La disintegrazione degli equilibri politici post-franchisti in Spagna sembra avere raggiunto un punto talmente avanzato da rendere introvabile una soluzione alla crisi in atto anche attraverso il ripetuto ricorso allo strumento fondamentale della democrazia liberale, vale a dire l’esercizio del voto. Alla chiusura del quarto appuntamento con le urne in altrettanti anni nel paese iberico, infatti, le contraddizioni e gli ostacoli alla formazione di un nuovo esecutivo non solo non sono diminuiti rispetto ai mesi scorsi, ma si sono addirittura aggravati.

Il dato più clamoroso e preoccupante delle elezioni anticipate di domenica è stato senza dubbio l’avanzata dell’estrema destra spagnola, dopo che a lungo questo paese era stato considerato più o meno immune dal contagio di “malattie” come populismo e ultra-nazionalismo. Il partito Vox ha invece quasi raddoppiato il numero dei propri seggi nella camera bassa del parlamento di Madrid, passando dai 24 ottenuti dopo il voto dello scorso aprile ai 52 odierni. Il numero di consensi intercettati è aumentato però soltanto di circa un terzo dalla precedente consultazione.

Vox ha inevitabilmente beneficiato di una campagna elettorale e, più in generale, di un clima politico influenzati dalla retorica nazionalista e reazionaria in relazione al persistere della questione catalana. Nel corso della campagna elettorale, il dibattito politico in Spagna è stato d’altra parte caratterizzato da una sorta di competizione tra i leader dei principali partiti nazionali per mostrare l’atteggiamento più duro possibile nei confronti dei separatisti catalani.

Anche tra coloro che chiedevano e continuano a chiedere il dialogo con Barcellona, non sono mai mancati gli appelli tossici al patriottismo e le promesse di applicare in maniera rigorosa la legge spagnola, tradottisi nell’approvazione pressoché unanime dei recenti pesantissimi verdetti contro i leader indipendentisti, arrivati al termine di processi-farsa, per avere organizzato il referendum del 2017. In questo quadro, Vox e il suo numero uno, Santiago Abascal, hanno ricevuto legittimità politica e una copertura mediatica eccezionale, consegnando al partito di ultra-destra un successo elettorale senza precedenti.

Il Partito Socialista (PSOE) del primo ministro, Pedro Sanchez, ha comunque ottenuto ancora una volta il maggior numero di voti (28%) e di seggi (120). Il tentativo di rafforzare la propria posizione con un altro voto anticipato dopo le infruttuose trattative dei mesi scorsi per formare un governo di coalizione o di minoranza è però fallito totalmente. Sia il PSOE sia l’altra principale forza di “sinistra” spagnola, Unidas Podemos, hanno infatti perso terreno.

La strada, auspicata anche nella serata di domenica da Sanchez, verso un gabinetto “progressista” appare perciò ancora più accidentata rispetto ad aprile. I due partiti, già incapaci di stipulare un qualche accordo, per raggiungere la maggioranza assoluta di 176 seggi necessari a governare, si ritroverebbero ancora più dipendenti da quelli regionali, primi fra tutti quelli catalani, usciti rafforzati dalle elezioni e le cui aspirazioni indipendentiste il PSOE ha promesso di estinguere.

La destra, nel suo complesso, ha dunque ripreso fiato, sia pure grazie a un riallineamento del proprio elettorato di riferimento piuttosto che a un allargamento del numero totale dei consensi. L’esplosione di Vox e il guadagno di 22 seggi da parte del Partito Popolare (PP) sono stati cioè in primo luogo la conseguenza di uno spostamento a destra di buona parte di coloro che in primavera avevano votato per il partito relativamente moderato Ciudadanos, il quale ha perso ben 47 dei 57 seggi di cui disponeva.

A favorire la destra è stata anche l’impennata dell’astensionismo. Lo stallo politico e i continui round di inconcludenti negoziati, soprattutto tra PSOE e Unidas Podemos, hanno fatto in modo che il 30% degli elettori spagnoli, cioè sei punti percentuali in più rispetto ad aprile, abbiano rinunciato a recarsi alle urne.

L’ulteriore flessione di Unidas Podemos, in particolare, è probabilmente il risultato della crescente sfiducia di giovani e lavoratori. Questo partito teoricamente anti-austerity ha corteggiato per mesi Sanchez e il PSOE, mostrandosi però esitante nell’entrare in una coalizione di governo o nell’appoggiare dall’esterno un esecutivo a guida socialista in assenza di determinate garanzie.

Le ragioni di questa incertezza sono da ricercare nel timore di essere identificato da un lato con la repressione dei separatisti catalani e dall’altro con le misure economiche in preparazione sul fronte interno di natura non esattamente progressista. Nelle scorse settimane, infatti, Sanchez aveva presentato a Bruxelles la proposta del prossimo bilancio spagnolo che conteneva, tra l’altro, pesanti tagli alla spesa pubblica. I tentennamenti di Unidas Podemos hanno così influito sulla performance del partito, anche se il suo leader, Pablo Iglesias, dopo la chiusura delle urne è subito tornato a chiedere il dialogo col PSOE per mandare in porto un governo che dovrebbe presumibilmente fare da argine alla destra.

In apparenza, le prime dichiarazioni del premier socialista hanno fatto intravedere ancora una volta una possibile preferenza per un gabinetto di minoranza. Questa soluzione, già naufragata nei mesi scorsi, resta tuttavia improbabile. Se le prossime settimane faranno più chiarezza sulle intenzioni delle varie forze politiche, è apparsa subito evidente una certa convergenza sulla proposta di un governo di “unità nazionale” tra PSOE e PP.

Sanchez ha già lanciato segnali in proposito, richiamando le altre forze politiche alla “responsabilità” per uscire dal pantano attuale. Il numero uno dei popolari, Pablo Casado, è stato ancora più esplicito, nonostante i prevedibili attacchi contro il PSOE. A suo dire, la “palla è ora nel campo di Sanchez”, mentre il PP resta in attesa di una proposta concreta da parte del primo ministro. Per rompere lo stallo prolungato, i popolari sarebbero perciò pronti a mostrare tutto il loro senso di “responsabilità”.

La stampa ufficiale spagnola ha da parte sua già dato la propria benedizione a una soluzione di questo genere. Editoriali e commenti favorevoli a una collaborazione PSOE-PP sono stati numerosi già tra la serata di domenica e la giornata di lunedì. In tutti i casi, alla luce del caos di questi ultimi anni e del deteriorarsi della situazione economica e sociale spagnola, un esecutivo con un’ampia maggioranza viene visto come l’unico in grado di stabilizzare il quadro generale e contenere le molteplici forze centrifughe.

Lunedì, al termine di una riunione del comitato esecutivo del PSOE, alcuni esponenti di spicco del partito si sono detti scettici circa un governo col PP. Una simile presa di posizione a livello ufficiale è comprensibile in questo momento, vista l’impopolarità di un eventuale intesa con la destra. Se non dovessero emergere altre soluzioni percorribili, però, è estremamente probabile che i due partiti possano andare in questa direzione.

Uno stretto collaboratore di Sanchez, citato dalla testata on-line Politico.eu, ha confermato come un governo sul modello della “grosse Koalition” tedesca sia l’ipotesi più probabile per sventare un’altra pericolosa elezione anticipata. La fonte anonima ha assicurato che “Casado faciliterà l’investitura di Sanchez”, visto che i due principali partiti spagnoli non possono permettersi di andare nuovamente al voto di qui a pochi mesi. Se così dovesse accadere, ha aggiunto il consigliere del premier, “Vox finirà per demolire entrambi”.

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