La vicenda del gasdotto che dovrebbe collegare l’Iran e il Pakistan è un esempio di come le sanzioni unilaterali imposte dagli Stati Uniti continuino a frenare, senza nessuna ragione logica, lo sviluppo di paesi sovrani, siano essi nemici o alleati di Washington. Dopo oltre un decennio di intese e rinvii, il governo della Repubblica Islamica è stato costretto nei giorni scorsi a recapitare un’ingiunzione finale alle autorità pakistane, avvertendole che, a breve, saranno trascinate davanti alla Corte Internazionale di Arbitrato di Parigi per il mancato rispetto degli impegni presi. L’inattività di Islamabad nei confronti di un progetto così strategico dipende interamente dalla ripetuta e irriducibile opposizione americana.

L’Iran ha completato da tempo la sezione dell’infrastruttura che sorge sul proprio territorio e che copre circa 1.100 chilometri dal mega-giacimento “South Pars” fino alla provincia di confine del Sistan-Belucistan. La parte pakistana mai costruita dovrebbe essere di 780 chilometri passando per le province meridionali di Belucistan e Sindh. Fin dall’inizio, gli Stati Uniti hanno fatto sapere al Pakistan che la finalizzazione del gasdotto avrebbe fatto scattare l’imposizione di misure punitive, perché avrebbe violato le sanzioni americane contro la Repubblica Islamica.

In un'intervista rivelatrice, Samuel Ramírez, coordinatore del Movimento delle vittime del regime (MOVIR), espone le gravi violazioni dei diritti umani commesse durante il regime di emergenza di Nayib Bukele in El Salvador. Dal marzo 2022, più di 81.000 persone sono state detenute sotto questa misura, molte delle quali in modo arbitrario. Il MOVIR lotta instancabilmente per ottenere giustizia e sostegno alle vittime.

In Germania, nelle elezioni appena celebrate nei Lander di Sassonia e Turingia, i neo nazisti della AfD hanno ottenuto un forte risultato. Non meno significativa l’affermazione del BSW di Sahra Wagenknecht, che ha fondato un partito di sinistra alternativa, anticapitalista, pacifista e anti-atlantista che dopo soli nove mesi ha raccolto il 15,8 dei voti in Turingia e l’11,8 in Sassonia. Sono voti presi ai Verdi (i più atlantisti della costellazione ecologista europea) ai Socialdemocratici (nella versione suicida di ciò che fu un tempo il partito di Brandt) e a Die Linke (esempio di mutazione genetica atlantista della ex sinistra).

Il mainstream mediatico eurocentrico si dichiara preoccupatissimo per l’avanzata dell’estrema destra, ma l’establishment atlantico è perfettamente cosciente di due cose: 1) l’estrema destra non è nemica e, tendenzialmente, non è nemmeno estranea, viene dallo stesso album di famiglia; 2) i neonazisti non saranno mai in grado di rappresentare una opzione di governo senza che il deep state euro-statunitense glielo consenta.

Proprio nei giorni precedenti Manfred Weber, esponente della CDU e capogruppo del centro destra al Parlamento Europeo, esprimeva appoggio totale a Giorgia Meloni che lo ha ricevuto a Roma. E anche in Olanda i centristi governano insieme a destra ed estrema destra senza che questo abbia impensierito nessuno. Insomma la minaccia non viene da destra. Nessuna destra continentale risulta incompatibile con lo schema vigente delle élites europee. Il cosiddetto "sovranismo" ci mette un amen a diventare ultra-atlantismo.

L’assassinio a Teheran a fine luglio per mano israeliana del capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, era stato subito seguito dalla promessa del governo iraniano di mettere in atto una ritorsione adeguata contro lo stato ebraico. Dopo oltre un mese, però, non si è registrata ancora nessuna iniziativa di rilievo. Molti sostengono che la sola attesa di un possibile attacco ha fatto salire enormemente le tensioni in Israele traducendosi in una sorta di punizione, ma l’unica ragione che giustificherebbe un passo indietro della Repubblica Islamica sembra essere una contropartita importante, con ogni probabilità collegata alla guerra a Gaza. La leadership iraniana, in ogni caso, deve valutare con estrema cautela qualsiasi risposta, vista la complessità degli scenari mediorientali odierni e le implicazioni che avrebbe per i propri interessi strategici.

Le proteste di centinaia di migliaia di israeliani e uno sciopero generale, indetto lunedì per paralizzare il paese, non hanno apparentemente cambiato di una virgola l’atteggiamento del premier Netanyahu in relazione a un possibile cessate il fuoco nella striscia di Gaza. Le operazioni militari, che da alcuni giorni si sono intensificate anche in Cisgiordania, stanno assumendo sempre più l’aspetto di una guerra totale contro la popolazione palestinese, senza nessun riguardo nemmeno per la sorte dei prigionieri israeliani ancora nelle mani di Hamas, né per le conseguenze sugli equilibri strategici regionali.

L’aggravarsi della crisi ha portato alla luce anche il primo vero scontro tra Netanyahu e il presidente americano Biden. L’inquilino della Casa Bianca ha sostenuto lunedì che il primo ministro di Israele non sta facendo abbastanza per mandare in porto l’accordo con Hamas. L’affermazione di Biden, pur rappresentando a dir poco un eufemismo, ha espresso un fatto chiaro a chiunque da parecchio tempo, ma, nel quadro delle dinamiche dei rapporti tra i due alleati negli ultimi mesi, segna il primo caso in assoluto in cui gli Stati Uniti hanno assegnato una qualche responsabilità al regime sionista per la mancata tregua.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy