di Fabrizio Casari

Più che la Roma di Zeman è la Roma di Totti quella che sbanca Milano e riporta l’Inter alle prese con i limiti evidenti di organico. I giallorossi, certamente avvantaggiati dal non aver dovuto giocare tre sere prima come i nerazzurri, hanno mostrato una condizione fisica decisamente superiore e un Totti in serata da grande spolvero. Ed è stata proprio questa a determinare l’esito di una partita dove l’Inter, per quanto senza risultati, ha condotto il gioco per larga parte della gara, attaccando di più (12 a sei i tiri nello specchio della porta e 11 a 2 nei corner indicano abbastanza) ma la Roma ha sfoderato un cinismo assoluto, segnando tre gol su un totale di sei tiri indirizzati verso la porta difesa (si fa per dire) da Castellazzi.

Chi si aspettava le geometrie zemaniane ha dovuto in parte ricredersi: è stato infatti Totti, con due assist ed un lavoro di regia eccellente, a determinare il successo romanista. Il principale merito della Roma è stato quello di portare in tutto il campo un pressing asfissiante, consapevole che le tossine della fatica di Europa League di giovedì sera, presto o tardi si sarebbero fatte sentire. E così è stato, infatti. Fino al 2 a 1 per la Roma, l’Inter aveva tenuto bene il campo e, seppure in una serataccia di Snejider e Milito, che le aveva impedito di essere davvero pericolosa, sembrava di poter essere in grado di fare sua la partita.

Dopo il 2 a 1, invece, l’Inter ha accusato il colpo e, più che mancanza di personalità, si è avvertita la mancanza di benzina, con Guarin esausto, Pereira uscito per crampi e Gargano sostituito. Inoltre, alcune scelte di Stramaccioni (Cambiasso per l’esausto Pereira e l’uscita di Gargano per Coutinho) sono apparse poco convincenti, così come quella di riproporre sulla zona sinistra del campo Sneijder, Cassano, Pereira e Nagatomo, lasciando completamente sguarnita la zona di destra e permettendo quindi alla difesa della Roma di doversi preoccupare di chiudere solo una porzione di campo.

L’addio di Maicon pone con urgenza all’Inter la necessità di spostare o Nagatomo o Jonathan a destra e bilanciare la squadra. Cambiasso non può più giocare immobile e vedere gli avversari andar via e Zanetti deve ricordarsi la differenza che passa tra un centrocampista e un terzino nelle marcature.

La Roma dimostra di saper adattare l’impostazione di Zeman alle specificità delle partite, il che dimostra che il presunto integralismo dell’allenatore boemo è stato decisamente rimodellato e plasmato, nel corso di questi anni, da un approccio più concreto. Meno spettacolo e più punti, insomma. Il vantaggio di giocare una volta a settimana, che lo scorso anno determinò in forma importante la vittoria juventina, potrebbe rivelarsi un elemento decisivo anche per la Roma di quest’anno, che intanto regala da due domenicche i gol più belli alle sigler televisive. Annotazione particolare per il giovane Florenzi: partita eccellente, priva di emozione e con personalità da grande giocatore.

Per quanto la classifica sia davvero momentanea, alcune cose si possono però cominciare a leggere. Due vittorie su due della Juventus dicono che i bianconeri sono ripartiti da dove erano arrivati: la Juventus di quest’anno, pur non essendo riuscita a trovare il bomber di razza sul mercato (inseguiti Van Persie, Dzeko, Llorente e via elencando), ha fatto di necessità virtù, continuando a puntare su Vucinic e sull’inserimento dei centrocampisti in zona gol, facendo dell’agonismo l’arma principale. Il Napoli conferma ugualmente di avere un impianto di tutto rispetto e la sensazione è che la partenza di Lavezzi otterrà paradossalmente il risultato di far definitvamente esplodere Hamsick, dandogli la caratura di leader della squadra. Buone sorprese - visto il pre-campionato - da parte della Lazio e soprattutto buone notizie per quanto riguarda la Sampdoria di Ciro Ferrara.

Chi invece sarà costretto a rivedere i suoi piani saranno in primo luogo Udinese, Bologna e Palermo. La squadra di Guidolin per la prima volta negli ultimi anni appare seriamente in difficoltà. E’ vero che le squadre di Guidolin non hanno mai cominciato i campionati a spron battuto, anzi. Ma quello che sembra diverso dagli scorsi anni è l’intelaiatura di squadra.

