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di Roberta Folatti
Da dove viene il pericolo?
La Cia descritta nell’ultimo film di Roman Polansky è decisamente inquietante, quasi alla stregua di un’associazione a delinquere... E molte le assonanze tra Adam Lang, protagonista insieme al suo ghost writer, e Tony Blair. Di Bush junior, mai nominato ma costantemente adombrato, si danno per scontate nefandezze e respondabilità.
L’uomo nell’ombra pesca a piene mani dalla recente attualità politica, concentrandosi sulla guerra al terrorismo che ha giustificato azioni assai discutibili. I buoni sono coloro che si oppongono ad un uso disinvolto della violenza, che stride con la difesa dei diritti umani e delle convenzioni internazionali. Individuarli, questi buoni, distinguendoli dai cattivi, non sembra un esercizio tanto difficile, la trama del film in fondo si srotola senza eccessivi intoppi. Certo le ambiguità ci sono, come in ogni thriller che si rispetti, ma alla fine colpevolezza e innocenza si giocano dentro un ambito piuttosto ristretto e il disvelamento finale può lasciare l’amaro in bocca. Troppo ingenuo il protagonista e sbrigativa l’ultima scena? Il sospetto è lecito...
Polansky si è attenuto alla trama del libro da cui è tratto il film, i tocchi da maestro li ha riservati all’ambientazione e all’atmosfera, sufficientemente torbida nella sua freddezza da “quartieri alti”. Una casa ultramoderna e sorvegliatissima in mezzo alla brughiera, con enormi vetrate che trasmettono inquietudine anzichè senso di protezione, alberghi semivuoti e vagamente squallidi, ville dall’aspetto perbene, fatte apposta per depistare gli ingenui.
L’ex Primo ministro inglese, interpretato da Pierce Brosnan, sceglie un luogo un tantino inadatto per scrivere in tranquillità le sue memorie, o meglio per farle scrivere al ghost writer, che fa il lavoro ma non compare. Sta nell’ombra appunto. In realtà a stare nell’ombra, minacciose, sono altre figure che non vogliono trapeli una catena di conoscenze che potrebbe far risalire alla Cia. L’organizzazione americana viene dipinta in termini molto crudi, a differenza di altre pellicole più “embedded”, nel film di Polansky ci si deve guardare da chi comunemente sta dalla parte del “Bene”.
Politicamente scorretto, almeno secondo certi canoni, ben recitato, soprattutto da Eawn McGregor, che fa l’uomo normale, l’antieroe capitato suo malgrado in una situazione più grande di lui, con ambientazioni degne di Hitchcock, quel che lascia perplessi de L’”uomo nell’ombra” forse è proprio la trama. Falsamente complicata, in realtà un poco involuta.
L’uomo nell’ombra (Francia, Germania, Gran Bretagna, 2010)
Regai: Roman Polansky
Sceneggiatura: Roman Polansky
Musica: Alexandre Desplat
Fotografia: Pawel Edelman
Scenografia: Albrecht Konrad
Cast: Ewan McGregor, Pierce Brosnan, Kim Cattral, Olivia Williams
Distribuzione: 01 Distribution
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di Roberta Folatti
Sentimenti adulti?
Non so voi, ma io trovo Meryl Streep una donna fantastica, una che sa invecchiare in modo gioioso, con classe e naturalezza. E grazie a questo “trucco” riesce a dimostrare meno anni di quelli che ha e a risultare credibile come ex moglie di Alec Baldwin (il quale al contrario non è propriamente in forma!).
E’ complicato, la nuova commedia firmata da Nancy Meyers, scorre piacevole, con picchi effervescenti, affrontando con leggerezza problemi e imbarazzi di una coppia reduce dal divorzio.
