Le elezioni anticipate di martedì in Israele hanno restituito risultati estremamente incerti che lasciano aperta la clamorosa ipotesi di un epilogo dell’era Netanyahu. Il primo ministro e il suo partito Likud devono fare i conti con la minaccia di essere scalzati dal ruolo di prima forza politica dalla coalizione “Blu e Bianca”, nominalmente di centro-sinistra. Se i risultati finali dovessero confermare questa realtà, Netanyahu potrebbe non solo veder finire la sua permanenza alla guida del governo, ma anche ritrovarsi ad affrontare la giustizia israeliana senza alcuna speranza di immunità.

Il devastante attacco del fine settimana contro alcuni impianti petroliferi sauditi è tornato a far salire il rischio di un’aggressione militare americana contro l’Iran proprio nel momento in cui i leader dei due paesi stavano esplorando un complicato percorso diplomatico. I responsabili della clamorosa iniziativa, che minaccia di sconvolgere il mercato del greggio in tutto il pianeta, non sono ancora stati individuati, anche se il messaggio lanciato a Riyadh con questa operazione appare chiarissimo e ha a che fare sia con il teatro di guerra dello Yemen sia con l’offensiva in corso contro Teheran da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati.

Alla fine del XX secolo, inizia un processo in cui gli Stati lasciano aree vitali dell'economia, dei servizi e delle comunicazioni; la liberalizzazione consente ai megaconglomerati di acquistare attività commerciali in aree diverse e diversificarsi. Siamo abitanti di un mondo su misura per grandi conglomerati transnazionali che producono sofisticati aerei da guerra, come cibo transgenico, notizie, missili, libri, computer, scarpe, videogiochi, carri armati, serie televisive, farmaci, artisti, eccetera. Possiedono la maggior parte della produzione di energia che consumiamo e finanziamo, dettano politica, moda e gusti.
Questi grandi conglomerati hanno i loro eserciti privati, i loro presidenti, i loro politici, i loro criminali, non sono governati da alcuna legge diversa dai loro interessi, né rispettano nulla di diverso dal profitto a tutti i costi e hanno i loro soldi al sicuro nei paradisi fiscali. Uno sciame di professionisti molto ben pagati nel private e investment banking, studi legali e revisori dei conti, li aiutano a evitare di pagare la loro quota. Alla fine del 2017, il New York Times ha rivelato che le persone più ricche degli Stati Uniti hanno un sistema fiscale che consente loro di risparmiare miliardi di dollari in tasse. Questo sistema mantiene conti all'estero con l'obiettivo di ridurre le aliquote fiscali.
La ricchezza individuale nascosta nei paradisi fiscali ammonta a 7,6 trilioni di dollari, una somma maggiore del PIL del Regno Unito e della Germania insieme. La somma delle entrate fiscali che l'Africa, l'Asia e l'America Latina perdono a causa di questa ricchezza nascosta ammonta a circa 70 miliardi di dollari all'anno. Presto non parleremo più dell'impero americano, ma degli imperi General Electric, Apple, Google, Exxon Mobil, Berkshire Hathaway, Johnson & Johnson, Amazon, Koch Industries...

 

Sovranità sovranazionale dei più ricchi
Viviamo in un sistema economico che lavora per favorire l'1% della popolazione mondiale, che ha più ricchezza del restante 99% della popolazione mondiale.
Secondo David Rockefeller, "la sovranità sovranazionale di un'élite intellettuale e dei banchieri mondiali è sicuramente preferibile all'autodeterminazione nazionale praticata nei secoli passati".
All'elite che governa il mondo continua ad interessare mantenere gli stati nazionali, ovviamente sempre più indeboliti; mantenere un impero il cui "destino manifesto" è governare il mondo, tramite la "nazione scelta da Dio", che concentra la maggioranza della ricchezza e la maggioranza dei più ricchi. Gli Stati Uniti continuano ad essere il paese che ha le persone più ricche del mondo, con un totale di 585 e 40 delle prime cento più ricche sono statunitensi.
Per raggiungere i loro scopi di dominazione del mondo hanno bisogno del caos, hanno bisogno che le persone siano disorientate per sentirsi isolate, spaventate, incapaci di pensare, per capire il mondo che li circonda. Hanno bisogno che le persone smettano di credere, perdano la fiducia nei governi, nei politici e in ogni altra cosa. Se guardiamo le notizie delle grandi agenzie, ogni giorno compaiono informazioni e informazioni sulla vicinanza di asteroidi che possono porre fine alla vita sulla terra, strane malattie mortali, previsioni di catastrofici terremoti, guerre, campagne mediatiche mirate favorire la sfiducia nelle istituzioni, crisi economiche prefabbricate e pericolosi nemici esterni.