Quando si vendono prima Sanchez e Inler, poi Handanovic, Isla e Asamoah, e ci si trova Di Natale con un anno in più, non è certo il ritorno di Muriel o la conferma di Armero che possono invertire la rotta già in qualche modo segnata. E anche quella del Bologna non sembra una situazione con molte speranze: la cessione di Midingay, Ramirez e Di Vaio, azzera lo schema dello scorso anno, che vedeva appunto nel primo il recuperatore di palloni da smistare a Diamanti e Ramirez e nel terzo il finalizzatore.

Aver tenuto Diamanti senza averlo affiancato da uomini di valore pari a quelli partiti, priverà il Bologna di possibilità concrete di un campionato nella parte sinistra della classifica. Idem dicasi per il Palermo, dove Sannino comincia già a sentire strani rumori si scricchiolii nella sedia. Com’è noto, Zamparini finanzia la sua squadra con le cessioni e i suoi allenatori rimangono solo fino a quando non si dimostra che è così. Quando i nodi arrivano al pettine, Zamparini fa il giullare e gli allenatori diventano degli ex.

di Fabrizio Casari

Con il calciomercato ancora aperto, la novità degli arbitri di porta e le consuete recriminazioni sugli errori arbitrali, il campionato è cominciato con alcune vittorie attese, un tonfo sonoro e alcuni risultati inaspettati. Buona la prima per il Chievo contro il Bologna e per il Genoa che ospitava il Cagliari. Buona la prima anche per la Juventus, che batte il Parma, e per la Fiorentina, che farà certamente un campionato diverso da quello degli ultimi anni.

Il tonfo è quello del Milan, che perde in casa con la Sampdoria e ricorda a tutti come i fuoriclasse non sono figurine intercambiabili. Inaspettato dunque è il risultato dei blucerchiati guidati da Ciro Ferrara e anche la vittoria della Lazio in trasferta a Bergamo, solitamente campo difficile da arare per chiunque. Tra i risultati inaspettati quello della Roma, che con fatica acciuffa il pareggio in casa negli ultimi minuti, dopo essere andata in svantaggio per due volte contro un Catania che pare non aver dimenticato il calcio insegnato da Montella.

Il risultato della Roma non deve stupire più di tanto, essendo da sempre difficile la prima fase delle squadre allenate da Zeman (carico fisico, movimenti e posizioni in campo ordinati dal boemo non sono semplici da digerire in breve tempo). La Roma ha comunque mostrato di avere giocatori con un tasso tecnico assolutamente superiore alla media e l’assimilazione graduale del modello di gioco zemaniano consentirà ai giallorossi una crescita progressiva che li vedrà certamente protagonisti. Ma per battersi per il vertice della classifica, la Roma dovrebbe tentare un ultimo sforzo negli sgoccioli del mercato per assicurarsi una coppia di difensori di sicuro rendimento ed esperienza.

Tra i mattatori della giornata ci sono soprattutto Napoli e Inter, entrambe vittoriose in trasferta sui campi di Palermo e Pescara. Due risultati simili per il numero di gol e per essere stati raccolti in trasferta che certamente miglioreranno di gran lunga l’umore nella settimana dei due amici Moratti e De Laurentiis. Il Napoli lo si temeva indebolito dalla partenza di Lavezzi e l’Inter erano cinque anni che non otteneva una vittoria alla prima giornata. Il Napoli, pure orfano di Lavezzi, ha con Insigne un’ottima soluzione e, data per certa la conferma dello straordinario Cavani, vede un possibile ruolo ancor più importante che in passato di Hamsick, talento purissimo. Mazzarri può ragionevolmente guardare con fiducia alla stagione che si è aperta e se arrivasse un centrocampista in grado di coprire la partenza di Gargano, la squadra sarebbe completa.

