Nel silenzio dei media occidentali, la settimana passata ha prodotto due eventi di significativa importanza planetaria. Il primo è la decisione - storica e dai risvolti enormi - dell’Arabia Saudita e del complesso dei paesi Opec+ di abbandonare l’accordo economico preso con gli USA negli anni ’70 (presidenza Nixon) che prevedeva l’acquisto in Dollari delle forniture petrolifere. D’ora in avanti, i paesi produttori di greggio venderanno in qualunque divisa e ciò di riflesso colpirà il Dollaro, che avendo minor richiesta sui mercati, subirà un deprezzamento. I contraccolpi non sono difficili da intuire: contribuiscono fortemente alla de-dollarizzazione dell’economia mondiale e parallelamente riducono l’influenza degli USA sui mercati valutari, comprimendone così le capacità d’influenza sulle altre economie.

La proposta di tregua a Gaza presentata dall’amministrazione Biden e appoggiata a inizio settimana dal Consiglio di Sicurezza ONU continua a essere ostaggio delle contraddizioni all’interno del gabinetto Netanyahu e degli equilibrismi della Casa Bianca per cercare di gestire una crisi ormai quasi del tutto fuori controllo. Mentre il segretario di Stato americano, Antony Blinken, è impegnato nell’ennesimo tour mediorientale, ufficialmente per promuovere lo stop alle armi nella striscia, il conflitto minaccia di allargarsi, travolgendo i negoziati diplomatici, dopo l’assassinio da parte di Israele di un comandante di altissimo livello di Hezbollah in Libano e la reazione militare più massiccia scatenata dal 7 ottobre scorso dal “Partito di Dio”.

Se i guai legali in cui è invischiato Donald Trump possono rappresentare un qualche problema in termini di consensi elettorali, di certo non lo sono per un lungo elenco di ultra-facoltosi finanziatori che, da Wall Street, vedono l’ex presidente repubblicano come l’opzione più gradita per i prossimi quattro anni. Un articolo pubblicato questa settimana dalla testata on-line Politico ha evidenziato come le riserve espresse in seguito al tentativo di ribaltare l’esito del voto nel 2020 si stiano progressivamente dissolvendo man mano che la prospettiva di un ritorno alla Casa Bianca di Trump si fa più concreta.

La pesantissima lezione impartita nel fine settimana dagli elettori francesi e tedeschi rispettivamente al presidente Macron e al cancelliere Scholz sono la diretta e inevitabile conseguenza delle politiche impopolari e, a tratti, oggettivamente suicide dei governi di Parigi e Berlino soprattutto negli ultimi due anni. I risultati delle europee nei due paesi di maggior peso dell’Unione riflettono la tendenza generale emersa da una quattro giorni di voto segnata, oltre che dall’astensionismo, dall’avanzamento dell’estrema destra populista e dalla flessione dei partiti moderati e, in particolare, dei Verdi.

Ci sono pochi dubbi che il messaggio uscito dalle urne sia di profonda sfiducia nei confronti di governi nazionali e istituzioni europee, percepite sempre più come espressione degli interessi dei poteri forti e impegnate in una vera e propria guerra contro lavoratori, classe media e piccole imprese. Anche dove i partiti di governo sono stati apparentemente premiati, come in Italia, la bassissima affluenza ha comunque confermato lo scarso entusiasmo complessivo. Sempre in Italia, i votanti sono scesi ad esempio sotto il 50% per la prima volta in una consultazione europea, ma i numeri sarebbero stati ancora più bassi se in concomitanza non si fossero tenute le amministrative.

“Tutti voi qui presenti oggi siete stati iscritti nella storia della lotta palestinese. Ci siamo riuniti a Detroit, alla Conferenza Popolare per la Palestina, con oltre 3.500 persone provenienti da tutto il Nord America e decine di migliaia di persone online. Abbiamo reso chiaro il nostro messaggio: noi, il movimento per la Palestina in Nord America e in tutto il mondo, siamo qui per lottare fino alla vittoria.”


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