 

Elimina "nemici" e persino "amici"
In America Latina, l'arrivo di leader progressisti nel governo ha comportato un duro colpo contro le rivendicazioni dei guerrieri di quel Nuovo Ordine; la speranza rinacque nel continente e in quelle condizioni il piano imperiale per il nuovo secolo era destinato a fallire. Disfarsi di costoro, con qualunque mezzo, di tale ostacolo, era essenziale. Come i vecchi cavalieri oscuri del Rinascimento usarono il pugnale, il veleno o la bugia.
Si sollevò un'intera campagna di persecuzione della corruzione, di distruzione dell’immagine, di accuse vere o false ovunque, contro tirannici e troiani. Portarono leader progressisti come l'ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva, un possibile vincitore delle ultime elezioni in Brasile, e portarono al potere un fantoccio fascista come Jair M. Bolsonaro.
L’aspetto più importante di questo tipo di operazioni anticorruzione - che suscita l'approvazione della maggioranza della popolazione - è che il tema è un vecchio, eterno  del sistema politico amministrativo capitalista; è possibile dire parte della sua essenza, soprattutto in America Latina, dove la maggior parte dei sovrani sale al potere non per servire ma per arricchirsi ed arricchire i loro parenti. Ciò genera grande sfiducia ed erode la fiducia nei sistemi di governo. La scoperta dei Panama Papers, di Lava Jato, Odebrecht, ha preso di mira presidenti, first lady, senatori, deputati, leader di partiti politici tradizionali che sono stati accusati, detenuti e perseguiti. Scandalo dopo scandalo, chi può credere oggi ai politici?

Chi credete che governi allora? Molti analisti dicono che nello scenario precedente mai un uomo come Bolsonaro sarebbe potuto diventare presidente, nemmeno uno come Donald Trump e tanti altri ancora. Le persone ormai non credono più nei partiti politici e votano per chiunque, per personaggi costruiti dagli influencer, promossi dalle reti social, persone che da You Tube, Twitter, o Waths App promettono di mettere fine all’establishment.

Juan Guaidó è il tipico soldato del Nuovo Ordine. Non potrebbe mai avere una posizione di responsabilità da nessuna parte, è una figura creata dai soldi del potere imperiale; agnello sacrificale del governo degli Stati Uniti, è oggi un agente del caos. Il furto delle risorse di un paese come il Venezuela su una scala senza precedenti, l'antipatriottismo portato all'estremo dalla cosiddetta opposizione, la negoziazione illegale dell'Esequibo firmata da un falso presidente, che cerca di consegnare le immense risorse della regione all'Exxon Mobil, soffia utilizzando le nuove tecnologie, gli attacchi informatici contro il sistema elettrico, le minacce che mantengono il popolo venezuelano sotto una pressione illimitata e che solo la storia di quel paese, lo spirito patriottico e rivoluzionario della sua gente è stata in grado di affrontare e superare, sono i punti del agenda destabilizzante.
I molto, molto ricchi, l'élite del mondo, si prepara a dominare senza riserve; i loro figli si nutrono molto meglio della maggioranza, frequentano università selezionate, gestiscono enormi risorse, formano famiglie, vivono lontani dal resto dell'umanità e sognano un mondo ultra tecnologico, controllato da loro, dove non esiste un no ai loro capricci e dove le loro le casse crescono all'infinito.