L’Inter di Stramaccioni gioca un buon calcio e appare equilibrata, risultato di un mercato intelligente. La cessione di Lucio e quella prossima di Julio Cesar, come quella di Pazzini, sono state perfettamente assorbite; Handanovic, Silvestre, Palacio, Gargano, Mudingay  e il riscatto di Guarin, con la ciliegina Cassano, dicono che nei rispettivi ruoli l’Inter ha preso i migliori disponibili nel campionato italiano e Pereira, proveniente dal Porto, è un top player nel suo ruolo. Due le incognite: Cambiasso sarà anche intelligentissimo nel leggere calcio, ma è un giocatore ormai fermo che obbliga agli altri di centrocampo a correre per lui. Zanetti, grandissimo capitano, va ormai dosato, soprattutto quando si trova a dover contrastare giocatori veloci e con vent’anni di meno. Ma se comunque sul piano difensivo è ancora un giocatore notevolissimo, non rappresenta nemmeno per idea il potenziale di sbocco offensivo dell’Inter sulla fascia che Maicon ha sempre garantito. Se il brasiliano dovesse approdare a Madrid o a Londra, quello della fascia destra sarà il punto debole; ci vuole altro che il pur sufficiente Jonathan.

E’ dunque il tonfo del Milan a rappresentare la “notizia” della prima giornata. Allegri sostiene che il Milan sa di cosa ha bisogno e ad essere sinceri ci pare di saperlo anche noi: di un allenatore, di una dirigenza e di giocatori. Tre gli artefici dell’indebolimento cronico dei rossoneri: Allegri, che ha voluto cedere Pirlo, chiudere con Seedorf, Gattuso e Inzaghi. Si dirà: tutta gente a fine carriera. Non è vero, soprattutto per Pirlo.

Poi ci sono le responsabilità di Galliani: perché se da una squadra vanno via anche Nesta, Favalli, Van Bommel, Seedorf, Gattuso, Inzaghi devi correre sul mercato a cercarne i sostituti. Se invece sul mercato vai solo per vendere Ibrahimovic e Thiago Silva prima, e Cassano poi, significa che deliberi scientificamente la cacciata dei fuoriclasse successivamente all’addio di coloro che con la loro fatica gli consentivano le giocate. Insomma, eliminando i faticatori prima e i fuoriclasse poi, hai smembrato definitivamente la squadra.

Davvero si ritiene che Pazzini sia in grado di sostituire Ibra o anche solo Inzaghi? Significa non aver mai visto giocare Pazzini negli ultimi 12 mesi. Davvero si pensa che Bonera possa sostituire Thiago Silva? E che senso ha l’ennesima “operazione nostalgia” per riportare a Milano Kakà che non è più quello che avevamo ammirato da tre anni? O si pensa che Mourinho lo farebbe vegetare in panchina se solo fosse il fuoriclasse che incantava quando giocava nel Milan?

Considerando che campionato e Champions non faranno sconti, il terzo responsabile, cioè Berlusconi, dovrà sbrigarsi a togliere dall’imbarazzante conflitto d’interessi la figlia Barbara, che impedisce a Galliani di fare un capolavoro con il PSG nel Gennaio scorso rifilandogli Pato e che, per buona misura, gli toglie anche Ibra così da dargli più spazio, senza capire che lo spazio di Pato non lo tocca nessuno. E’ quello dell’infermeria. E qui, anche la storiella di Milan-lab ha trovato la fine. Se pure dovessero arrivare Diarrà e a Kakà, il Milan non sembra in nessun caso attrezzato per l’inverno calcistico.

di Fabrizio Casari

Se ne sono andati i fuoriclasse e non è arrivata la legge sugli stadi, sono aumentati i debiti e diminuite le passioni, ma il campionato di calcio 2012-2013 è pronto a cominciare. Per lo scudetto sarà una storia tra Juventus, Inter e Roma, cioè le tre squadre che si sono rafforzate maggiormente, mentre - salvo colpi dell’ultima ora piuttosto improbabili causa carenza di denaro - Milan, Napoli, Udinese appaiono decisamente inferiori allo scorso anno e la Lazio è rimasta la stessa, con un buon allenatore in meno e i giocatori con un anno in più. Si può pensare ad una rinascita graduale della Fiorentina e ad una incognita Palermo.

