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di Roberta Folatti
Cibo, musica, amici = “heimat”
Cucinare con passione, senza trafelatezze, cercando di curare i dettagli, è un modo di volersi bene. E di voler bene a chi ci sta vicino.
Ma quando il ristorante di Zinos, cittadino di Amburgo di origini greche, passa da un menù a base di hamburger e patatine fritte alle sapienti creazioni del cuoco Shayn, i frequentatori abituali ci rimangono malissimo. I piatti raffinati proposti dal nuovo “padrone” della cucina risultano incomprensibili, e persino indigesti, ai rozzi palati dei vecchi clienti. Si sa che molta gente è restia ai cambiamenti, anche a quelli che virano verso il meglio, così il Soul Kitchen rischia di fallire.
Il regista turco Fatih Akin racconta una storia ispirata alle vicende del suo amico Adam Bousdoukos, che è anche uno dei suoi attori “feticcio”e non a caso interpreta proprio Zinos. L’apertura di una taverna greca che ben presto divenne una vera “heimat”, intesa come luogo della famiglia e degli amici, fu un’esperienza molto intensa per tutta per la cerchia di conoscenze di Akin e Bousdoukos. "Per noi – spiega il regista – era più di un ristorante, era un luogo di avventura, un serbatoio di raccolta, un posto dove festeggiare, una casa. In “Soul Kitchen” volevo catturare l’atmosfera e lo stile di vita che ho strettamente associato alla Taverna greca e a quel periodo."
Per il protagonista del film il lavoro è una vera passione che porta con sé l’amore per la musica, diffusa nel locale attraverso uno stereo e poi anche con concerti dal vivo, la voglia di socialità e anche qualche eccesso alcolico. Vita e lavoro uniti in un progetto che procede in parallelo, se non fosse per Nadine, la donna con cui Zinos ha una storia, che improvvisamente parte per Shanghai, lasciandolo in sospeso. Altri problemi vengono dagli speculatori che vorrebbero acquistare il locale situato in una zona operaia ormai dismessa che fa gola a molti. Sarà proprio l’incontro con un vecchio compagno di scuola, apparentemente amichevole ma in realtà interessato solo ad appropriarsi del capannone che ospita il Soul Kitchen, a scatenare una serie di eventi che porteranno sull’orlo del disastro. Zinos per sua fortuna scoprirà di avere parecchi amici, persone che, pur con mille difetti, tengono a lui. E i problemi di schiena che lo assillano per tutta la durata del film finiranno per condurlo verso il vero amore della sua vita…
Divertente, malinconico, pieno di ottima musica e di vigore, con un tocco di critica sociale (contro la cosiddetta “gentrificazione”, la politica di trasformare i vecchi quartieri operai in zone residenziali borghesi alla moda), “Soul Kitchen” fa cominciare bene l’anno ai cinefili. Buona visione…
Soul Kitchen (Germania, 2009)
Regia: Fatih Akin
Sceneggiatura: Fatih Akin, Adam Bousdoukos
Suono: Kai Lüde
Scenografia: Tamo Kunz
Cast: Adam Bousdoukos, Moritz Bleibtreu, Anna Bederke, Birol Unel
Distribuzione: Bim
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di Roberta Folatti
L’insolito duo
Sherlock Holmes e il dottor Watson si sono materializzati centinaia di volte, uscendo dalle pagine del loro creatore Arthur Conan Doyle. In questo caso i due possiedono gli sguardi ironici, sornioni, disincantati di Robert Downey Jr. e di Judd Law. La loro incarnazione in una coppia sgangherata, litigiosa, non priva di gelosie è forse la cosa più riuscita del nuovo film di Guy Ritchie.
Fino ad ora si era privilegiato un Sherlock Holmes compassato, razionale, senza sbavature emotive: l’interpretazione che ne dà Downey Jr. è praticamente ribaltata. L’investigatore più celebre del mondo è – passatemi il termine – un casinista, incapace di incanalare nel modo più opportuno la sua genialità, che passa le giornate barricato in casa a verificare teorie e a tentare improbabili esperimenti oppure esce per incontri di lotta libera in cui il pubblico lo dà per perdente. Gracilino com’è, lo salva solo il suo cervello che anticipa strategie difensive e programma attacchi a sorpresa. Nella pellicola di Ritchie, Holmes e Watson danno e ricevono tante di quelle botte, scampano a tanti di quegli agguati – scenograficamente notevoli anche se alla fine un po’ ripetitivi – da sembrare due eroi alla Indiana Jones.
