Russia, che si somma a quello già evidente con la Cina, comporterà il definitivo abbandono dell’idea di sviluppo euroasiatico con conseguente soddisfazione del capitalismo statunitense che vedeva nella relazione tra forza finanziaria europea, forza energetica russa e forza economica e commerciale cinese la vera, potente minaccia alla sua supremazia mondiale, almeno per ciò che concerne il campo dell’Occidente.

L’esito di questo rinculo in chiave occidentale della UE avrà delle ripercussioni fortissime su un continente già provato dalla crisi economica aggravata dalla spirale inflazionistica e che si dimostra ormai incapace di sostenere un ruolo autonomo anche sotto il profilo del modello economico e politico. Prigioniera dell’invenzione assurda del Trattato di Maastricht che la piega socialmente, fuori dai grandi circuiti delle risorse energetiche, priva di ogni peso sulla produzione di terre rare, subordinata agli USA sul terreno politico ed ininfluente sotto il profilo militare, l’Unione Europea si trova nella spiacevole condizione di non rappresentare né una promessa né una minaccia. Per niente e per nessuno.

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