La decisione era nell’aria da alcuni giorni. Il Partito Democratico americano era tornato infatti ad agitare l’ipotesi impeachment dopo le ultime rivelazioni su Donald  Trump. Alla fine, la “speaker” della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, ha annunciato il lancio formale della procedura di incriminazione del presidente degli Stati Uniti davanti al Congresso di Washington.

Che Trump sia responsabile di avere accelerato l’implementazione di forme di governo autoritarie, spesso in diretta violazione della Costituzione, è innegabile. Che il processo innescato dalla leadership del partito di opposizione negli USA rappresenti uno sforzo genuino per ripristinare la democrazia e il diritto, tuttavia, è quanto meno discutibile.

La minaccia dell’impeachment pendeva su Trump ancora prima del suo insediamento alla Casa Bianca, tanto che a tutt’oggi ci sono sei commissioni della Camera dei Rappresentanti che continuano a indagare su casi relativi alla condotta del presidente. La vicenda che ha però convinto i leader democratici a rompere gli indugi riguarda il presunto tentativo di Trump di convincere il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, a favorire l’incriminazione dell’ex presidente americano, Joe Biden, nel paese dell’Europa orientale.

Con un verdetto che rappresenta una nuova devastante sconfitta per il primo ministro Boris Johnson, martedì la Corte Suprema del Regno Unito ha giudicato “illegale” la sospensione di cinque settimane del Parlamento di Londra che lo stesso capo del governo aveva imposto per cercare di mandare in porto la Brexit con o senza un accordo con l’Unione Europea. La sentenza potrebbe rafforzare il ruolo del potere legislativo nel decidere le modalità dell’uscita del paese dall’UE ma, soprattutto, aggrava ulteriormente la crisi politica in atto, lasciando a Johnson l’opzione di farsi da parte o di ricorrere a manovre ancora più anti-democratiche di quella appena bocciata in maniera clamorosa dal più alto tribunale d’appello britannico.

Un nuovo caso di abuso di potere da parte del presidente americano Trump ha riacceso in questi giorni il dibattito su un possibile imminente procedimento di impeachment nei confronti dell’inquilino della Casa Bianca. Senatori e deputati del Partito Democratico, in parallelo ai media ufficiali di orientamento “liberal”, si sono rapidamente mobilitati dopo l’ennesima fuga di notizie che ha raccontato di come Trump avesse discusso con un leader straniero, poi identificato nel neo-presidente ucraino Volodymyr Zelensky, di informazioni giudicate sensibili dall’intelligence USA e, soprattutto, si fosse adoperato per ottenere vantaggi in chiave elettorale.

Difendere la terra e i beni comuni diventa sempre più rischioso e la possibilità di perdere la vita, quasi una certezza. Nell’ultima settimana, tre attiviste sono state uccise in Guatemala e Honduras. Il 14 settembre, Paulina Cruz Ruiz, autorità ancestrale maya Achi, è stata assassinata da sconosciuti in Baja Verapaz. Suo marito è in ospedale in bilico tra la vita e la morte. Paulina era molto attiva nei processi di organizzazione comunitaria e da tempo si opponeva a progetti minerari che minacciano il territorio.

Stessa sorte per Mirna Suazo Martínez, presidentessa del patronato della comunità di Masca e attivista per i diritti della popolazione garifuna honduregna, assassinata l’8 settembre da uno sconosciuto che ha fatto irruzione nel locale che gestiva. In questa zona la popolazione sta lottando contro la costruzione di due dighe e la possibile installazione di una “charter city”.

A poche settimane dalle elezioni federali in Canada, il primo ministro Justin Trudeau, a lungo considerato il volto vincente del progressismo occidentale, è stato trascinato in un nuovo scandalo, o presunto tale, che minaccia di complicare il suo percorso verso la rielezione. Se è innegabile che il leader dei liberali canadesi abbia fatto soprattutto dell’ipocrisia e della finzione la cifra delle sue politiche solo in apparenza di sinistra, è altrettanto vero che il fuoco incrociato a cui è esposto da mesi risponde a una precisa campagna, orchestrata da determinate sezioni dei poteri forti canadesi, per spostare ancora più a destra il baricentro politico del paese nordamericano.

Nella serata di mercoledì, Trudeau si è dovuto presentare alla stampa per scusarsi pubblicamente di un comportamento ritenuto inaccettabile in occasione di un evento risalente all’anno 2001. A provocare un autentico polverone sui media canadesi e americani è stata cioè la pubblicazione sulla rivista Time di un’immagine che ritrae il premier travestito da Aladino con la faccia e le mani dipinte di nero.


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