Il Washington Post ha pubblicato lunedì una serie di documenti classificati che in molti negli Stati Uniti hanno definito come la versione afgana dei “Pentagon Papers”, apparsi sullo stesso giornale nel 1971 e che documentavano le manovre del governo di Washington in relazione alla guerra in Vietnam. Con le dovute differenze, anche quelli appena rivelati all’opinione pubblica americana e internazionale contribuiscono in effetti a dimostrare come il più lungo conflitto della storia USA sia fondamentalmente un’impresa criminale basata su una montagna di menzogne.

Le circa duemila pagine di documenti in questione contengono interviste e testimonianze di esponenti militari e del governo statunitense, consultati dall’ufficio del cosiddetto Ispettore Speciale Generale per la Ricostruzione dell’Afghanistan (SIGAR). Quest’ultimo è un organo creato nel 2008 con l’incarico di analizzare tutti gli aspetti della guerra nel paese centro-asiatico e di offrire un quadro della situazione attraverso rapporti periodici.

Il processo diplomatico in atto tra Stati Uniti e Corea del Nord continua ad avanzare a grandi passi verso il definitivo fallimento e il probabile imminente ritorno alla situazione di estrema tensione che regnava prima dell’improbabile disgelo tra Donald Trump e Kim Jong-un. La situazione si è aggravata nel fine settimana dopo un test dai contorni non ancora del tutto chiari condotto dal regime di Pyongyang, accompagnato da un avvertimento del presidente americano che è apparso tra i più minacciosi degli ultimi due anni.

Già da qualche mese vengono in realtà registrate quelle che la stampa internazionale definisce per lo più come “provocazioni” da parte della Corea del Nord. Esse servirebbero a fare pressioni sulla Casa Bianca per ottenere qualche concessione nel quadro dei negoziati, in primo luogo l’allentamento delle sanzioni tuttora imposte al paese dell’Asia nord-orientale in cambio dei passi non del tutto trascurabili fatti dallo stesso Kim.

Venezuela, Cuba, Nicaragua, Messico. I paesi progressisti o socialisti dell’America Latina, sono vittime di una guerra ibrida decisa dagli Stati Uniti, condotta con sanzioni, minacce, aggressioni mediatiche e politiche, blocchi economici e colpi di Stato con il sostegno aperto degli organismi multilaterali. Le motivazioni sono ideologiche, economiche, politiche. Affermare che "gli Stati Uniti non possono tollerare che in America Latina vi siano sistemi politici incompatibili con i suoi standard di libertà” è una dichiarazione di guerra ideologica, che conferma quella economica e indica la possibilità di passaggio a quella militare. Dichiarare il Nicaragua “inusuale e grave minaccia alla sicurezza nazionale USA”, oltre che una affermazione ridicola da ogni punto di vista, è un artificio politico per aggredire il governo sandinista. E’ la sicurezza nazionale del Nicaragua ad essere minacciata dagli USA, non viceversa.

Con le audizioni alla commissione Giustizia della Camera dei Rappresentanti di Washington, nella giornata di mercoledì si è aperto un nuovo capitolo nel procedimento di impeachment contro il presidente Trump che dovrebbe portare entro la fine dell’anno a un primo voto in aula. Le responsabilità politiche e, probabilmente, anche legali accumulate in quasi tre anni dall’inquilino della Casa Bianca sono in effetti pesanti, ma la strada scelta dal Partito Democratico per tentarne la destituzione continua ad avere poco o nulla a che fare con la difesa della democrazia e dei principi costituzionali degli Stati Uniti.

Quello che avrebbe dovuto essere un evento all’insegna dell’unità tra i paesi membri della NATO a 70 anni esatti dalla sua fondazione, si è subito trasformato questa settimana in una nuova dimostrazione delle profonde divisioni che stanno attraversando il Patto Atlantico. Da un lato, la militarizzazione dell’Alleanza appare sempre più intensa, sotto la spinta di spese esorbitanti, mentre dall’altro continuano a emergere contrasti sulle priorità strategiche e sul ruolo degli Stati Uniti di Donald Trump.

Il vertice vero e proprio tra i 29 capi di stato e di governo riuniti nella capitale britannica è andato in scena mercoledì, con una serie di questioni all’ordine del giorno che, anch’esse, vedono i paesi NATO su posizioni spesso contrapposte. Tra di esse c’è la situazione in Siria dove sono in corso le operazioni della Turchia, condannate da svariati governi e al centro di polemiche alla vigilia del vertice. Erdogan aveva chiesto di designare le milizie curde siriane come organizzazione terroristica in cambio del via libera a un piano NATO di “difesa” rivolto ai paesi Baltici in funzione anti-russa.


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