Questa versione “virile” dei due personaggi letterari, che li rende difficilmente imbrigliabili anche da un punto di vista fisico, è l’aspetto meno credibile, ed è anche fonte di una certa noia. Scazzottate e inseguimenti finiscono per essere sovrabbondanti rispetto alle indagini e alle intuizioni puramente intellettive. Non si sa se Conan Doyle si rivolterebbe nella tomba o se si farebbe una risata, rimane comunque legittimo che, partendo dal prodotto creativo di uno scrittore, ci si avvii su strade personali. Gli sceneggiatori in questo caso avrebbero potuto fare un’ulteriore sforzo.
Da parte sua Ritchie non si discosta dalle sue peculiarità e trasforma la storia di Holmes e Watson opposti al terribile lord Blackwood in un’avventura spettacolare, molto fisica, anche se le deduzioni investigative basate sui più microscopici indizi non mancano.
La coppia detective/dottore si ritrova nel bel mezzo di una congiura che mira a mettere sotto scacco non la sola Inghilterra ma il mondo intero. Holmes e Watson scopriranno, tra mille peripezie, cosa si nasconde dietro una sequenza di delitti in apparenza legati alla magia nera. Nel privato intanto il dottore sta per convolare a nozze abbandonando la convivenza con Holmes che è palesemente geloso della futura sposa. I battibecchi e gli screzi fra i due sono una delle componenti più divertente del film, Downey e Law danno una prova convincente, soprattutto il primo. Il dottor Watson è deciso a coronare la sua storia d’amore ma è anche attratto dalla sete di avventura del compagno di tante indagini. Ironia, spavalderia, senso dell’umorismo abbondano, i dialoghi in Sherlock Holmes sono decisamente brillanti, un po’ troppo contorta invece la matassa della trama. Gli scenari ottocenteschi, con una Londra ricostruita sia nei bassifondi che nelle stanze sontuose del Parlamento, sono di una bella suggestione. Ritchie si dimostra un abile intrattenitore, tra i film chiamiamoli di evasione, uno dei più dinamici della stagione.
Sherlock Holmes (Gran Bretagna, Australia, Usa, 2009)
Regia: Guy Ritchie
Fotografia: Philippe Rousselot
Montaggio: James Herbert
Costumi: Jenny Beavan, Melissa Meister
Cast: Robert Downey Jr., Judd Law, Eddie Marsan, Mark Strong
Distribuzione: Warner Bros
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di Roberta Folatti
A nuoto verso la speranza
Bello, duro, necessario.
Un racconto morale che concede poco o niente al sentimentalismo. Una storia di grande attualità che guarda in faccia senza ipocrisie al problema dei migranti e ai loro diritti negati. In Francia nella zona “calda” di Calais centinaia di persone cercano un modo per arrivare in Inghilterra, la terra promessa che dista poco più di uno sputo. Nascondendosi su camion e navi, pagando i trafficanti di esseri umani, qualche volta persino attraversando quel tratto di mare a nuoto. Un atto di disperazione e al tempo stesso di cieca fiducia, il segno di una forza ostinata che non conosce ostacoli quella che hanno dentro le persone come Bilal che vengono da paesi in cui la guerra non ha lasciato nulla. Nulla se non la speranza di migliorare la propria condizione, a qualunque costo.
E’ con questa determinazione che sfiora l’incoscienza che si scontra Simon, istruttore di nuoto disilluso, spento, tutto concentrato sul proprio malessere interiore causato dalla recente separazione e dalla mancanza di motivazioni professionali. Conoscendo Bilal, l’uomo si rende conto di quanto siano insignificanti i suoi problemi a confronto di quelli di gente sradicata dal proprio paese e respinta dalla ricca Europa. Tenuti in un limbo squallido perchè non possono essere espulsi (per la gravità della situazione nei paesi d’origine) ma senza la minima volontà di regolarizzarli. Con un’assurda legge, voluta da Sarkosy in persona, che vieta ai cittadini della zona di Calais di offrire loro qualunque tipo di aiuto. Le parole del regista del film Philippe Lioret sono estremamente illuminanti: "Quello che accde oggi a Calais mi ricorda ciò che è accaduto in Francia durante l’occupazione tedesca: aiutare un clandestino, infatti, è come aver nascosto un ebreo nel ’43, vuol dire rischiare il carcere. Non voglio mettere in parallelo la Shoah con le persecuzioni di cui sono vittime gli immigrati e i volontari che tentano di aiutarli, bensì i rispettivi meccanismi repressivi che stranamente si assomigliano".