Un film di dialoghi, di situazioni spinte al limite del ridicolo ma in fondo molto comuni tra chi si lascia dopo una vita insieme. Jane, interpretata dalla Streep, si è ricostruita faticosamente un’esistenza lontano dal marito, che se n’è andato con una donna molto più giovane. Jake (Baldwin), già padre di tre figli, si ritrova pressato dalla nuova compagna che pretende da lui maggior virilità per mettere al mondo un altro bambino.
Tra i due ex la più risolta in fondo è Jane, che ha un lavoro gratificante, un ottimo rapporto coi figli e il sogno di ristrutturare casa, apportando modifiche sostanziali. Proprio grazie a questo progetto incontra un uomo, l’architetto che si occuperà dei lavori, che dimostra interesse nei suoi confronti. Interpretato da Steve Martin, Adam è serio e timido, esattamente l’opposto di Jake, l’ex marito di Jane.
Per una serie di incroci fortuiti, il personaggio incarnato dalla Streep si ritroverà al centro di un doppio corteggiamento, quello discreto di Adam e quello esuberante, chiassoso, per certi versi irresistibile di Jake, che riscopre il fascino dell’ex moglie (anche grazie a una disinibita notte di sesso) e le propone di tornare insieme. Quello di Baldwin è il personaggio più divertente, anche perché l’attore, messa su una discreta mole, è diventato davvero simpatico, come ha dimostrato anche durante la notte degli Oscar, in coppia proprio con il “rivale” Steve Martin.
Insomma il trio d’attori è praticamente perfetto e dà vita a una serie di gag autenticamente comiche, che strappano risate convinte.
Una commedia onesta, ben girata, i cui ingranaggi risultano oliati a dovere, che regala un paio d’ore di divertimento spensierato (anche se ha un retrogusto riflessivo non del tutto trascurabile). Personaggi un po’ “stagionati” che si dimostrano però capaci di provare ancora sentimenti, passioni, contraddizioni.
E’ complicato (Usa, 2009)
Regia: Nancy Meyers
Sceneggiatura: Nancy Meyers
Musiche: Heitor Pereira, Hans Zimmer
Cast: Meryl Streep, Alec Baldwin, Steve Martin, John Krasinski
Distribuzione: Universal
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di Roberta Folatti
Famiglia, regno delle incomprensioni
Il titolo originale del film si limitava al nome di una delle protagoniste, Chloe. I distributori italiani hanno aggiunto "Tra seduzione e inganno" per rendere il prodotto più “appetibile”.
In effetti di manipolazione ce n’è molta, e non solo da parte di Chloe. E’ la costruzione stessa della sceneggiatura ad ingannare lo spettatore. Il regista dissemina la narrazione di falsi indizi, che inducono convinzioni errate, sia in chi guarda che nei personaggi del film. In primis nella affascinante Julianne Moore, a torto invasa da un grande senso di insicurezza nei confronti del marito (la classica crisi dei cinquant’anni), tanto da convincersi che lui la tradisca con ogni giovane donna che incontra. Questo tarlo la spinge ad escogitare un piano piuttosto perverso per smascherarlo.
La ragazza scelta per sondare la moralità dell’uomo è Chloe che di mestiere fa la prostituta, ma è una figura molto particolare, una che prende il proprio “lavoro” con passione e creatività, quasi si trattasse di una missione. Il suo “credo” lo esprime all’inizio del film, in una sorta di prefazione che a un primo impatto suona un po’ avulsa dal resto della storia.
Con i boccoli biondi che incorniciano un viso a tratti angelico, Amanda Seyfried si insinua nella vita della ginecologa tormentata dai dubbi, scatenando una serie di eventi che nessuno riuscirà più a governare. Tra la donna più matura e la ragazza scatta una complicità morbosa, fitta di sottintesi, e il personaggio interpretato da Julianne Moore tarderà ad intuire le vere intenzioni di Chloe. L’inganno verrà alla luce quando le cose si sono già spinte troppo avanti...