Il mercato degli scambi ha visto in auge soprattutto Juventus e Inter. I bianconeri hanno portato a Torino tre ottimi giocatori come Lucio, Isla e Asamoah, cui hanno aggiunto Giovinco nel ruolo di erede (forse) di Del Piero. Lucio porterà esperienza (e svarioni), Buffon è ancora il top tra i pali e Isla, Bonucci e Chiellini sono difficili da superare. In attesa di trovare la punta di ruolo di cui ha bisogno (falliti Van Persie, Llorente, Pazzini , difficilissimo Dzeko), appare una squadra ottima dietro e a centrocampo, ma non irresistibile in attacco. Ma c’è da dire che la qualità di gioco corale che Conte ha immesso nella Juventus e la sua capacità di arrivare in gol partendo dal centrocampo e non dalle punte rende l’handicap decisamente relativo. Ad oggi, continua ad essere la squadra più attrezzata, anche se la Champion League dimostrerà presto la differenza che c’è tra una partita a settimana o tre.

L’Inter ha cambiato molto: Handanovic, Silvestre e Pereira forniscono insieme a Ranocchia, Samuel, Chivu e Zanetti, (oltre che a Juan Jesus centrale della nazionale brasiliana in coppia con Thiago Silva) una patente di affidabilità notevole e Gargano e Mudingay, con lo straripante Guarin, costituiscono un centrocampo fisicamente imponente, cui si aggiunge Cambiasso. Davanti, Stramaccioni ha trovato un jolly straordinario in attacco come Palacio (24 gol lo scorso anno) da affiancare a Milito e con il ritrovato Snejider, Cassano e il rientrante Coutinho garantiscono imprevedibilità ed efficacia sotto porta. Le difese avversarie avranno pochi punti di riferimento e il gioco che sembra delinearsi, fatto di pressing e controllo palle e accelerazioni improvvise, autorizza i tifosi nerazzurri a un motivato ottimismo.

Ma mentre riparte la giostra del pallone a terra, nelle orecchie rimbalzano ancora le urla di scommessopoli. A rispondere alle invettive dell’agnellino e delle grida manzoniane di Conte, miracolato dal peso politico, finanziario e mediatico della Juventus, (altrimenti avrebbe rivisto il campo tra due anni e mezzo, come il suo vice patteggiatore) ci hanno pensato Petrucci e Abete, ricordandogli che la giustizia sportiva (certo da riformare rapidamente sin dai suoi presupposti) non è sottoponibile ad una approvazione in base al censo, cosicché quando va bene a casa Agnelli è una storia, quando invece non va bene diventa un’altro, ennesimo complotto ai danni della Juve.

Ci si potrebbe chiedere legittimamente quando arriverà il deferimento per Andrea Agnelli, che mentre continua a perdere ogni battaglia in ogni tribunale (siamo circa ad una ventina), insulta, offende e attacca gli organi federali. Per molto meno, Franco Sensi sarebbe stato sospeso a divinis.

Nonostante quello che spaccia il giovin signore di Vinovo, non c’è stato nessun complotto ai danni della Juventus: in primo luogo perché Conte era allenatore del Siena e non della Juve all’epoca dei fatti incriminati, e in secondo luogo perché se complotto ci fosse stato, Bonucci e Pepe sarebbero stati condannati e non prosciolti. Il fatto invece che siano stati assolti, indica che i giudizi sono stati formulati sulla base delle risultanze investigative e degli interrogatori, e non del colore della maglia. Nel merito, se il vice di Conte patteggia due anni e mezzo di squalifica e Conte si dice invece innocente, c’è qualcosa che non quadra proprio nella ricostruzione innocentista.

I fatti dicono che il suo vice, Christian Stellini, vice che ha portato anche alla Juventus, abbia ammesso la combine. E che anche i calciatori Passoni, Poloni, Garlini e Sala abbiano confermato la linea della Procura. Si vorrebbe sostenere che il suo vice agiva all’oscuro del suo capo (e immaginiamo i giocatori che ricevono indicazioni per truccare il risultato: o ritengono che vengano dal capo, visto che il suo vice le propone, o come minimo vanno dall’allenatore per chiedere se debbono davvero obbedire a quanto ordina il suo vice). E se chi non ci sta alla combine viene estromesso, (sul perché Conte ha cambiato tre volte la sua versione) si può ben pensare che il fatto rafforzi l’ipotesi accusatoria.

