Anche se le cause del disastro aereo di domenica scorsa in Etiopia rimangono ancora da verificare, una serie di indizi relativi al velivolo della Boeing schiantatosi al suolo poco dopo la partenza da Addis Abeba e la stessa situazione del settore aereonautico civile a livello globale permettono già da ora di esprimere una serie di considerazioni sulla vicenda che è costata la vita a 157 persone. Le condizioni atmosferiche ottimali registrate poco prima dell’incidente, la data di costruzione recentissima dell’aeromobile e il livello di esperienza del comandante, d’altra parte, avevano subito suscitato parecchi dubbi sull’accaduto, soprattutto alla luce delle analogie riscontrate con il disastro dell’ottobre scorso in Indonesia.

Il governo conservatore di Theresa May martedì si è visto respingere per la seconda volta dal Parlamento di Londra il piano di uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea concordato con Bruxelles. L’accordo, già bocciato pesantemente a gennaio, era stato modificato in extremis lunedì, ma non ha prevedibilmente alterato di molto gli equilibri tra i favorevoli e i contrari, così che il processo di separazione innescato dal referendum del 2016 resta ancora avvolto dalla nebbia a poco più di due settimane dalla data ufficialmente prevista per l’addio all’UE.

Gli sforzi per un dialogo politico in Nicaragua camminano a singhiozzo. Il governo di Daniel Ortega, su richiesta di opposizione, chiesa e industriali aveva dato inizio al tavolo di concertazione, ma gli stessi richiedenti, che dapprima avevano aderito e che poi avevano firmato l’accordo sui termini operativi del dialogo, hanno abbandonato il negoziato.

 

Il governo sandinista non ha posto limiti ai temi in discussione, pur proponendo i punti principali: rafforzamento delle istituzioni di garanzia nel processo elettorale così come concordate con la OEA, giustizia ed indennizzi per le vittime del tentato golpe del 2018, riesame della situazione giuridica degli arrestati e provvedimenti di clemenza, appello agli organismi internazionali contro le sanzioni USA al Nicaragua.

Al già complicato stato dei rapporti tra gli USA e molti dei loro alleati, il presidente Trump starebbe per aggiungere un nuovo elemento di destabilizzazione che rischia di produrre l’effetto contrario a quello ufficialmente voluto dalla Casa Bianca. Il governo degli Stati Uniti avrebbe cioè in preparazione un piano per far pagare a quei paesi che ospitano basi e contingenti militari americani l’intero costo del loro mantenimento, più un’ulteriore somma non ancora definita.

 

La notizia riportata dalla stampa d’oltreoceano riprende un argomento che ha fatto parte fin dall’inizio della retorica ultra-nazionalista dell’amministrazione Trump. Non solo, essendo questa un’idea attribuita principalmente all’ex consigliere neo-fascista del presidente, Stephen Bannon, conferma come gli ambienti di estrema destra a cui quest’ultimo appartiene continuino a esercitare una profonda influenza sulle politiche formulate alla Casa Bianca.

Dando concreto esempio di cosa intende la Casa Bianca quando parla di “aiuti umanitari”, il Venezuela ha subito una serie di attacchi informatici voluti, organizzati e successivamente rivendicati dal governo degli Stati Uniti. E' stato colpito il sistema automatizzato di El Guri, da cui dipende la distribuzione nell’80% del territorio nazionale dell’elettricità venezuelana.

 

Come succederebbe in qualunque paese del mondo che si trovasse improvvisamente privo della sue rete elettrica e, per conseguenza, informatica, il blocco dell’erogazione di elettricità ha mandato in tilt tutti i sistemi che poggiano sulla rete elettrica: dal sistema viario a quello informatico, dall’illuminazione delle strade, alle case private e agli edifici pubblici.


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