Le dieci persone più ricche del mondo nel 2019:
1. Jeff Bezos: 124,7 miliardi di dollari. Azienda: Amazon Nazionalità: americana
2. Bill Gates: 93,5 miliardi di dollari. Azienda: Microsoft. Nazionalità: americana
3. Warren Buffett: 84 miliardi di dollari. Azienda: Berkshire Hathaway. Nazionalità: americana
4. Bernard Arnault (e famiglia): 68,4 miliardi di dollari. Azienda: lvmh. Nazionalità: francese
5. Carlos Slim (e famiglia): 54,9 miliardi di dollari. Azienda: América Móvil. Nazionalità: messicana
6. Amancio Ortega: 57,2 miliardi di dollari. Azienda: Inditex. Nazionalità: spagnola.
7. Larry Ellison: 55,5 miliardi di dollari. Azienda: Oracle Nazionalità: americana
8. Mark Zuckerberg: 49 100 milioni di dollari. Azienda: Facebook Nazionalità: americana
9. Pagina Larry: 48,5 miliardi di dollari. Azienda: Google Nazionalità: americana
10. Sergey Brin: 47,3 miliardi di dollari. Azienda: Google Nazionalità: americana
• Secondo Oxfam, per combattere la povertà sono necessari 60 miliardi di dollari all'anno.
fonte: ONG Oxfam Intermon, Forbes

La Costa Rica non smette mai di stupire. Presentata come la nazione latinoamericana ‘verde’, ‘ecologica’ e ‘pacifica’ per eccellenza, e collocata dall’Onu al dodicesimo posto dei paesi più felici al mondo e al primo tra quelli dell’America latina, la novella “Svizzera centroamericana” ha però parecchi scheletri nell’armadio. È di pochi giorni fa l’ennesima notizia sulle tragiche conseguenze dell’espansione senza controllo delle monocolture su larga scala. Insegnanti e studenti della scuola primaria “La Ceiba” di Platanar, distretto di Florencia, sono rimasti intossicati a causa della fumigazione con pesticidi della piantagione di ananas Bella Vista che circonda la scuola. Delle 22 persone che hanno cominiciato ad avere mal di testa, nausea e vertigini, 16 sono bambini che frequentano la scuola.

A Congo di Guácimo, provincia di Limón, gli abitanti subiscono ogni giorno gli effetti dell’esposizione alle fumigazioni aeree di pesticidi, mentre nella scuola “El Jobo” di Los Chiles, gli studenti sono stati esposti per anni a sostanze agrotossiche usate nelle piantagioni di ananas che circondavano l’edificio scolastico, solo per fare due esempi.

Tutto ciò avviene sotto gli occhi delle autorità che da una parte promuovono la Costa Rica come un paradiso in terra e dall’altra non si sforzano nemmeno per fissare distanze minime tra una piantagione e le aree abitate, né per regolamentare le fumigazioni con pesticidi in prossimità di centri abitati, scuole e ospedali, né per proteggere la popolazione da una sempre più pressante campagna delle multinazionali che controllano il mercato mondiale delle sementi e dei pesticidi, per l’apertura incontrollata alle coltivazioni transgeniche.

Ben pochi sanno poi che la Costa Rica ha vantato il record mondiale nel consumo di pesticidi per ettaro (18,2kg/Ha). Durante il 2017 sono stati importati 18,6 milioni di chilogrammi di principi attivi, una tonnellata in più dell’anno precedente (fonte Sfe).

Nel 2018 la nazione centroamericana ha importato insetticidi, erbicidi e funghicidi per un totale di 155 milioni di dollari, vale a dire il 23,5% del totale importato dalla regione centroamericana e da Panama (fonte Sieca). Anche se non si raggiungono certo i livelli di criminalizzazione e persecuzione di nazioni vicine come l’Honduras e il Guatemala, chi difende la terra e i beni comuni non ha vita facile. Secondo il movimento ecologista costaricano (Fecon) in quasi 40 anni (1970-2019) si sono registrati almeno 26 omicidi di persone vincolate alla lotta per l’ambiente. Il crimine più recente è stato perpetrato lo scorso marzo contro il dirigente indigeno e difensore dei territori del popolo Bribri, Sergio Rojas Ortíz. Dopo sei mesi il delitto rimane ancora impunito.

