Il bombardamento israeliano di un ospedale a Gaza nella giornata di martedì è stato finora il culmine della campagna militare al limite del genocidio del regime di Netanyahu contro i palestinesi e ha subito provocato un’ondata di indignazione e proteste nei paesi arabi e tra le popolazioni di quelli occidentali. Per la gravità del bilancio ancora parziale – circa 500 civili sono stati massacrati, di cui poco meno della metà bambini – questo episodio potrebbe diventare un punto di svolta di un conflitto sempre più vicino a esplodere in una guerra regionale che, oltre a risultare disastrosa per numero di vittime, minaccia di trasformarsi in un boomerang sia per gli Stati Uniti che per lo stato ebraico.

Dopo otto controversi anni al governo, il partito polacco nazionalista Diritto e Giustizia (PiS) dovrà probabilmente passare la mano all’opposizione europeista di centro-destra guidata dall’ex premier, nonché ex presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk. L’attuale partito di governo rimane nettamente la prima forza politica in Polonia, ma sarà difficilmente in grado di trovare partner di coalizione sufficienti da mettere assieme una nuova maggioranza in parlamento. L’eventuale passaggio di consegne a Varsavia potrebbe risultare burrascoso, con qualche riflesso sulle vicende della guerra russo-ucraina. L’orientamento anti-russo non verrà tuttavia modificato, anche se potrebbero cambiare i principali riferimenti esteri del prossimo esecutivo, a tutto favore della Germania e dell’Unione Europea.

I bombardamenti indiscriminati di Israele sulla striscia di Gaza continuano a incontrare la più o meno aperta approvazione di quasi tutto lo spettro politico occidentale. Anche i partiti teoricamente di sinistra o centro-sinistra si sono uniti al coro dei sostenitori dello stato ebraico e del diritto all’auto-difesa, nonostante quest’ultimo sia come al solito diventato da subito un atto di “punizione collettiva”, ovvero un crimine di guerra codificato dal diritto internazionale. Questa dinamica risulta evidente soprattutto in Gran Bretagna, dove, a fronte di un ampio sostegno popolare per i palestinesi, la leadership attuale del Partito Laburista ha accelerato la svolta anti-democratica degli ultimi anni con una campagna ultra-repressiva diretta contro chiunque intenda esprimere una qualche forma di solidarietà agli abitanti di Gaza.

Prima taglia luce e acqua e impedisce l’ingresso di cibo e personale sanitario delle Nazioni Unite. Poi indica l’uscita a Sud di Gaza per i civili, salvo bombardarli appena si mettono in viaggio. La “unica democrazia del Medio Oriente” spara sui civili in fuga. Vuole lavare nel sangue l’onta militare subita e ignora il richiamo di tutti gli organismi internazionali che sostengono il diritto alla difesa ma non alla rappresaglia sui civili, contraria al diritto umanitario internazionale. Anche l’OMS attacca le decisioni di Israele sul trasferimento di 22 ospedali: semplicemente impossibile, moriranno tutti i pazienti. Israele disegna la sua etica e la sua virtù militare in un unico orrore.

Falso il racconto di bombe per colpire i terroristi: Hamas li aspetta nei bunker. Sono i civili palestinesi l’obiettivo vero dell’artiglieria e dell’aviazione ebraica. Per terrorizzare oggi e rubare le terre di chi va via domani, per proseguire l’espansione coloniale israeliana sui territori palestinesi. Quelli che usciranno da Gaza non vi rientreranno più. E’ un’operazione di sostituzione etnica, non di antiterrorismo. E’ questo il senso profondo della rappresaglia israeliana: uccidere e cacciare per poi meglio occupare. E non c’entra Hamas e il terrorismo: faceva lo stesso anche prima del 2006 quando governava Al Fatah (OLP) alla quale, pure, etichettava come terrorista.

Com’è possibile che un paese minacci pubblicamente di rendersi responsabile di crimini di guerra, talmente gravi da essere equiparati a un genocidio, e anzi li metta in atto davanti agli occhi di tutto il mondo senza subire la minima conseguenza o anche solo la condanna della “comunità internazionale”, parte della quale addirittura garantisce il proprio appoggio a questo stesso paese? La risposta è facile da individuare per chi sta seguendo i drammatici eventi mediorientali di questi giorni e ha a che fare con il fatto che il paese (regime) in questione si chiama Israele ed è protetto in tutto e per tutto dagli Stati Uniti perché, in primo luogo, assicura la promozione degli interessi americani in una delle regioni strategicamente più importanti del pianeta.


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