Che un solo Paese, per grande che sia, riunisca intorno a sé un intero continente non è cosa consueta. Che lo faccia la Russia, che ha celebrato una conferenza interparlamentare con l’intera America Latina e Caraibi, è di per sé un fatto di grande portata e di ancor maggiore prospettiva. Mosca dimostra di non essere vittima della antica Dottrina delle “sfere d’influenza” (peraltro dagli USA permanentemente aggirata) né, men che mai, di una sudditanza di fronte al tracciato storico che disegna l’interventismo USA nel continente. Nonostante l’America latina sia considerata dall’Occidente come una sorta di riserva di caccia esclusiva degli Stati Uniti, l’iniziativa politica e commerciale di Mosca verso il subcontinente americano ha visto un livello sempre maggiore di cooperazione, ponendo su un livello primario le relazioni dell’America latina con il gigante euroasiatico. Al punto che, come ha sottolineato il Presidente Putin nel suo intervento di apertura, spesso Russia e America latina condividono una idea delle relazioni internazionali e della necessità di una dimensione multipolare della governance mondiale.

A un anno esatto dalle esplosioni che hanno distrutto una parte del gasdotto Nord Stream nel Mar Baltico, il veterano giornalista investigativo americano Seymour Hersh è tornato a pubblicare un’esclusiva sull’argomento, che chiarisce ancora di più i contorni delle responsabilità dell’amministrazione Biden e l’incredibile comportamento del cancelliere tedesco, Olaf Scholz. L’86enne Hersh, in un articolo pubblicato sul suo account ospitato dalla piattaforma Substack, ha approfondito le vicende che precedettero il clamoroso sabotaggio e le manovre per mettere in piedi la squadra incaricata dell’operazione, portando alla luce le vere ragioni della decisione di Biden, da collegare, più che alla “aggressione” russa dell’Ucraina, alle mire strategiche di Washington nell’ambito delle relazioni transatlantiche.

Lo sciopero in corso nel quadro delle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro del settore automobilistico negli Stati Uniti si intreccia questa settimana con la campagna elettorale per le presidenziali del 2024. Martedì, il presidente Biden ha fatto visita agli scioperanti in Michigan, ufficialmente per esprimere il sostegno della Casa Bianca al sindacato UAW. Mercoledì toccherà invece a Donald Trump sfruttare politicamente la situazione con un discorso davanti a qualche centinaio di iscritti al sindacato nello stesso stato del Midwest americano.

Le conseguenze dell’apparizione nel fine settimana al parlamento canadese di un criminale di guerra filo-nazista ucraino sono state a malapena mitigate dalle scuse pubbliche dello “speaker” della Camera dei Comuni, Anthony Rota. Ad applaudire il 98enne Yaroslav Hunka c’era tutto il panorama politico del paese nordamericano, assieme al primo ministro pseudo-progressista, Justin Trudeau, la sua vice, Chrystia Freeland, e lo stesso presidente ucraino Zelensky. Il tributo da eroe riservato a un ex membro di un’unità speciale che nel secondo conflitto mondiale ha commesso crimini mostruosi a fianco delle SS non rappresenta un semplice “errore”, ma testimonia alla perfezione il carattere ultra-reazionario della crociata in corso in Canada e nel resto dell’Occidente a sostegno della “democrazia” ucraina nel conflitto con la Russia.

Nel quadro delle strategie di sovversione e destabilizzazione per efficientare ulteriormente il suo egemonismo, da decenni Washington utilizza sistematicamente le sanzioni, sia generali che mirate, destinate a colpire i paesi che non cedono la loro sovranità e le loro risorse agli USA. Questi vengono definiti paesi ostili, con la fabbricazione ad hoc di accuse mai esibite o palesemente false; dal Nicaragua a Cuba, dall’Iraq alla Siria, dall’Iran alla Russia, la storia abbonda di esempi.

Dalla caduta del campo socialista, che diede inizio alla globalizzazione, l’utilizzo delle sanzioni è aumentato esponenzialmente, arrivando al 121% rispetto a quante in vigore nel mondo bipolare. Oggi colpiscono 9765 persone con provvedimenti selezionati, 17 Paesi con provvedimenti mirati e 6 con misure generali; un totale di 23 paesi, circa il 72% della popolazione, oltre il 30% del PIL del pianeta.

Si narra che sarebbero una alternativa alla guerra, quando è ormai dimostrato che, in molti casi, ne sono solo il preludio. Nelle guerre di Quarta e Quinta generazione, le sanzioni sono, al pari della comunicazione e della diplomazia, uno strumento di affiancamento alle operazioni militari e la gerarchia di utilizzo di questi ambiti non è rigida, bensì soggetta alle condizioni sul campo.


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