 

Antisindacalismo duro

Ma in Costa Rica non si fa solo a pezzi l’ambiente. La nazione centroamericana è anche tra le più antisindacali dell’intero continente latinoamericano. Secondo dati del Ministero del lavoro (2015) solo il 10% dei lavoratori è iscritto a un sindacato. Nel settore pubblico, dove lavora solamente l’8% degli occupati, il 34% è sindacalizzato, mentre nel settore privato, che raccoglie il restante 92% di lavoratori e lavoratrici, la percentuale è inferiore al 3% e il diritto alla libertà sindacale e alla contrattazione collettiva (Conv. 87 e 98 dell’Organizzazione internazionale del lavoro, Oil) è praticamente inesistente.

Uno dei settori più combattivi è quello dell’istruzione. L'anno scorso l’Associazione nazionale degli educatori e delle educatrici (Ande) è stata la punta di lancia di un movimento popolare che, per tre mesi, ha bloccato il paese contro una riforma fiscale imposta dal governo. Meno di un anno dopo, il settore istruzione è ancora in piazza, questa volta per difendere il diritto allo sciopero.

Nell'ottobre 2018, il presidente del parlamento, Carlos Ricardo Benavides, presentò un disegno di legge (numero 21049) il cui obiettivo era quello di restringere il diritto di sciopero. Un mese dopo, la deputata conservatrice Yorleni León presentó un nuovo disegno di legge (21097) in cui si negava tale diritto a settori considerati “essenziali”, tra questi l'istruzione pubblica. Venivano inoltre applicate detrazioni salariali a quei lavoratori che avessero aderito a uno sciopero dichiarato poi illegale dalle autorità e si decretava la proibizione di scioperare contro le “politiche pubbliche”.

Il 9 agosto di quest’anno i due disegni sono stati accorpati e la nuova legge è stata alla fine approvata contro venti e maree. La piazza ha reagito. La Ande e altre organizzazioni del settore hanno decretato uno sciopero intermittente e indefinito e hanno chiesto l’intervento immediato del direttore dell’Oil per aprire un tavolo di trattativa.
“Ci siamo riuniti e abbiamo raggiunto vari accordi, tra cui quello di escludere il settore istruzione da quelli considerati essenziali. Purtroppo in parlamento sono poi state presentate varie mozioni che hanno modificato il testo dell’accordo. Non ci hanno lasciato altra scelta e siamo tornati in piazza”, racconta Gilberto Cascante, presidente dell'Ande.

Le organizzazioni di settore hanno inoltre presentato un ricorso per sollevare questione di legittimità costituzionale della nuova legge approvata in prima lettura nei giorni scorsi. Per farlo hanno dovuto raccogliere le firme di dieci deputati e presentare ricorso alla Corte Costituzionale, che ora avrà 30 giorni per pronunciarsi. “Non possiamo cedere, non possiamo perdere il diritto di scendere in piazza a protestare quando vogliono togliere la dignità a lavoratori e lavoratrici. Non possiamo perdere il diritto di sciopero che è un diritto costituzionale”.

 

I soliti noti
Per Cascante ciò che sta accadendo, non solo in Costa Rica ma nella maggior parte dei paesi dell'America Latina e del mondo, fa parte di “un piano macabro” ordito dal Fmi (Fondo monetario internazionale), dalla Banca mondiale e dall'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). “Criminalizzano la protesta sociale, precarizzano la sanità e l'istruzione e ci trasformano in manodopera a basso costo esposta allo sfruttamento. Siamo di fronte a un modello che peggiora la qualità della vita delle persone, toglie il diritto alla salute, all'istruzione e a un lavoro dignitoso e contribuisce ad arricchire ancora di più i colossi economici nazionali e multinazionali”.
Un'offensiva che gode del sostegno pressoché assoluto dei principali organi d’informazione, come parte integrante della campagna di stigmatizzazione e criminalizzazione dei lavoratori organizzati e della protesta sociale.

A pochi giorni da un cruciale appuntamento con le urne, la posizione del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, è quella di un animale braccato, con le spalle al muro. In affanno come non mai nei sondaggi, minacciato da procedimenti giudiziari, costretto a fare i conti con la prospettiva di un clamoroso negoziato tra USA e Iran e a districarsi con le pressioni opposte dei potenziali alleati di governo, “Bibi” sta cercando di salvare la sua carriera politica com’è sempre stato solito fare, agitando lo spettro della guerra e attaccando frontalmente ciò che resta dei diritti del popolo palestinese.


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