Nel luglio 2024, il Woodrow Wilson International Center for Scholars (o Wilson Center) - uno degli United States Presidential Memorial, fondato a Washington DC come parte dello Smithsonian Institution, riconosciuto come uno dei primi dieci più importanti think tank al mondo - ha pubblicato un paper dal titolo “Venezuela Desk – How to stop a coup”, ovvero “come fermare un colpo di Stato in Venezuela”. Un titolo che potrebbe trarre in inganno, in quanto potrebbe far pensare ad un documento che voglia prevenire un colpo di Stato, ma in realtà si tratta del suo opposto: il dossier illustra i piani golpisti di stampo fascista che gli Stati Uniti avevano preparato per le elezioni presidenziali del 28 luglio contro il governo socialista di Nicolas Maduro.

Il lager di Guantánamo è tornato al centro dell’interesse della stampa americana nei giorni scorsi con l’annuncio, subito rientrato, di un accordo tra tre sospettati di avere organizzato gli attentati dell’11 settembre e il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. I legali di Khalid Shaikh Muhammad, Walid bin Attash e Mustafa al-Hawsawi avevano accettato di dichiararsi colpevoli in cambio della rinuncia da parte dell’accusa a chiedere una condanna alla pena di morte. Poco dopo la diffusione della notizia e l’esplodere di una feroce polemica a Washington, il numero uno del Pentagono in persona, l’ex generale Lloyd Austin, ha però rescisso il patteggiamento, facendo ripiombare l’intera vicenda nel pantano di un procedimento pseudo-legale senza via d’uscita.

Come nelle più scontate spy-stories, accettare il negoziato da un lato comporta impedirlo dall’altro. Com’è noto, Ismail Haniyeh, capo di Hamas, esponente riconosciuto dell’ala politica più incline a sostenere un processo unitario di riorganizzazione della resistenza palestinese e negoziatore con Israele, è stato barbaramente assassinato da un attentato ad opera dei servizi segreti di Tel Aviv. Haniyeh si trovava a Teheran per la cerimonia d’insediamento del Presidente iraniano Pezshkian ed era reduce dal Vertice di Pechino dove, grazie agli  sforzi diplomatici cinesi, l’intera gamma delle formazioni palestinesi avevano trovato un accordo. Haniyeh, peraltro, era tra i candidati più accreditati a guidare il percorso di riconciliazione unitaria.

In Venezuela stiamo assistendo al ritorno delle “guarimbas”, con la violenza, gli omicidi e la distruzione che le accompagnano. Non manca il classico accompagnamento mediatico, con il mainstream occidentale che ne canta le lodi nel tentativo di trasformare il terrorismo in pacifismo e il fascismo in una corrente di democrazia un po' vivace. Quello che sta accadendo in Venezuela però, nonostante i morti e i vandalismi golpisti, non porta con sé il consenso dei settori popolari, né tanto meno dei militari e delle agenzie di sicurezza. È un tentativo di golpe suave, attuato come da istruzioni di Washington, non ha nulla a che vedere con una protesta contro la lentezza delle elezioni.

Il ritardo nella trasmissione dei dati restanti (una parte minore) si deve all’attacco informatico (un DOS- Denial Of Service) lanciato dalla Macedonia del Nord con il preciso intento di bloccare il funzionamento delle trasmissioni di dati al CNE. Questo ha portato a un ritardo nel conteggio totale dei voti, consentendo ai complottisti di accusare il governo di frode. Blinken lancia la crociata, ma dimentica che negli Stati Uniti è successo molto di più e molto di peggio nella vittoria di Biden contro Trump.

Il grado di criminalità raggiunto dal regime genocida di Netanyahu nella notte di martedì con l’uccisione del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, riflette il livello di disperazione raggiunto dallo stato ebraico dopo quasi dieci mesi di guerra a Gaza senza avere raggiunto un solo obiettivo strategico. Oltre a ribadire che Israele agisce di fatto come un’entità terroristica, l’assassinio mirato del capo dell’ufficio politico del movimento di liberazione palestinese conferma senza alcun dubbio almeno due delle intenzioni del primo ministro/criminale di guerra: far saltare definitivamente le trattative diplomatiche per una tregua e scatenare una guerra di vasta portata in Medio Oriente, da far combattere però soprattutto agli Stati Uniti.


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