di Roberta Folatti

La passione può insinuarsi nelle nostre vite senza che ne siamo del tutto consapevoli. Vite già instradate, in apparenza serene, con legami consolidati, responsabilità, progetti. Eppure venate di un’insoddisfazione latente, che affiora di colpo…

Cosa voglio di più, l’ultima opera cinematografica di Silvio Soldini, racconta la storia fra Anna e Domenico, che si conoscono per caso e si scoprono travolti da un’attrazione che lesina sulle parole, esprimendosi attraverso una potente fisicità. Lui è sposato e ha due bambini, lei una situazione sentimentale stabile che lascia intravedere una futura maternità, il sopraggiungere di un sentimento così violento, quasi ingestibile, li farà soffrire più che renderli felici.

Soldini sembra dirci, fra le righe, che vivere una seconda vita parallela o permettersi di sterzare improvvisamente, lasciando indietro ciò che c’era prima, è un privilegio da ricchi. Un uomo che ha famiglia e che riesce a malapena a mantenerla (non di rado chiedendo anticipi e aiuti), non potrà mai cambiare vita seguendo istinto e cuore, a meno di comportarsi con totale irresponsabilità. Domenico è in questa situazione, schiacciato tra le scelte passate e l’anelito a un futuro diverso, il personaggio interpretato da Gigio Alberti invece, siccome ha denaro, è libero di sposarsi più volte, di rimettersi in gioco e ricominciare.

Insomma legami precedenti, doveri, difficoltà economiche tarpano le ali alla relazione fra Anna e Domenico, regalandole allo stesso tempo un’intensità senza pari. I momenti rubati vengono vissuti con grande pathos dai due, quel legame li porta lontano dalle frustrazioni quotidiane. Anna tanto è apatica e remissiva nella sua vita ufficiale, quanto è decisa, disinibita in compagnia di Domenico.

Malgrado si vedano in motel di periferia, anonimi e senza gusto, raccontando bugie sempre più inverosimili a chi li aspetta a casa, i loro incontri sono densi, vibranti. E la lontananza comincia a pesare, ciascuno dei due vorrebbe aver vicino l’altro per condividere un’intimità più rilassata, istanti meno concitati. Si cercano, chiamandosi nei momenti sbagliati, mettendo sull’avviso i rispettivi partner.

Il film di Soldini è estremamente verosimile, due persone impegnate in relazioni che stanno attraversando un periodo di stanchezza, si trovano coinvolte in un nuovo amore, travolgente, sensuale, per molti versi inspiegabile. E per difendere questo amore diventano crudeli, incuranti della sofferenza che procurano a chi sta loro vicino. Accanto a me al cinema una coppia fa commenti velenosi sul personaggio di Anna, considerata la colpevole del “disastro”, ed esprime vicinanza al compagno tradito, il rassicurante Giuseppe Battiston.

In genere in sala si respira una palese condanna ai due amanti clandestini, quasi si temesse la loro temerarietà. Il motivo è semplice: una vicenda simile potrebbe accadere, o é accaduta, a ciascuno di noi, i più “bravi” non se ne sono fatti travolgere ma istinto e sentimento sono difficilmente irregimentabili. Forse è proprio questo che spaventa il pubblico…

Bravo Soldini, bravissimi gli attori, soprattutto Alba Rohrwacher e Pierfrancesco Favino.

Cosa voglio di più (Italia, 2010)
Regia: Silvio Soldini
Sceneggiatura: Angelo Carbone , Doriana Leondeff , Silvio Soldini
Fotografia: Ramiro Civita
Scenografia: Paola Bizzarri
Cast: Alba Rohrwacher, Pierfrancesco Favino, Giuseppe Battiston, Teresa Saponangelo
Distribuzione: Warner

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Roberta Folatti


Lezioni di cinema e di ironia da uno “splendido” novantenne


In un certo senso l’ultimo film di Alain Resnais ha una portata rivoluzionaria. Si è mai vista una “patta” dei pantaloni (rimasta aperta a causa di un gesto maldestro) assumere un’importanza quasi determinante nel momento clou di una storia, la si è mai vista diventare per un attimo protagonista, degna di essere inquadrata più volte e da distanza ravvicinata?

Il regista francese, dall’alto della sua esperienza e saggezza, si permette di prenderci benevolmente in giro, disseminando il suo film di falsi indizi, spunti ingannevoli, piccoli flash enigmatici che lo rendono qualcosa di unico. A partire dal titolo e dalle immagini iniziali, perché gli “amori folli” sono anche quelle erbe selvatiche che crescono nelle crepe del terreno, anarchicamente, quasi irrazionalmente. C’è una vena di follia nei personaggi creati da Resnais, un particolare che sfugge, che resta oscuro solleticando gli spettatori, tenendoli sulla corda in attesa di un colpo di scena, di una rivelazione che non arriva mai. Se non nel finale, nel modo più inaspettato e… definitivo.

