Il discredito dell’Autorità Palestinese (AP) in Cisgiordania, un territorio che controlla di fatto per Israele, sta toccando il punto più basso da circa un mese a questa parte dopo l’inizio di una campagna di polizia diretta non contro il regime di occupazione o lo strapotere dei coloni, ma contro la resistenza palestinese che minaccia il suo declinante potere. Al centro della repressione delle forze di sicurezza dell’AP c’è il campo profughi di Jenin e i militanti dell’omonimo Battaglione, molti dei quali appartenenti a formazioni rivali dell’Autorità, come Hamas e Jihad Islamica. Questo atteggiamento riflette una strategia ben precisa dell’organo guidato da Mahmoud Abbas (Abu Mazen), da ricondurre ai legami che intrattiene con Washington e Tel Aviv, ma rischia proprio per questo di trasformarsi in un boomerang, vista la rapida perdita dei consensi residui che esso determina tra la popolazione palestinese.

La situazione Jenin si è aggravata dai primi di dicembre con l’intensificarsi degli scontri a causa del vero e proprio assedio imposto dall’AP. Dall’inizio delle operazioni sono stati uccisi almeno sedici residenti del campo, incluso un bambino, e sei agenti di sicurezza dell’Autorità, caduti durante scontri a fuoco con i militanti di altri gruppi armati. La versione ufficiale dell’AP è che la campagna serve a ristabilire l’ordine a Jenin e altrove, dove opererebbero, seminando il caos, puri e semplici “criminali”.

È significativo che le forze dell’AP ricorrano agli stessi metodi repressivi delle forze sioniste sia in Cisgiordania sia a Gaza, come l’impiego di droni di ricognizione, raid e occupazione di ospedali e addirittura interruzione forzata di acqua ed elettricità. Da qualche tempo, inoltre, l’Autorità ha attuato un giro di vite sulla libertà di espressione, arrestando giornalisti e utenti qualsiasi di social media colpevoli di avere manifestato opinioni critiche nei confronti delle operazioni dell’AP. Nei giorni scorsi ha anche bandito Al Jazeera dalla Cisgiordania perché il network del Qatar avrebbe posizioni favorevoli a Hamas.

Assalti armati a Jenin degli uomini dell’AP seguono praticamente senza soluzione di continuità azioni simili da parte israeliana che durano da almeno due anni. Le forze sioniste, in concomitanza con il ritorno al potere di Netanyahu a capo di un governo ultra-radicale, avevano a loro volta inaugurato una campagna di distruzione, assassinii e arresti per reprimere la crescente ribellione concentrata nel campo di Jenin e fuori dal controllo dell’AP.

In generale, la situazione in Cisgiordania e a Gerusalemme Est è precipitata dall’ottobre 2023 con l’esplosione del conflitto a Gaza e l’inizio del genocidio. Fino a oggi in questi due territori sono stati uccisi più di 800 palestinesi, mentre oltre 1.400 sono stati gli attacchi documentati dei coloni illegali, risultanti in decine di morti, centinaia di feriti e distruzione diffusa delle proprietà palestinesi. Allo stesso tempo, la quantità di terre confiscate dai coloni israeliani per creare nuovi insediamenti illegali in questi mesi è stata superiore a quella dei due decenni precedenti.

Se l’ultra-corrotta Autorità Palestinese era già considerata il braccio israeliano in Cisgiordania, gli eventi delle ultime settimane hanno dato il colpo di grazia alla sua reputazione. Un anonimo esponente di spicco di Fatah, che fa parte dell’AP, ha spiegato al sito Middle East Eye che le operazioni in corso sono il risultato di pressioni da parte di Stati Uniti e Israele sostanzialmente per spingere l’Autorità a scegliere da che parte stare tra il regime di occupazione e la causa palestinese, “in cambio della sua permanenza al potere” in Cisgiordania. È chiaro che si tratta di una strategia comunque perdente, in quanto, se anche l’AP dovesse riuscire a reprimere del tutto la resistenza a Jenin, perderebbe “la giustificazione della sua esistenza agli occhi dei palestinesi”. Nel caso dovesse fallire, perderebbe invece “la giustificazione della sua esistenza per Israele”.

Le operazioni dell’Autorità stanno comunque creando divisioni molto gravi al suo interno e svariati membri hanno espresso la loro opposizione ai metodi impiegati per servire gli interessi israeliani sia in maniera esplicita sia, più frequentemente, in forma anonima. Le accuse che circolano riassumono gli obiettivi dell’AP nel prendere di mira la resistenza a Jenin e nel resto della Cisgiordania. L’intenzione principale sarebbe di mostrare la propria disponibilità all’amministrazione entrante di Trump in America, ma anche a Israele, per conservare la posizione di potere in Cisgiordania e auto-promuoversi come fidato strumento di governo nella striscia di Gaza una volta cessata la guerra di aggressione sionista.

La testata americana on-line Axios lo scorso dicembre aveva rivelato a questo proposito che Abu Mazen riteneva cruciale per il futuro dell’AP la repressione a Jenin. Essa era considerata un messaggio a Trump per dimostrare le capacità dell’organo di governo nei territori palestinesi. Non sorprende inoltre che queste operazioni, come aveva confermato sempre l’articolo di Axios, vengano coordinate tra il personale dell’Autorità e le forze armate israeliane.

Il New York Times ha scritto invece che il governo americano, responsabile in parte del finanziamento delle forze di sicurezza dell’AP, aveva invitato i vertici di quest’ultima all’escalation contro la popolazione palestinese in Cisgiordania, chiedendo nel contempo al regime di Netanyahu di astenersi dall’intervenire per dare il tempo all’Autorità di completare il proprio lavoro. È probabile che l’amministrazione Biden, di comune accordo con i regimi arabi sunniti come l’Arabia Saudita, intendesse rafforzare in questo modo la posizione dell’AP per favorire un suo ruolo nel controllo di Gaza o in vista di negoziati per la creazione di uno pseudo-stato palestinese.

Il problema per Abu Mazen o per chi succederà all’anziano leader è che Israele continua a respingere l’ipotesi di un governo dell’Autorità nella striscia. Inoltre, nonostante sia al servizio dell’occupazione, l’AP viene costantemente criticata e minacciata dalle frange più estreme della maggioranza di governo a Tel Aviv. Gli attacchi di elementi come i ministri Smotrich e Ben-Gvir, assieme al ritorno di Trump alla Casa Bianca e alla crescente impopolarità dell’AP, potrebbero perciò precipitare la situazione, determinando il collasso definitivo dell’Autorità Palestinese e spianare la strada all’annessione formale della Cisgiordania da parte dello stato ebraico.

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