L’abbattimento di un drone americano forse in territorio iraniano è stato giovedì il primo incidente che ha messo di fronte direttamente Washington e Teheran da quando le tensioni tra i due paesi sono tornate ad aumentare a causa delle politiche sempre più aggressive dell’amministrazione Trump. Le forze armate USA avevano inizialmente negato di avere velivoli in ricognizione nell’area del Golfo, ma, dopo i dettagli dell’accaduto diffusi dai Guardiani della Rivoluzione iraniani, la notizia dell’abbattimento è stata confermata anche dai militari americani.

Il segretario alla Difesa ad interim degli Stati Uniti, Patrick Shanahan, martedì si è improvvisamente dimesso dalla sua carica, dopo che poco più di un mese fa era stato candidato dalla Casa Bianca alla nomina definitiva a capo della macchina da guerra americana. L’addio dell’ex top manager di Boeing è da attribuire ufficialmente a un’oscura vicenda di maltrattamenti famigliari risalente a quasi un decennio fa, anche se, quasi certamente, la vera ragione dell’avvicendamento alla guida del Pentagono ha a che fare con le divisioni crescenti all’interno dell’amministrazione Trump sotto la spinta delle numerose crisi internazionali in corso, a cominciare da quella iraniana.

Anche se la morte improvvisa dell’ex presidente egiziano, Mohamed Mursi, in un’aula di tribunale sembra essere avvenuta per cause naturali, i veri responsabili del suo decesso sono coloro che ne hanno ordinato la detenzione e i processi-farsa a suo carico, vale a dire i vertici dell’attuale regime militare del generale Abdel Fattah al-Sisi, assieme ai governi occidentali che, dopo il golpe del 2013, avevano rapidamente abbandonato alla propria sorte il primo leader democraticamente eletto del paese nordafricano.

Dopo l’attacco di settimana scorsa contro due petroliere nel Golfo dell’Oman, le tensioni tra Iran e Stati Uniti sono arrivate molto vicine al punto di rottura. Un’eventuale nuova provocazione rischia di scatenare uno scontro militare dalle conseguenze potenzialmente rovinose, soprattutto in considerazione che nessuna delle due parti sembra avere opzioni percorribili per fare un passo indietro senza dover pagare un prezzo politico altissimo.

 

Su uno scenario già incandescente, è arrivata lunedì anche la notizia che la Repubblica Islamica si appresta inevitabilmente a violare una delle condizioni stabilite di comune accordo con la comunità internazione in merito al proprio programma nucleare. Tra una decina di giorni, la quantità di uranio arricchito prodotta in Iran supererà cioè i limiti previsti dall’accordo di Vienna del 2015 (JCPOA), indebolito in maniera letale dall’uscita degli Stati Uniti decisa nel maggio dello scorso anno dall’amministrazione Trump.

L’incontro di questa settimana a Washington tra il presidente americano Trump e quello polacco, Andrzej Duda, è servito non solo a confermare l’ottimo stato dei rapporti tra Washington e Varsavia, ma anche e soprattutto ad ampliare ulteriormente la distanza che separa gli Stati Uniti dalla Germania e, più in generale, da quella parte di Europa che fa sostanzialmente riferimento alla leadership di Berlino.

 

Il faccia a faccia di mercoledì tra i due leader nella capitale americana si è infatti trasformato rapidamente in un palcoscenico sul quale l’inquilino della Casa Bianca ha sferrato nuovi e pesanti attacchi contro il governo della cancelliera Merkel. Gli argomenti preferiti da Trump sono stati ancora una volta la costruzione del gasdotto “Nordstream 2” e le spese militari tedesche, ritenute non adeguate agli standard previsti dalla NATO.


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