Gli amori folli comincia con uno scippo ai danni di una signora dalla folta (e folle?) capigliatura rossa, prosegue col casuale ritrovamento del suo portafoglio da parte di un signore in apparenza distinto ma attraversato da inquietanti propositi omicidi. Lui è sposato con una donna assai tollerante, che sembra mostrare molta comprensione verso il marito a causa del suo passato (ma quale passato?). La donna del portafoglio fa la dentista, la sua vita sembra vuota anche se piuttosto agiata, se si esclude la passione per il volo, che da principio rimane sullo sfondo ma nel finale sarà la chiave di volta del film.

Leggero mistero e spiazzante ironia permeano la storia, ovattata di nonsense o di un senso ulteriore che tende a sfuggire agli atteriti ma divertiti spettatori. A tratti si ride, ad esempio quando il protagonista maschile reagisce maltrattando le convenienze ai dinieghi della signora. Ma nel momento in cui lui sembra rinunciare, è lei a cercarlo. E ad un certo punto è la moglie a mostrarsi grata alla dentista rossa di capelli perchè cerca suo marito…
Resnais butta là spunti, suggerimenti, semina domande, lascia aperti interrogativi, tutto con elegante leggerezza, e de “Gli amori folli” rimane un sapore piacevole, con una punta di piccante che non dà mai fastidio.

Gli amori folli (Francia, 2009)
Regia: Alain Resnais
Sceneggiatura: Alex Réval, Laurent Herbiet
Fotografia: Eric Gautier
Costumi: Jackie Budin
Cast: Andrè Dussollier, Sabine Azema, Anne Consigny
Distribuzione: Bim

 

 

di Roberta Folatti

Impossibile riscattarsi


Nonostante le critiche quasi unanimemente positive, rimango dubbiosa sull’utilità di dare un seguito a “Happiness”.  Perdona e dimentica è l’ideale continuazione di quel film ma, secondo me, non aggiunge nulla. Conferma semmai la totale assenza di speranza che caratterizzava la prima pellicola.
In definitiva dimenticare e perdonare sono azioni troppo superiori alle capacità umane. E forse anche un tantino incongrue.

Il nuovo film di Todd Solondz riprende in mano i fili delle storie raccontate in Happiness”, in particolare quelle delle tre sorelle, Joy, Trish e Helen. I personaggi sono segnati dalle esperienze vissute ma non rassegnati, sia che si ostinino a credere che bisogna guardare avanti o che pensino sia lecito dare ancora delle chance a se stessi e agli altri. Con un implacabile cinismo, che a tratti si stempera in corrosiva ironia e in pietà, il regista ricompone la sua “galleria degli orrori”. Un’umanità perdente, ormai abituata a veder naufragare le proprie illusioni, abbruttita anche nei tratti fisionomici.

Joy e Trish tentano di ricominciare (o di continuare) a vivere, una intraprendendo una nuova relazione con un uomo (finalmente) “normale”, l’altra perdonando il marito dopo aver messo distanza tra sé e lui, ma i fantasmi del passato non smettono di perseguitarle. Nel caso di Joy si materializzano acquistando vita autonoma, in quello di Trish rappresentano un ostacolo fatto di diffidenza e paure nei confronti degli uomini. Anche il buon “diavolo” che ha incontrato, finisce per confondersi ai suoi occhi con ciò che ha cercato di allontanare, e sarà lei a ferire lui e a negarsi l’ultima possibilità.

Insomma vivere significa, secondo Solondz, sopportare una serie di scherzi cinici del destino, che fanno ridere a denti stretti noi spettatori ma che non lasciano scampo. La natura umana tende al male o all’infelicità, gli errori dei padri ricadono sui figli, non esiste realmente l’opportunità di emanciparsi, di scrivere la propria storia scegliendo una strada nuova.

Perdona e dimentica (Usa, 2009)
Regia: Todd Solondz
Sceneggiatura: Todd Solondz
Cast: Allison Janney, Shirley Henderson, Michael Kenneth Williams, Ally Sheedy
Distribuzione: Archibald

 

 

di Roberta Folatti

 

Da dove viene il pericolo?


La Cia descritta nell’ultimo film di Roman Polansky è decisamente inquietante, quasi alla stregua di un’associazione a delinquere... E molte le assonanze tra Adam Lang, protagonista insieme al suo ghost writer, e Tony Blair. Di Bush junior, mai nominato ma costantemente adombrato, si danno per scontate nefandezze e respondabilità.


L’uomo nell’ombra pesca a piene mani dalla recente attualità politica, concentrandosi sulla guerra al terrorismo che ha giustificato azioni assai discutibili. I buoni sono coloro che si oppongono ad un uso disinvolto della violenza, che stride con la difesa dei diritti umani e delle convenzioni internazionali. Individuarli, questi buoni, distinguendoli dai cattivi, non sembra un esercizio tanto difficile, la trama del film in fondo si srotola senza eccessivi intoppi.  Certo le ambiguità ci sono, come in ogni thriller che si rispetti, ma alla fine colpevolezza e innocenza si giocano dentro un ambito piuttosto ristretto e il disvelamento finale può lasciare l’amaro in bocca.  Troppo ingenuo il protagonista e sbrigativa l’ultima scena? Il sospetto è lecito...


