Per la seconda volta quest’anno, la Repubblica Islamica ha mostrato la fragilità di Israele lanciando centinaia di missili sul territorio dello stato ebraico nella serata di martedì. L’attacco è la risposta all’assassinio di venerdì scorso del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e del comandante dei Guardiani della Rivoluzione, generale Abbas Nilforoushan,nonché di quello dello scorso mese di luglio del capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Questa operazione apre scenari imprevedibili in Medio Oriente, ma per il momento interrompe bruscamente l’ubriacatura sionista dopo i recenti atti di terrorismo in Libano e l’inizio dell’invasione di terra nel “paese dei cedri” che sembravano avere assestato un colpo quasi letale all’asse della resistenza.

Le operazioni militari degli ultimi giorni di Israele in Libano hanno decapitato una parte della leadership di Hezbollah e assestato un colpo gravissimo alla coesione e alle capacità organizzative del “Partito di Dio”. Le potenzialità offensive di Hezbollah restano tuttavia per lo più intatte e, al di là della propaganda sionista e dell’ostentazione di forza del regime terroristico di Netanyahu, gli obiettivi della guerra nel “paese dei cedri”, così come a Gaza, restano lontani dall’essere raggiunti. Se i tempi di risposta di Hezbollah saranno tutti da verificare dopo gli ultimi eventi, sono in pochi a credere che lo stato ebraico possa sottomettere con la sola violenza i propri nemici e stabilizzare a proprio favore gli scenari della regione.

La missione di Zelensky negli Stati Uniti, dove si era recato per l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha incontrato indifferenza e rifiuto. Diversi Paesi hanno rifiutato di incontrare il presidente ucraino, evidentemente decaduto sia nel termine costituzionale del suo mandato sia nella considerazione generale. Il suo annunciato “piano di pace” in effetti non si è rivelato né un piano né il perseguimento della pace, ma solo un bluff che si condensa in più armi e denaro con il deciso rifiuto di qualsiasi ipotesi negoziale di fine della guerra.

I governi di Stati Uniti e Francia sostengono di essere impegnati in queste ore in una frenetica attività diplomatica per cercare di fermare l’escalation sul fronte libanese tra Hezbollah e Israele. Netanyahu ha però smentito giovedì le voci di una tregua imminente, per poi tornare a incendiare gli animi della popolazione dello stato ebraico, fino ad ora in larga misura favorevole alle operazioni in corso oltre il confine settentrionale. In maniera perfettamente coerente con il copione della propaganda sionista, gli eventi di questi giorni vengono presentati come una dimostrazione di forza da parte di Israele, in grado di dettare i termini della resa o di un accordo di pace al nemico di turno. La realtà dei fatti è tuttavia diversa e gli obiettivi di Tel Aviv, anche se possono apparire a portata di mano, restano molto difficilmente raggiungibili, a Gaza come in Libano.

Il tour della disperazione di Zelensky negli Stati Uniti avrà il suo clou giovedì con il vertice alla Casa Bianca col presidente uscente Biden e la candidata Kamala Harris. La trasferta coincide com’è noto con l’annuale Assemblea Generale delle Nazioni Unite. In questa sede e in varie interviste alle reti americane, l’ex comico televisivo ha ripetuto le solite fantasiose analisi e previsioni sulla guerra in corso nel suo paese, anticipando inoltre il “piano per la vittoria” contro la Russia che dovrebbe essere presentato nel dettaglio all’amministrazione democratica. Come il piano di Zelensky possa avere una qualche possibilità di riuscita in una situazione militare catastrofica e senza includere una trattativa diplomatica con Mosca resta tuttavia un mistero.


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