Un film duro, potente nel significato quanto nelle immagini, girato nel corso di tre anni in Medio Oriente sui confini fra Iraq, Kurdistan, Siria e Libano. Notturno, firmato dal regista Gianfranco Rosi, racconta la quotidianità che sta dietro la tragedia continua di guerre civili, dittature feroci, invasioni e ingerenze straniere, sino all’apocalisse omicida dell’Isis. Storie diverse, alle quali la narrazione conferisce un’unità che va al di là delle divisioni geografiche. Tutt’intorno, e dentro le coscienze, segni di violenza e distruzione. In primo piano c'è l’umanità che si ridesta ogni giorno da un notturno che pare infinito.

"Durante tre anni di viaggio in Medio Oriente - afferma Rosi -, ho incontrato le persone che vivono nelle zone di guerra. Ho voluto raccontare le storie, i personaggi, oltre il conflitto. Sono rimasto lontano dalla linea del fronte, ma sono andato laddove le persone tentano di ricucire le loro esistenze. Nei luoghi in cui ho filmato giunge l’eco della guerra, se ne sente la presenza opprimente, quel peso tanto gravoso da impedire di proiettarsi nel futuro. Ho cercato di raccontare la quotidianità di chi vive lungo il confine che separa la vita dall’inferno".

La volontà del regista è quella di mettere in luce le esistenze, attraverso vita vissuta, tante storie che si alternano: un cantore di strada, vestito dall’amata, sveglia la città con le lodi dell’Altissimo. Un cacciatore di frodo si muove alla ricerca di selvaggina fra i canneti, i pozzi di petrolio, il crepitio delle armi. Le guerrigliere peshmerga difendono con la stessa determinazione la loro grazia e le postazioni di battaglia.

I terroristi dello stato islamico sono stipati all’inverosimile in un carcere dove si cerca di contenere l’odio fondamentalista. L’angoscia di una madre yazida di fronte ai messaggi sconvolgenti della figlia ancora prigioniera dell’Isis. Alì, adolescente, che fatica di notte e all’alba per portare il pane ai suoi fratelli.

Restano gli sguardi profondi, i corpi ammassati e quella voglia di andare avanti, nonostante tutto.

Notturno

Regia, fotografia, suono: Gianfranco Rosi

Montaggio: Jacopo Quadri

Produzione: 21Uno Film - Stemal Entertainment con Rai Cinema

Distribuzione: 01 Distribution

Un giallo sui sentimenti, una storia di lealtà ed infedeltà, di rancore e vergogna. Lacci è il nuovo film di Daniele Lucchetti che prende ispirazione dal romanzo di Domenico Starnone. Siamo a Napoli, nei primi anni ‘80: il matrimonio di Aldo e Vanda entra in crisi quando lui si innamora della giovane Lidia. Trent’anni dopo, Aldo e Vanda sono ancora sposati. "Quando ho letto per la prima volta Lacci ho trovato domande che mi riguardavano e personaggi nei quali era difficile non identificarsi", afferma il regista.

Sullo sfondo un tradimento, il dolore, una scatola segreta, la casa devastata, un gatto, la voce degli innamorati e quella dei disamorati.

Una storia di familiare "che dura trent’anni, due generazioni, legami che somigliano più al filo spinato che a lacci amorosi, si esce con una domanda: hai permesso alla tua vita di farsi governare dall’amore?", prosegue Lucchetti. Secondo il regista "Lacci è un film sulle forze segrete che ci legano. Non è solo l’amore ad unire le persone, ma anche ciò che resta quando l’amore non c’è più".

Il film aprirà la prossima mostra del cinema di Venezia, che si terrà dal 2 al 12 settembre. Un'occasione per ritornare a parlare di cinema, dopo lo stop causato dall'emergenza Covid. "Negli ultimi tempi - afferma Lucchetti - abbiamo avuto paura che il cinema potesse estinguersi. E invece durante la quarantena ci ha dato conforto, come una luce accesa in una caverna. Oggi abbiamo una consapevolezza in più: i film, le serie, i romanzi, sono indispensabili nelle nostre vite. Lunga vita ai festival, dunque, che permettono  di  celebrare  tutti assieme il senso vero del nostro lavoro. Se qualcuno ha pensato che fare cinema potesse rivelarsi inutile, ora sa che è un bene di tutti. Con Lacci sono onorato di aprire le danze del primo grande festival di un tempo imprevisto".

Insomma un film che farà riflettere proprio sullo stare assieme, sul rimanere legati nonostante tutto. Anche a scapito della propria felicità.

