La nomina alla Corte Suprema americana di due giudici ultra-conservatori da parte del presidente Trump ha dato il primo risultato di rilievo questa settimana con una sentenza che ha abbassato drammaticamente il livello di ammissibilità dell’applicazione della pena capitale. Il caso in questione riguarda il detenuto nel braccio della morte di una prigione del Missouri, Russell Bucklew, il quale soffre di una malattia molto rara che renderebbe estremamente dolorosa la prevista procedura di esecuzione tramite iniezione letale.

Le dimissioni finalmente annunciate martedì dal presidente algerino, Abdelaziz Bouteflika, sono state di fatto imposte alla cerchia di potere dell’anziano leader dai vertici militari dopo settimane di pressioni generate dalle manifestazioni popolari di protesta. Che l’iniziativa sia in grado di soddisfare i dimostranti resta però difficile da credere, dal momento che essa appare in larga misura il tentativo disperato del regime di conservare il controllo sul paese nordafricano.

 

Il passo decisivo verso la liquidazione di Bouteflika era stato fatto la settimana scorsa, quando il comandante delle forze armate algerine, generale Ahmed Gaid Salah, aveva “invitato” la camera alta del parlamento di Algeri a emettere una dichiarazione di incapacità a governare nei confronti del presidente in base al dettato dell’articolo 102 della Costituzione. L’appello dell’alto ufficiale algerino prendeva le mosse a livello ufficiale dall’infermità di Bouteflika, di fatto incapace di parlare e deambulare a causa di un ictus che lo aveva colpito nel 2013.

Le elezioni locali di domenica scorsa in Turchia si sono chiuse con un bilancio in chiaroscuro per il presidente, Recep Tayyip Erdogan, a circa nove mesi di distanza dal voto che aveva ratificato l’assunzione di ampi poteri da parte di quest’ultimo, come previsto dal referendum costituzionale del 2017. Il partito Giustizia e Sviluppo (AKP) resta infatti di gran lunga la principale forza politica del paese euro-asiatico, ma le sconfitte incassate nella capitale, Ankara, e in altre grandi città turche, inclusa forse Istanbul, indicano un’opposizione crescente che sembra trovare solo un’eco parziale nei risultati della consultazione.

A seconda del Paese con cui fa affari, la Cina viene definita dall’Ue “rivale sistemico” o “partner strategico”. Questa schizofrenia politico-commerciale è una patologia diffusa in quel di Bruxelles, ma il leader che ne soffre in maniera più evidente è senza dubbio Emmanuel Macron. Dopo aver attaccato l’Italia per la sua adesione alla Via della Seta, il Presidente francese ha accolto a Parigi con tutti gli onori possibili il numero uno cinese Xi Jinping, siglando con lui una serie di accordi molto più ricchi di quelli stretti fra Pechino e Roma.

La situazione in Turchia continua a presentare molti profili di interesse da vari punti di vista. Uscito vincitore dal tentativo di golpe dell’estate 2016, Tayyp Erdogan, il volitivo e ambizioso Sultano, ha proceduto in modo efficiente e spietato a fare i conti con i suoi numerosi e variegati nemici.

 

Un primo raggruppamento di costoro è costituito dai cosiddetti “gulenisti”, adepti della setta diretta dall’omonimo leader islamico, da tempo risiedente negli Stati Uniti, e forte di un radicamento notevole in settori chiave dell’amministrazione pubblica e del mondo dell’impresa turchi. Fino a poco tempo prima del golpe i rapporti tra Erdogan e Gulen erano improntati alla massima cordialità e alla collaborazione senza riserve.


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