In Welcome (titolo sarcastico), si vede come uno dei due protagonisti, Simon, subisca un controllo poliziesco dopo la denuncia/delazione di un vicino per aver ospitato due clandestini. Nella realtà sono le stesse organizzazioni umanitarie a finire sotto inchiesta con l’accusa di offrire conforto, cibo e vestiti, agli immigrati senza casa e senza possibilità di sostentamento. La situazione è davvero paradossale ma il film di Lioret non si limita alla denuncia sociale, racconta anche la storia di un incontro, quella tra Simon e Bilal. Il ragazzo è curdo, veine dall’Iraq e vuole raggiungere la sua fidanzatina che si è trasferita in Inghilterra con la famiglia. Oltre ai problemi legati all’immigrazione, i due innamorati devono subire anche il peso di tradizioni che impediscono loro di scegliere liberamente. A Bilal la famiglia di Mina preferisce un buon partito molto più anziano, un parente che ha già fatto strada in Inghilterra. Mina dovrà sposare uno sconosciuto e rassegnarsi al “buon senso” dei genitori, dimenticando il suo amore adolescenziale.
Contro queste costrizioni, contro un destino avverso Bilal mette in campo tutta la forza della sua giovane età e una determinazione che nel nostro mondo, degli agi e del benessere, i ragazzi come lui spesso non possiedono più. Bracciate possenti verso la realizzazione dei propri desideri, per attraversare la Manica e correre incontro al futuro...
Welcome (Francia, 2009)
Regia: Philippe Lioret
Sceneggiatura: Philippe Lioret, Emmanuel Courcol, Olivier Adam
Cast: Vincent Lindon, Firat Ayverdi, Audrey Dana, Derya Ayverdi
Distribuzione: Teodora Film
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di Roberta Folatti
Le disgrazie non arrivano mai sole
Cosa significherà per Ethan e Joel Coen “un uomo serio”? A giudicare dalle storie che abitualmente raccontano non deve trattarsi proprio di un complimento. E infatti il protagonista dell’ultimo film possiede quella serietà che sconfina inevitabilmente nell’ingenuità più disarmante, almeno nel mondo individualistico e feroce che fa da sfondo al loro cinema. Un’ingenuità che spesso si confonde con la stupidità e con la scarsa propensione a tirar fuori le unghie, per reagire in modo adeguato alle intemperie della vita. Larry è un tranquillo professore di matematica con un posto da precario presso l’università locale e una famiglia normale se si eccettua suo fratello, eccentrico studioso del calcolo delle probabilità che mette in pratica giocando a carte (e vincendo). La moglie sembrerebbe una donna ordinaria e del tutto prevedibile (un po’ come lui) ma una delle prime bufere che investono la sua metodica vita è causata proprio da questa scialba signora. Dopo aver fatto due figli col marito, Judith si scopre innamorata di un vedovo più anziano e in quattro e quattr’otto scarica il povero “serious man”, costringendolo – con argomentazioni stringenti e molto pratiche – ad andarsene di casa.
Non si limitano a questo i guai di Larry, sarà un’autentica catena di sfighe a piombargli addosso, lasciandolo inerme, completamente indifeso. La storia è calata in tutto e per tutto in una comunità ebraica degli anni ’60 e molte cose sono molto “tipiche”, adatte a conoscitori di quell’ambiente. La parodia che aleggia su usanze, manie, superstizioni del mondo yiddish non può essere gustata fino in fondo da chi non appartiene a quella sfera. Il protagonista si sente ripetere in continuazione il consiglio (che diventa quasi un obbligo) di rivolgersi al rabbino – anzi ai rabbini. Come se questi possedessero chiavi magiche perinterpretare la realtà e risolvere ogni problema. La verità è che Larry non ne trarrà alcun aiuto, per ogni colloquio deludente cercherà un religioso di grado superiore e sarà proprio il rappresentante supremo ad irriderlo di più (rimane il dubbio se sia irrisione o rimbambimento...), facendolo sentire completamente solo contro le avversità della vita.