 

Lacci (Italia 2020)

Regia: Daniele Luchetti

Soggetto e sceneggiatura: Domenico Starnone, Francesco Piccolo e Daniele Luchetti

Cast: Alba Rohrwacher, Luigi Lo Cascio, Laura Morante, Silvio Orlando, Giovanna Mezzogiorno, Adriano Giannini, Linda Caridi, Francesca De Sapio    

Direttore della fotografia: Ivan Casalgrandi

Montaggio: Daniele Luchetti e Ael Dallier Vega

Distributore: 01 Distribution

Case candide, vicoli stretti, alte scogliere laviche sul mare color cobalto: da sempre, la perla nera delle Eolie, la più estrema delle isole mediterranee, attira cineasti, artisti, scrittori. Da Alexandre Dumas (“Viaggio alle Eolie”) a Jules Verne (“Viaggio al Centro della Terra”), fino a all'indimenticabile neorealismo di Roberto Rossellini e Ingrid Bergman in veste di protagonista di “Stromboli, Terra di Dio”.

Questa volta tocca a un videomaker documentarista, Harspeter Aliesch, scoprire l'isola-vulcano attraverso gli occhi di una donna in un racconto basato su eventi realmente accaduti.

Fondatore nel 1986 della Film Production Company MUVI AG, a Zurigo, autore nel 2010 e 2012 di due documentari ambientati in Birmania e Myanmar, vincitore di numerosi premi internazionali, ideatore di Stereo3D, in Svizzera,  casa di produzione cinematografica per la quale ha ricevuto in Belgio il “Prix Lumiere”, Aliesch realizza “Stromboli fino all'ultimo battito” nel  2019, docufilm di 102 minuti che sarà presentato in anteprima mondiale al Salento International Film Festival in programma a Tricase (Lecce), dall'1 al 6 settembre 2020.

La trama ripercorre la vita di Maria, una donna di novant'anni, in un arco temporale che va dal 1930 ad oggi, evidenziando altresì il rapporto degli isolani con la doppia natura del vulcano, sul piano geofisico e ascetico. Una simbiosi di energia per chi ha scelto di vivere a poca distanza dai suoi crateri e dalla sua indole intemperante.

Lo Stromboli, la montagna di fuoco che sovrasta l'isola come una “creatura vivente” assorbe emotivamente la coscienza d'ognuno ed è capace di sconvolgere in pochi attimi l'intera esistenza. Maria perde suo nonno durante l'eruzione dell'11 settembre 1930 (presumibilmente a causa dello tsunami che investì le coste dell'isola, una calamità in cui perirono diversi pescatori), non vedendolo tornare dalla sua ultima uscita in mare sulla piccola barca Eolo, lo attende a lungo fino al momento  della disillusione.

Senza continuità di tempo, il film di Aliesch alterna flashback a immagini attuali; grazie ai video originali di Eolie Savadori, c'è la ricostruzione visiva del parossismo avvenuto il 3 luglio 2019, con la corrente piroclastica che si spinge a 3 chilometri di altezza, un'inquadratura di pochi minuti in un drammatico quanto efficace compositing cinematografico. Nella versione italiana (il film è prodotto in tre lingue, italiano, inglese e tedesco), a dare la voce all'anziana Maria con perfetta inflessione siciliana, è la grande attrice teatrale, Giuliana Lojodice.

 

«La natura sembra affidabile.

Invece con una scossa può sconvolgere all'improvviso la quotidianità e la vita delle persone.

Ma non la distrugge.

La natura opera per il suo bene.»

 

La storia di Maria si intreccia ad altre storie, quelle di una guida vulcanologica, di un cuoco, di un vecchio pescatore – poeta che adora il suo paradiso terrestre, di uno scultore lavico, di una pittrice e di un filosofo edonista. Dalla narrazione emerge ancora, la doppia natura di un'isola per certi versi misteriosa, eden solare e naturalistico in contrapposizione alla furia del suo vulcano. Tutti i personaggi del film, gente semplice, ex emigranti o artisti, realmente vivono a Stromboli.

Lo scultore che dalle pietre laviche realizza le sue opere in un processo che lo aiuta a guarire da una depressione cronica, la vivace donna straniera che ha scelto di restare, assecondando la sua passione per la pittura: il loro è un timore reverenziale, amano il vulcano a tal punto da dargli un nome, Iddu (“Lui”, in siciliano), in antitesi rispetto al  risentimento di Maria, ai ricordi del nonno scomparso, poiché questa donna è l'unica a sperimentare il disincanto, il terrore dinanzi al potere distruttivo di quella “bestia feroce” e allusivamente, alle forze della natura. L'unica a vedere il vulcano per quel che è,  un “mostro” privo di qualsivoglia rappresentazione ideale.