Polansky si è attenuto alla trama del libro da cui è tratto il film, i tocchi da maestro li ha riservati all’ambientazione e all’atmosfera, sufficientemente torbida nella sua freddezza da “quartieri alti”. Una casa ultramoderna e sorvegliatissima in mezzo alla brughiera, con enormi vetrate che trasmettono inquietudine anzichè senso di protezione, alberghi semivuoti e vagamente squallidi, ville dall’aspetto perbene, fatte apposta per depistare gli ingenui.

L’ex Primo ministro inglese, interpretato da Pierce Brosnan, sceglie un luogo un tantino inadatto per scrivere in tranquillità le sue memorie, o meglio per farle scrivere al ghost writer, che fa il lavoro ma non compare. Sta nell’ombra appunto. In realtà a stare nell’ombra, minacciose, sono altre figure che non vogliono trapeli una catena di conoscenze che potrebbe far risalire alla Cia. L’organizzazione americana viene dipinta in termini molto crudi, a differenza di altre pellicole più “embedded”, nel film di Polansky ci si deve guardare da chi comunemente sta dalla parte del “Bene”.


Politicamente scorretto, almeno secondo certi canoni, ben recitato, soprattutto da Eawn McGregor, che fa l’uomo normale, l’antieroe capitato suo malgrado in una situazione più grande di lui, con ambientazioni degne di Hitchcock, quel che lascia perplessi de L’”uomo nell’ombra” forse è proprio la trama. Falsamente complicata, in realtà un poco involuta.

L’uomo nell’ombra (Francia, Germania, Gran Bretagna, 2010)
Regai: Roman Polansky
Sceneggiatura: Roman Polansky
Musica: Alexandre Desplat
Fotografia: Pawel Edelman
Scenografia: Albrecht Konrad
Cast: Ewan McGregor, Pierce Brosnan, Kim Cattral, Olivia Williams
Distribuzione: 01 Distribution

 

 



di Roberta Folatti

 

Sentimenti adulti?

Non so voi, ma io trovo Meryl Streep una donna fantastica, una che sa invecchiare in modo gioioso, con classe e naturalezza. E grazie a questo “trucco” riesce a dimostrare meno anni di quelli che ha e a risultare credibile come ex moglie di Alec Baldwin (il quale al contrario non è propriamente in forma!).

E’ complicato, la nuova commedia firmata da Nancy Meyers, scorre piacevole, con picchi effervescenti, affrontando con leggerezza problemi e imbarazzi di una coppia reduce dal divorzio.


Un film di dialoghi, di situazioni spinte al limite del ridicolo ma in fondo molto comuni tra chi si lascia dopo una vita insieme. Jane, interpretata dalla Streep, si è ricostruita faticosamente un’esistenza lontano dal marito, che se n’è andato con una donna molto più giovane. Jake (Baldwin), già padre di tre figli, si ritrova pressato dalla nuova compagna che pretende da lui maggior virilità per mettere al mondo un altro bambino.

Tra i due ex la più risolta in fondo è Jane, che ha un lavoro gratificante, un ottimo rapporto coi figli e il sogno di ristrutturare casa, apportando modifiche sostanziali. Proprio grazie a questo progetto incontra un uomo, l’architetto che si occuperà dei lavori, che dimostra interesse nei suoi confronti. Interpretato da Steve Martin, Adam è serio e timido, esattamente l’opposto di Jake, l’ex marito di Jane.


Per una serie di incroci fortuiti, il personaggio incarnato dalla Streep si ritroverà al centro di un doppio corteggiamento, quello discreto di Adam e quello esuberante, chiassoso, per certi versi irresistibile di Jake, che riscopre il fascino dell’ex moglie (anche grazie a una disinibita notte di sesso) e le propone di tornare insieme. Quello di Baldwin è il personaggio più divertente, anche perché l’attore, messa su una discreta mole, è diventato davvero simpatico, come ha dimostrato anche durante la notte degli Oscar, in coppia proprio con il “rivale” Steve Martin.

Insomma il trio d’attori è praticamente perfetto e dà vita a una serie di gag autenticamente comiche, che strappano risate convinte.
Una commedia onesta, ben girata, i cui ingranaggi risultano oliati a dovere, che regala un paio d’ore di divertimento spensierato (anche se ha un retrogusto riflessivo non del tutto trascurabile).  Personaggi un po’ “stagionati” che si dimostrano però capaci di provare ancora sentimenti, passioni, contraddizioni.

E’ complicato (Usa, 2009)
Regia: Nancy Meyers
Sceneggiatura: Nancy Meyers
Musiche: Heitor Pereira, Hans Zimmer
Cast: Meryl Streep, Alec Baldwin, Steve Martin, John Krasinski
Distribuzione: Universal

 

 

 


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