Chloe. Tra seduzione e inganno è un remake del film francese “Nathalie”, anche se il regista Atom Egoyan non lo dichiara esplicitamente. La pellicola, come tutte quelle firmate dall’autore egiziano di origini armene (naturalizzato canadese), è sufficientemente disturbante, abbastanza scabrosa nell’illustrazione approfondita dell’attrazione fra due donne. Delude il finale che rimette a posto le cose in modo davvero troppo rassicurante, dopo che le carte erano state spaiate con abilità. E’ difficile capire come si passi da una situazione familiare di totale incomunicabilità alla nuova armonia, anche se il “sacrificio” di Chloe rappresenta la chiave di volta di tutta la vicenda.
Comunque la Moore è strepitosa nell’accostare il suo solito stile, sommamente femminile, ai tormenti tipici di una donna insoddisfatta, che sente di perdere seduttività nei confronti del marito.
Chloe. Tra seduzione e inganno (Canada, Usa, Francia, 2009)
Regia: Atom Egoyan
Sceneggiatura: Erin Cressida
Musiche: Mychael Danna
Cast: Julianne Moore, Amanda Seyfried, Liam Neeson, Nina Dobrev
Distribuzione: Eagle
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di Roberta Folatti
Sguardi sull’Iran
Il primo lungometraggio della videoartista e fotografa Shirin Neshat è affollato di donne, le loro vicende si snodano parallele ai drammatici avvenimenti storici che hanno preceduto la presa di potere da parte dello Scià Reza Pahlavi, con l’appoggio della Cia. C’è un doppio binario di lettura dunque, una sorta di rimando metaforico continuo, le scelte delle quattro protagoniste si riflettono sulla realtà esterna e viceversa l’affermarsi di un regime autoritario appanna progressivamente la loro gioia di vivere. Si spengono insieme alla democrazia.
Donne senza uomini ha un inizio folgorante, cielo, nubi in cammino e un volto nutrito di disperazione; per tutto il film si susseguono scene in cui le immagini comunicano sensazioni, trasmettono una energia segreta, sotteranea ma essenziale. E poi ci sono i volti delle protagoniste, ciascuna con un suo personalissimo dolore, una strada tortuosa e difficile lungo la quale ha incrociato figure maschili negative, violente, insensibili. Le donne della Neshat sono tutte in qualche modo perdenti, ferite, umiliate, maltrattate e sono lo specchio della democrazia negata in Iran.
Forse l’unico uomo realmente altruista, privo di secondi fini, del desiderio di prevaricare sulla donna, è il giardiniere della misteriosa villa in cui tre delle protagoniste si ritrovano, l’ultima accompagnata dal fantasma della quarta. Perno simbolico di tutta la storia, luogo di pace e risanamento, di una momentanea sintonia femminile. Ma tutto finisce quando la villa viene aperta al mondo esterno per una festa, la volgarità, la sopraffazione, l’opportunismo tornano a fare da padroni.
Donne senza uomini non ha una vera trama, la trama sta nelle relazioni fra i quattro personaggi femminili e fra loro e la Storia del paese. La lotta politica, le manifestazioni e la repressione che portano alla caduta di Mohammad Mossadegh, il primo presidente democraticamente eletto, avvengono lontano dall’atmosfera incantata della Villa e del suo florido giardino. Però il mondo esterno è destinato lo stesso a fare irruzione fra quelle mura, con tutta la sua violenza. Qualcuno ha accusato il film di essere troppo astratto, quasi impalpabile, in parte la sensazione di incompiutezza si avverte ma il primo lavoro della Neshat è comunque coinvolgente. Donne senza uomini ha un grande impatto visivo, è essenzialmente in questo che risiede la sua forza.
Donne senza uomini (Germania, Austria, Francia, 2009)
Regia: Shirin Neshat
Sceneggiatura: Shirin Neshat, Shoja Azari, dal romanzo «Donne senza uomini» di Shahrnush Parsipur
Fotografia: Martin Gschlacht
Cast: Pegah Ferydoni, Shabnam Tolouei, Orsi Toth, Arita Shahrzad
Distribuzione: Bim
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di Roberta Folatti
Rugby unificatore
E’ il film che ci si aspetta da Clint Eastwood su un argomento così.