Gli opposti sentimenti che Iddu instilla nell'animo umano rappresentano il leitmotiv più interessante dell'opera, la visione sdegnosa di Maria contro l'adorazione esternata da altri. L'epilogo la vede a novant'anni, riconciliata con i ricordi e con se stessa, mentre il vulcano Stromboli come scrive in una nota lo stesso autore, torna apparentemente ad essere “un paziente calmo, cablato e intubato come in un ospedale”.

 

 

 

Una commedia raccontata in un contesto difficile, quello del secondo conflitto mondiale. Freaks Out, pellicola firmata da Gabriele Mainetti, narra la storia di Matilde, Cencio, Fulvio e Mario. I quattro sono come fratelli, quando il dramma della seconda guerra mondiale travolge Roma. Siamo nel ‘43, nel pieno del conflitto, e la città eterna ospita il circo in cui lavorano. Israel, il proprietario e loro padre putativo, interpretato da un bravo Giorgio Tirabassi, scompare nel tentativo di aprire una via di fuga per tutti loro oltre oceano. I quattro protagonisti sono allo sbando. Senza qualcuno che li assista ma, soprattutto, senza il circo, hanno smarrito la loro collocazione sociale e si sentono solo dei fenomeni da baraccone, “a piede libero” in una città in guerra.

Il regista de Lo chiamavano Jeeg Robot è al suo secondo lungometraggio e sceglie ancora una volta Roma per narrare la storia di questi quattro personaggi che fanno pensare a dei supereroi anticonvenzionali.

Un film che si preannuncia interessante sia dal punto di vista stilistico che narrativo.

Freaks Out (Italia, Belgio, 2020)

Regia: Gabriele Mainetti

Cast: Aurora Giovinazzo, Claudio Santamaria, Pietro Castellitto, Giancarlo Martini, Giorgio Tirabassi

Sceneggiatura:Nicola Guaglianone, Gabriele Mainetti

Distributore: 01 Distribution

Nuovo film per Gabriele Muccino che con Gli anni più belli racconta la storia di quattro amici Giulio (Pierfrancesco Favino), Gemma (Micaela Ramazzotti), Paolo (Kim Rossi Stuart), Riccardo (Claudio Santamaria), che si svolge nell’arco di quarant’anni, dal 1980 ad oggi, dall’adolescenza all’età adulta.

Le loro speranze, le loro delusioni, i loro successi e fallimenti sono l’intreccio di una grande storia di amicizia e amore attraverso cui si raccontano anche l’Italia e gli italiani. Un grande affresco che vuole narrare chi siamo, da dove veniamo e anche dove andranno e chi saranno i nostri figli. È il grande cerchio della vita che si ripete con le stesse dinamiche nonostante sullo sfondo scorrano anni e anche epoche differenti.

Quattro ragazzi che diventano uomini, con speranze e delusioni, fallimenti e successi. Sullo sfondo un'Italia fatta di alti e bassi, di bellezza e di storture.

"Il vero motore del film è il tempo", afferma Muccino. "Siamo modellati dal tempo. Crediamo di essere in controllo delle nostre vite quando invece l'unico grande burattinaio è il tempo che passa e ci modifica lentamente, ci fa accettare le cose che ci parevano inaccettabili, ci disillude, ci disincanta eppure poi ci incanta di nuovo all'improvviso facendoci sentire adolescenti anche quando non lo siamo più. Il tempo segna i personaggi del film, li definisce, li trasforma in qualcosa che trascende dal loro stesso controllo. E’ così che gli anni scivolano via e si susseguono mentre si cerca di cavalcare gli eventi, spesso senza riuscirci", conclude il regista.

Il Sessantotto e la rivoluzione studentesca e sociale sono ormai dei ricordi sbiaditi. La crisi delle ideologie e il disincanto sono sentimenti sempre più attuali e penetranti, che mostrano uno smarrimento e una delusione per quello che poteva essere e non è stato.

Gli anni più belli (Italia 2020)

Regia: Gabriele Muccino

Sceneggiatura: Gabriele Muccino, Paolo Costella

Direttore della fotografia: Eloi Moli

Montaggio: Claudio Di Mauro            

Musiche originali: Nicola Piovani


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