Il tocco dei Coen si avverte, la loro causticità, ma questa commedia ha in primis un’impronta ebraica: i fratelli dicono di essersi ispirati a decine di figure incontrate nel corso della loro vita. Tutto è profondamente yiddish compreso il finale. Quando Larry si sente finalmente fuori dalla bufera e decide, dopo mille tentennamenti, di compiere quel piccolo gesto di furbizia che tanto lo aveva angustiato cambiando un voto allo studente “ricattatore”, gli giunge subito il contraccolpo, come se esistesse davvero una logica dietro le nostre azioni e qualcuno ne tenesse i conti. A serious man può essere avvertito come un film in tono minore per chi ama i Coen più scatenati, obiettivamente ha dei difetti, la descrizione dei personaggi e degli ambienti risulta alla fine un po’ monocorde, parodistica in un unico senso. Fulminante e volutamente avulsa dal contesto la scena d’esordio, inserita forse per mostrare come razionalismo e superstizione, approccio oggettivo e magico si siano sempre intrecciati nella cultura ebraica. E in qualunque altra cultura.
A serious man (Usa, Gran Bretagna, Francia, 2009)
Regia: Ethan e Joel Coen
Scenaggiatura: Ethan e Joel Coen
Musiche: Carter Burwell
Cast: Michael Stuhlbarg, Richard Kind, Fred Melamed Sari Lennick
Distribuzione: Medusa
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di Roberta Folatti
All’improvviso la verità...
Un intrico di sentimenti contraddittori, velenosi, a volte mortali. Lungi dall’essere un’oasi di serenità e protezione, la famiglia per Francis Ford Coppola può rivelarsi un potente ostacolo alla crescita personale. D’altra parte neppure rimanere all’oscuro del proprio passato familiare aiuta, anzi il rovello cresce dentro come una pustola rigonfia di pus. Che prima poi va schiacciata, e se esplode da sè è peggio...
Benny sta per compiere i diciotto anni, è cresciuto in un collegio di lusso offertogli da un padre di successo, grande direttore d’orchestra, ma completamente inadempiente nel ruolo di genitore. Una figura autocentrata, avvezza all’adulazione, del tutto concentrata sulla propria carriera. Di sua madre invece Benny non sa praticamente nulla, se non che è morta giovane in circostanze poco chiare. Il suo più grande cruccio è l’abbandono della famiglia da parte del fratello Angelo, allontanatosi con la scusa di cercare ispirazione letteraria altrove e mai più ritornato, malgrado avesse promesso di ripassare a prenderlo.
Piuttosto che continuare a chiedersi perchè si sia comportato così, Benny preferisce affrontare il toro per le corna piombando in casa di Angelo, che ora si fa chiamare Tetro, e scompigliandogli la vita. Che a quanto si apprenderà in seguito, era già andata in frantumi anni prima. Benny si aspetta delle risposte, quasi le pretende, ma Tetro non sembra per nulla disposto a dargliele.
Segreti di famiglia, scritto, sceneggiato e diretto da Coppola, prende il via dall’arrivo di Benny a Buenos Aires dove Tetro ha messo su casa con la sua compagna Miranda. La capitale argentina è ripresa con taglio ironico e divertito tranne nei momenti più tragici, quando diventa uno sfondo pittorico adatto ai colpi di scena e alle rivelazioni drammatiche. Coppola capovolge i canoni consueti con la scelta del bianco e nero per il presente, relegando il colore alle ricostruzioni di episodi passati e agli inserti di danza, con cui sottolinea gli snodi fondamentali della storia. Le luci, a volte accese e fiammeggianti, altre malinconiche hanno un ruolo importante, alla fotografia il rumeno Mihai Malaimare fa un lavoro egregio.
Segreti di famiglia è un film costruito sui volti e sulle atmosfere; una volta usciti dal cinema rimane appiccicato addosso lo sguardo inquieto, a tratti febbricitante di Vincent Gallo e il fascino stratificato, frutto di mille morti e mille rinascite, di Buenos Aires. Oltre alla certezza che la famiglia non sia esattamente un luogo idilliaco, anche se i legami che da lei scaturiscono sono comunque incancellabili, nel bene e nel male. Non serve mettere distanza fisica tra noi e quei legami e nemmeno ammucchiare dentro una vecchia valigia i ricordi scomodi...
Segreti di famiglia (Usa, Argentina, Spagna, Italia, 2009)
Regia: Francis Ford Coppola
Sceneggiatura: Francis Ford Coppola
Cast: Vincent Gallo, Alden Ehrenreich, Maribel Verdù, Klaus Maria Brandauer
Distribuzione: Bim