Alberto Fernandez e Cristina Kirchner, candidati della sinistra peronista, hanno sconfitto il Presidente Macrì alle primarie per le elezioni presidenziali del prossimo autunno: 47 contro il 32 per cento il durissimo verdetto. Quindici punti di differenza che possono trasformarsi in distanza incolmabile. E’ stata una di quelle batoste che il presidente argentino di origini italiane, dai modi gentili e dalle idee rozze, con amicizie discutibili e politiche devastatrici, difficilmente dimenticherà. La relazione tra fallimento economico del governo e crisi di consensi pare ineludibile.
L’umiliazione di Macrì è la risposta degli elettori alle devastanti politiche ultraliberiste decise di concerto con il Fondo Monetario Internazionale. Come già avvenne con la sua musa ispiratrice, Menem, sostenuto dall’emissario dei fondi speculativi, Domingo Cavallo, la cura turbo liberista imposta agli argentini ha lastricato di fame, disoccupazione ed incertezza l’intero paese.

Lo scorso 5 agosto, i detenuti politici Edwin Espinal, Raúl Álvarez e Rommel Herrera, reclusi nel carcere di massima sicurezza "La Tolva", hanno reso pubblica la decisione di iniziare uno sciopero della fame indefinito, nella speranza di attirare l’attenzione sulla grave situazione di insicurezza e insalubrità in carcere e sul silenzio complice delle autorità. Di fronte ai locali della Procura a Tegucigalpa e nella piazza centrale di El Progreso, i famigliari dei tre detenuti politici, più quelli di un quarto giovane (Gustavo Cáceres), insieme ad attivisti del Comitato per la liberazione dei prigionieri politici, hanno iniziato un digiuno in solidarietà con i quattro detenuti.

Con una decisione inedita per l’area occidentale del pianeta, l’Amministrazione USA ha deciso di dichiarare l’embargo assoluto nei confronti del Venezuela. Donald Trump ha infatti emesso un ordine esecutivo presidenziale che allarga oltre ogni ragione il livello delle sanzioni nei confronti di Caracas, portando il paese latinoamericano al livello di altri destinatari dell’ira politica e commerciale statunitense come Russia, Corea del Nord, Siria, Iran. Vengono minacciati i Paesi che sceglieranno di mantenere rapporti commerciali con Caracas, che gli USA vogliono gettare nella disperazione; ma soprattutto non verranno perdonati partner commerciali perché la concorrenza commerciale non è amata.

Anche se dai protagonisti della crisi iraniana continuano ad arrivare segnali contradditori, le forze che si stanno muovendo attorno alla vicenda sembrano provocare un costante deterioramento del clima generale, fino a prospettare una pericolosa escalation del confronto tra Teheran da una parte e i governi occidentali e i loro alleati nel mondo arabo dall’altra. Questa tendenza verso il precipitare degli eventi è chiaramente visibile nella decisione della Casa Bianca di imporre sanzioni contro il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ma anche nella possibile creazione di una o più pattuglie navali per garantire la sicurezza delle petroliere in transito nelle acque del Golfo Persico.

Le misure punitive decise mercoledì contro Zarif segnano uno dei punti più bassi e imbarazzanti di quella che a stento può essere definita la politica estera dell’amministrazione Trump. Tra lo sbalordimento di diplomatici e osservatori, le sanzioni ai danni del capo della diplomazia di Teheran erano state ipotizzate già a fine giugno, in concomitanza con un altro colpo di genio della strategia iraniana di Washington, cioè le sanzioni contro la guida suprema della Repubblica Islamica, ayatollah Ali Khamenei.

Il dipartimento del Tesoro USA in quell’occasione aveva sostenuto di volere rimandare una decisione in merito allo status di Zarif per non chiudere del tutto la porta a un più che improbabile dialogo con l’Iran. Questo impegno per la pace o presunto tale era giunto dopo che l’amministrazione Trump aveva fatto di tutto per distruggere i modesti passi verso la distensione suggellati nel 2015 con l’accordo sul nucleare di Vienna (JCPOA).

Jorge Cuc Cucul, 77 anni, è stato assassinato il 25 luglio mentre lavorava nel suo campo di mais. Cuc era presidente della struttura locale del Comitato per lo sviluppo contadino, Codeca, nel villaggio Paracaidista, Livingston. Con lui sono già 14 i dirigenti del Codeca, un movimento indigeno e contadino molto attivo a livello nazionale, assassinati in poco più di un anno.

Il primo fu Luis Marroquín, membro della direzione nazionale, ucciso con nove colpi di arma da fuoco agli inizi di maggio 2018. Il Suv con i vetri oscurati da cui sono scesi i sicari era di proprietà del sindaco di San Pedro Pinula, fedelissimo del presidente guatemalteco Jimmy Morales. A nessuno interessò e questo particolare fu presto dimenticato, come furono dimenticati gli altri omicidi per i quali non c’è una sola persona in carcere.

L'impunità regna sovrana in Guatemala e la giustizia continua a essere a doppio binario: alta velocità quando si criminalizza la protesta sociale e a passo d’uomo quando si indaga su membri dell’oligarchia guatemalteca o delle forze armate.


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