Di ampio respiro ma rigoroso, universale ma costruito sull’addensarsi di dettagli. Sprazzi, pennellate molto umane. Del resto ha al centro la figura di Nelson Mandela, uno dei pochi miti autentici, globali ancora viventi. Un uomo con una tale coerenza e limpidezza di intenti da riuscire a condurre il proprio paese, lacerato da odi apparentemente inestinguibili, fuori dal rischio di una gigantesca guerra civile.
Il Sudafrica, dopo la fine dell’appartheid, era una polveriera pronta ad esplodere, i neri erano stati discriminati e repressi troppo a lungo per non meditare qualche forma di vendetta. Per fortuna il loro leader, riconosciuto ed acclamato, dimostrò di aver ricavato una straordinaria saggezza dall’esperienza del carcere, ventisette anni in una cella di tre metri per tre, a causa delle sue idee e del colore della sua pelle. Una volta libero, senza clamori e con uno stile sempre controllato, è riuscito ad imporre la sua visione, spiazzando sia bianchi che neri.
La storia della squadra di rugby sudafricana, gli Springboks - fino alla Coppa del Mondo del 1995 seguita solo dagli afrikaner, gli abitanti di pelle bianca - viene narrata da Eastwood con mano esperta, competenza anche sportiva, veridicità. Anche chi non conosce il rugby, guardando il film si rende conto di quanto sia fisico, quasi brutale e al tempo stesso autentico.La Coppa del Mondo ospitata dal Sudafrica diventa il pretesto per unire il paese attorno al tifo sportivo, ma per ottenere lo scopo è indispensabile che anche i neri si appassionino al rugby, e soprattutto che gli Springboks vincano. Sempre, fino al titolo finale.
Mandela formula nella sua mente questo progetto, il suo entourage rimane scettico – anche perchè la squadra in quel momento è demotivata e perdente – ma il Presidente riesce a trasmettere la sua determinazione al capitano del Springboks. Cresciuto in una famiglia bianca che non vede di buon occhio i cambiamenti politici in corso, Francois Pienaar, si sente investito di una responsabilità enorme. Ma in lui scatta qualcosa quando intuisce la forza, l’umanità, l’immensa consapevolezza di Mandela. E’ come se quell’uomo diventato un simbolo gli trasmettesse la sua “invincibilità”.
Il film si sviluppa attorno a questo incontro che rappresenta l’esempio concreto, la testimonianza reale di come ognuno possa cambiare, risollevare la testa, rendere fieri coloro che ripongono in lui la propria fiducia. Poetico, morale (e un po’ moralista, ci sia consentito), di grande compattezza stilistica, Invictus è in tutto per tutto un film alla Eastwood.
Ci piace l’idea di riportare sotto la poesia che diede conforto a Mandela durante gli anni di carcere, poi fatta propria anche dal capitano degli Springboks.
Invictus di William Ernest Henley
Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come il pozzo che va da un polo
all’altro, ringrazio tutti gli dei
per la mia anima indomabile.
Nella morsa delle circostanze,
non ho indietreggiato, nè ho pianto
sotto i colpi d’ascia della sorte,
il mio capo sanguina ma non si china.
Più in là, questo luogo di rabbia e lacrime
Incombe, ma l’orrore dell’ombra
E la minaccia degli anni
Non mi trova, e non mi troverà, spaventato.
Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la pergamena,
io sono il padrone del mio destino,
io sono il capitano della mia anima.
Invictus (Usa, 2009)
Regia: Clint Eastwood
Sceneggiatura: Anthony Peckham
Musiche: Kyle Eastwood, Michael Stevens
Casting: Morgan Freeman, Matt Damon, Tony Kgoroge
Distribuzione: Warner