Il recente accordo tra Regno Unito e Mauritius per la restituzione delle Isole Chagos, annunciato il 3 ottobre scorso, segna una svolta storica in una disputa che si trascina da oltre mezzo secolo. Tuttavia, sebbene presentato come un atto di riparazione storica, la decisione britannica appare più come un calcolo geopolitico che una vera ammissione di colpa. Le isole, in particolare Diego Garcia, ospitano infatti una delle basi militari più strategiche al mondo, utilizzata dagli Stati Uniti per operazioni in Medio Oriente e in Asia meridionale, ed è la salvaguardia della continuità di tale utilizzo a essere stata al centro dei negoziati.

Le Chagos, un arcipelago di oltre 60 isole nell'Oceano Indiano, furono staccate dalla colonia britannica di Mauritius nel 1965, poco prima dell'indipendenza di quest'ultima. Questo atto illegale, secondo il diritto internazionale, consentì al Regno Unito di mantenere il controllo sulle isole, creando il Territorio Britannico dell'Oceano Indiano (BIOT). Negli anni successivi, tra il 1971 e il 1973, la popolazione nativa, i Chagossiani, fu deportata con la forza a Mauritius e nelle Seychelles per fare spazio alla costruzione della base militare di Diego Garcia, un'installazione gestita dagli Stati Uniti e cruciale per la strategia militare anglo-americana.

Questa deportazione ha lasciato una ferita profonda: i Chagossiani, sradicati dalle loro terre e gettati nella povertà più assoluta, hanno vissuto decenni di marginalizzazione e lotte per ottenere il diritto di tornare alle proprie isole. Nonostante le pressioni internazionali e una schiacciante sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 2019, che dichiarava illegale il controllo britannico sulle isole, il Regno Unito ha resistito a lungo, ostacolando il processo di restituzione.

L'accordo del 2024, frutto di due anni di negoziati, prevede finalmente la restituzione della sovranità delle Isole Chagos a Mauritius. Tuttavia, Diego Garcia, la più grande delle isole, rimarrà sotto il controllo britannico per i prossimi 99 anni, con il pretesto della sicurezza regionale e globale. Questo “compromesso” conferma che il Regno Unito non ha alcuna intenzione di abbandonare il suo avamposto strategico nell’Oceano Indiano, da tempo anche un elemento chiave per le operazioni militari statunitensi.

È infatti il ruolo di Washington a essere stato determinante nello sblocco della situazione, una volta uscito di scena il governo conservatore fermamente contrario a qualsiasi forma di erosione di ciò che resta dell’impero britannico. La base di Diego Garcia è cruciale non solo per le operazioni militari attualmente in corso, ma sarà di importanza fondamentale, visto la posizione geografica che occupa, anche in un futuro conflitto con la Cina. Con la giustizia internazionale contro Londra e visto il conseguente problema di immagine che ne deriva, gli Stati Uniti hanno evidentemente preferito optare per una soluzione stabile e formalmente legittima, ovvero il ristabilimento della sovranità delle Mauritius sulle Chagos, piuttosto che rendersi complici di quella che era a tutti gli effetti un’occupazione illegale di un territorio coloniale da parte del Regno Unito.

L'opportunismo dietro questa decisione è dunque evidente: Londra, messa alle strette dalle crescenti pressioni internazionali, ha alla fine accettato di “cedere” il controllo su una parte dell'arcipelago, assicurandosi però la continuità operativa della base di Diego Garcia data in concessione agli USA. In pratica, il Regno Unito continua a esercitare la propria autorità sull'isola più importante, mentre Mauritius incassa solo una vittoria simbolica. Questo accordo, che prevede anche compensazioni economiche per i Chagossiani e un piano di reinsediamento su altre isole dell'arcipelago, esclude esplicitamente il ritorno a Diego Garcia dei suoi abitanti originari.

L’epilogo della vicenda consente così di celebrare formalmente la vittoria contro il colonialismo, anche se, dietro le quinte, le trattative che l’hanno resa possibile sono state incentrate sulle necessità militari e strategiche di Londra e Washington. La base militare di Diego Garcia, costruita sul dolore e l’esilio forzato di un intero popolo, rimarrà perciò attiva, garantendo la presenza anglo-americana nella regione per almeno un altro secolo. La marginalizzazione dei Chagossiani, tenuti totalmente fuori dal processo di “decolonizzazione”, invece continuerà, con molti di loro ancora impossibilitati a tornare a vivere sull'isola che chiamavano casa.

Rimane inoltre non del tutto risolta la questione dei risarcimenti. Nonostante l'accordo preveda la creazione di un fondo fiduciario e altre misure di sostegno economico, queste ultime risultano insufficienti e non ripagano nemmeno lontanamente i decenni di sofferenze e privazioni subite dagli esiliati. Le promesse di Mauritius di “resettlement” sulle isole minori dell'arcipelago sono state presentate come una soluzione accettabile, ma non riparano in realtà l'ingiustizia di base: Diego Garcia, il cuore pulsante della storia delle Chagos, rimane inaccessibile ai suoi abitanti originari.

In conclusione, l’accordo della scorsa settimana rappresenta una vittoria a metà, segnata dall'ombra di un colonialismo mascherato da pragmatismo geopolitico. Il Regno Unito, pur restituendo formalmente le Isole Chagos, continua a mantenere il controllo sull’elemento più strategico di questo arcipelago, dimostrando che, come sempre, gli interessi militari ed economici prevalgono sui diritti umani e sulla giustizia storica.

Per il Regno Unito, ad ogni modo, la soluzione rischia di produrre anche effetti indesiderati. Altri territori controllati ancora oggi da Londra potrebbero diventare oggetto di rinnovate rivendicazioni anti-coloniali sulla scia del precedente delle Chagos. È il caso in particolare della Isole Malvinas (Falkland) nell’Oceano Atlantico Meridionale. Subito dopo la notizia della scorsa settimana, il governo argentino ha infatti rilanciato pubblicamente l’impegno a ristabilire la propria sovranità sulle isole oggetto di una breve guerra con il Regno Unito nel 1982.

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