Nonostante le accuse continuamente rivolte alla Russia, è notoriamente di gran lunga il governo degli Stati Uniti quello che più di ogni altro continua a intervenire in maniera sistematica nel pilotare elezioni oppure colpi di stato in paesi stranieri a seconda dei propri interessi. Le “interferenze” americane non sono inoltre limitate ai tentativi di influenzare le vicende politiche di paesi rivali o nemici, ma si estendono anche a quelli alleati, come dimostra una recente dichiarazione che avrebbe dovuto rimanere segreta di un importante membro dell’amministrazione Trump a proposito del leader laburista britannico, Jeremy Corbyn.

Uno sciopero generale iniziato nella giornata di domenica ha rappresentato la risposta degli oppositori del regime militare sudanese alla violenta repressione scatenata la scorsa settimana nella capitale, Khartoum, e nelle principali altre città del paese africano. Il Sudan è sconvolto da massicce proteste di piazza dal dicembre del 2018 che avevano portato alla rimozione del presidente Omar al-Bashir, al potere da tre decenni. Al posto di quest’ultimo si era installata però una giunta militare che sta cercando ora di implementare una durissima contro-rivoluzione con l’appoggio di potenti alleati stranieri.

Gli elettori danesi hanno punito la destra ultra-liberista e xenofoba nelle elezioni generali di mercoledì, riconsegnando la maggioranza nel parlamento di Copenhagen (“Folketing”) al partito Socialdemocratico che guiderà probabilmente il paese in una coalizione di centro-sinistra. Il voto ha espresso un chiaro rifiuto delle politiche di austerity degli ultimi anni, anche se la campagna elettorale è stata in parte caratterizzata da un’accesa retorica anti-migranti, abbracciata in larga misura anche dal partito vincitore, ufficialmente di orientamento progressista.

Agenti della polizia federale australiana si sono presentati negli uffici di Sydney della rete televisiva pubblica ABC (Australian Broadcasting Corporation) nella mattinata di mercoledì per eseguire un mandato di perquisizione che, a tutti gli effetti, rappresenta un attacco con pochi precedenti alla libertà di stampa e informazione. Probabilmente non a caso, l’operazione ha preceduto di un solo giorno un altro episodio simile, diretto questa volta contro una giornalista responsabile di avere ottenuto e pubblicato informazioni riservate sulle intenzioni del governo di Canberra di ampliare sensibilmente i propri poteri di intercettazione delle comunicazioni elettroniche dei cittadini australiani.

La visita di stato in Gran Bretagna del presidente americano Trump si inserisce in un clima di estrema tensione sia all’interno del paese alle prese con l’enigma della “Brexit” sia sul fronte delle relazioni transatlantiche. L’incontro di martedì con la premier uscente, Theresa May, e alcuni aspiranti alla sua successione ha fatto riemergere alcune questioni che continueranno ad agitare la classe dirigente britannica nei prossimi mesi, a cominciare dal possibile accordo commerciale tra Londra e Washington dopo la “Brexit” e dall’utilizzo della tecnologia di Huawei nello sviluppo della rete 5G.


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