La richiesta di arresto ai danni del primo ministro israeliano Netanyahu e del ministro della Difesa del suo governo da parte del procuratore capo del Tribunale Penale Internazionale (ICC) ha aggravato questa settimana l’isolamento internazionale di Tel Aviv, così come di Washington. La reazione rabbiosa dell’amministrazione Biden ha anche confermato come oltreoceano abbiano raggiunto ormai i livelli di guardia i timori per le conseguenze di un’operazione militare, come quella in corso a Gaza, che praticamente per tutto il resto del pianeta ha da tempo i connotati del genocidio.

Il decesso del presidente iraniano, Ebrahim Raisi, in seguito allo schianto del suo elicottero nella giornata di domenica in un’area remota al confine con l’Azerbaigian è il secondo gravissimo incidente in pochi giorni a coinvolgere un leader di governo al centro del dibattito politico internazionale. Settimana scorsa, il primo ministro slovacco, Robert Fico, era sopravvissuto ad alcuni colpi di arma da fuoco sparati da un sostenitore dell’opposizione e della guerra contro la Russia in Ucraina. Quasi tutti gli elementi emersi finora in relazione alla morte di Raisi, nonché del ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian e altre due importanti personalità politico-religiose, fanno pensare a un incidente dovuto al maltempo e, forse, alle non perfette condizioni del mezzo su cui viaggiavano.

Dopo un lungo e complicato intervento chirurgico, il primo ministro slovacco Robert Fico è sopravvissuto al tentato assassinio di mercoledì avvenuto in una località a un paio d’ore di auto da Bratislava. Il gravissimo episodio ha tutti i connotati di un’operazione politica ed è da collegare allo scontro sull’Ucraina che si sta consumando tra i vertici UE e gran parte dei leader dei paesi membri da un lato e, dall’altro, quei governi di orientamento nazionalista che chiedono una soluzione diplomatica alla guerra, come appunto quello guidato da Fico e quello ungherese di Viktor Orban.

Non è ancora chiaro se il responsabile dell’attentato abbia agito soltanto di sua iniziativa, ma identità e orientamento politico risultano estremamente chiari e dimostrano a sufficienza quale sia il clima che ha contribuito agli eventi di mercoledì.

Enorme è il debito di riconoscenza che abbiamo nei confronti del popolo russo, che lasciò decine di milioni di vittime nella lotta vincente al nazifascismo e senza questo enorme sacrificio di sangue probabilmente oggi staremmo tutte e tutti sotto il tallone di ferro del nazismo hitleriano. Per questo è stato importante ricordare e celebrare il 9 maggio, giorno della vittoria, come ha fatto in modo esemplare Moni Ovadia, portando il suo contributo artistico all’ambasciata russa nell’anniversario di quel giorno fatidico.

Oggi il modo migliore che abbiamo di ricordare i caduti sovietici è insistere per un’immediata soluzione pacifica del conflitto ucraino, che sappia tener conto degli interessi di sicurezza della Russia e delle decine di milioni di cittadini russofoni che vivono in Ucraina, come nelle altre Repubboliche ex-sovietiche.

La giustizia australiana ha emesso martedì per la prima volta in assoluto un verdetto di condanna in un caso di crimini di guerra collegato ai due decenni di occupazione militare dell’Afghanistan. A ricevere la condanna non è stato però nessuno dei militari che ha commesso materialmente oppure facilitato o insabbiato questi crimini, nonostante le prove per farlo siano da tempo anche di pubblico dominio, bensì uno dei “whistleblowers” che ha fatto conoscere al pubblico questi stessi crimini commessi contro i civili afgani. Il condannato in questione è l’avvocato militare David McBride, oggetto di una pesante sentenza per avere sottratto documenti riservati all’esercito australiano e poi condivisi con alcuni giornalisti della rete pubblica ABC.


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