La sola notizia della presenza a Mosca dell’ex “host” di Fox News, Tucker Carlson, e l’ipotesi di un’intervista senza filtri a Vladimir Putin avevano fatto scattare nei giorni scorsi la modalità panico tra i politici e i propagandisti della stampa ufficiale in Occidente. Il giornalista ultra-conservatore americano ha abilmente favorito la diffusione di indizi circa i suoi piani, per poi confermare che l’attesa intervista al presidente russo verrà trasmessa sul suo sito e su X (ex Twitter) alla mezzanotte italiana di giovedì. Per gli ambienti ufficiali che inondano il pubblico di propaganda russofoba da almeno due anni, quello di Carlson è un vero e proprio peccato capitale e in molti hanno già chiesto per lui una punizione esemplare. Dare spazio senza pregiudizi alla versione del Cremlino comporta d’altra parte una serie di rischi, primo fra tutti quello del crollo definitivo delle menzogne a senso unico vomitate dai sostenitori del regime ucraino di Zelensky.

Il verdetto emesso martedì all’unanimità da una corte d’appello federale americana contro Donald Trump tiene in vita il procedimento legale più serio che grava sull’ex presidente repubblicano a pochi mesi dalle elezioni per la Casa Bianca. Il caso riguarda la presunta immunità che i legali di Trump avevano invocato in relazione alle sue responsabilità nel tentativo di ribaltare l’esito del voto del 2020, culminato nell’assalto all’edificio del Congresso del 6 gennaio 2021.

Per i tre giudici del tribunale di appello del circuito del District of Columbia, un ex presidente può essere incriminato per reati di natura penale commessi durante il suo incarico, inclusi quelli presumibilmente legati all’esercizio delle sue funzioni, anche se per questi fosse già stato giudicato e assolto dal Congresso tramite una procedura di “impeachment”. Trump non ha quindi diritto ad alcuna immunità, come aveva già stabilito un tribunale distrettuale nel grado di giudizio precedente.

A settembre dello scorso anno, la standing ovation del parlamento canadese all’ex membro delle SS naziste Yaroslav Hunka aveva scatenato un’accesissima polemica tra la classe politica del paese nordamericano. Il governo Trudeau e la sua maggioranza erano corsi ai ripari per cercare di limitare i danni dello scandalo, professando ignoranza circa il passato del 98enne criminale di guerra di origine ucraina e facendo in sostanza del presidente della Camera, Anthony Rota, il solo capro espiatorio della vicenda. Qualche giorno fa è però emerso che lo stesso primo ministro liberale aveva invitato personalmente Hunka a un ricevimento di stato per celebrare la visita in Canada del presidente ucraino Zelensky.

In parallelo al massacro nella striscia di Gaza, Israele continua a mandare segnali di un possibile allargamento delle operazioni militari al fonte settentrionale, dove uno scontro a intensità relativamente bassa con il partito/milizia sciita libanese Hezbollah è peraltro già in atto dall’ottobre scorso. Il regime di Netanyahu si ritrova a fare i conti con un dilemma complicato in relazione al Libano, con le esigenze di sicurezza e deterrenza impossibili da soddisfare senza chiudere i conti una volta per tutte con il “Partito di Dio”, ma allo stesso tempo col timore di andare incontro, in caso di guerra aperta, a una disfatta che rischia di minare irreparabilmente l’intero progetto sionista.

Circa due anni fa, il 24 Febbraio del 2022, 100.000 effettivi dell’esercito russo entravano nelle regioni di Donetsk e Lugansk in Ucraina. A proposito, ma soprattutto a sproposito, si è detto dell’invasione russa e si è datata Febbraio 2022 l’inizio di una guerra che in realtà era vigente dal 2014 sotto forma di massacro di civili russofoni. Fino a quel momento, Mosca aveva sostenuto in forma soft le milizie di difesa delle due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, ma i piani ucraini per l’assalto alle due regioni resero necessario il cambio di passo. Iniziò l’Operazione Militare Speciale con due obiettivi: la difesa degli abitanti russofoni delle due regioni (autoproclamatesi indipendenti dopo il colpo di stato a Kiev) sottoposte ai bombardamenti di Kiev e che dal 2014 erano costati 15.000 morti; la denazificazione dell’Ucraina, cioè l’eliminazione delle organizzazioni neonaziste che esercitavano una forte leadership su governo, forze armate e servizi segreti di Kiev.


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