E d’altra parte lo stesso Conte aveva patteggiato e nessuno lo obbligava, sotto acuto consiglio degli azzeccagarbugli della Juventus: ma patteggiare significa ammettere la colpevolezza e se colpevolezza non c’è perché patteggiare? Solo perché Palazzi si era dimostrato compiacente, offrendo su un piatto d’argento una pena irrisoria, del tutto priva di criteri equi e ragionevoli, non a caso sementita dal Tribunale?

Insomma tra l’incapacità manifesta di Palazzi, le scorribande mediatiche dell’agnellino e la mobilitazione dei media di famiglia, l’unica cosa certa è che ci si trova davanti a un pastrocchio. Delle due una: o Conte andava prosciolto, giacchè non risultavano credibili le accuse, o andava condannato, ma sul serio.

In una cosa Conte ha ragione da vendere: quando la giustizia si basa solo sulle dichiarazioni dei pentiti, è arbitrarietà allo stato puro. Nello specifico, poi, si somma all’assurdo per cui invece che compito dell’accusa dimostrare la colpevolezza dell’imputato - come nella giustizia ordinaria - nella giustizia sportiva è compito dell’imputato dimostrare la sua innocenza. E’ semplicemente una follia. Ma, ad onor del vero, non ci sono solo le parole di Carobbio o altri a determinare le accuse, bensì investigazioni delle procure, intercettazioni e pedinamenti.

Desta semmai stupore che i reati imputati all’allenatore juventino configurino un accusa di omessa denuncia e non di illecito sportivo, ben diversamente punibile. Le stesse accuse, allora, si sarebbero dovute muovere al suo strettissimo collaboratore, accusato invece di illecito sportivo. E desta un senso di ridicolo generale l’idea che la squalifica impedisca solo la presenza in panchina, dettaglio davvero trascurabile rispetto all’allenamento, la scelta delle formazioni e l’assetto di gioco, senza contare il fatto che via telefonino le indicazioni possono arrivare per correggere eventuali errori. Una sanzione ridicola e una sua applicazione comica.

Di una cosa può esser certo Conte: se fosse stato allenatore di qualunque altra squadra non avrebbe avuto protezioni, titoli cubitali e mobilitazione del giornali di famiglia Agnelli con l’elmetto calato. Ha lanciato accuse fuori luogo e con toni inappropriati, rivendicando una onestà specchiata. Non ci sono dubbi, magari, ma il fatto che la sua carriera lo abbia visto giocare nella Juve del doping e di "calciopoli" ed allenare sulla panchina di squadre tutte coinvolte in "scommessopoli", quanto meno non lo identifica tout court con un esempio di trasparenza, non lo rende affatto candidabile al ruolo della moglie di Cesare, cioé al di sopra di ogni sospetto. Dunque si difenda come può e sa nelle sedi competenti e lasci stare gli appelli alla piazza, che andrebbero fatti per cose ben più serie. E soprattutto si tolga dalla testa l’idea di essere accusato perché vincente: ha vinto uno scudetto, come Allegri e tanti altri. Gli allenatori vincenti sono altri e, purtroppo, sono tutti all’estero.

 

di Mario Braconi

Dimentichiamo De Coubertin e le sue belle frasi, come “l’importante nella vita non nel trionfo, ma nella lotta, l’essenziale non è aver conquistato, ma aver ben combattuto”. “Roba carina, ma sorpassata. Oggi le Olimpiadi sono un colossale business. Sì, ci sono (ancora) le competizioni in cui atleti di tutto il mondo si sfidano, ma è solo un pretesto per vendere scarpe e far consumare cibo-spazzatura.

Secondo il quotidiano The Independent, le Olimpiadi di Londra hanno un budget di circa 14,5 miliardi di euro, dei quali circa 1,8 vengono da sponsor privati, tra cui Coca Cola (premio per il rispetto dei diritti sindacali), BP (ultimo successo, la dispersione nel Golfo del Messico di poco meno di cinque milioni di barili di greggio), Dow (orgoglioso fornitore di napalm all’esercito degli Stati Uniti), Mc Donald’s (campione dell’alimentazione sana), Adidas (fiero difensore dei diritti dei lavoratori del sud del mondo).

Non solo le multinazionali contribuiscono a sporcare con la loro condotta la pura bellezza dell’agonismo sportivo che dovrebbe caratterizzare i giochi olimpici. Ma dimostrano di voler difendere ogni sterlina di profitto che riescano a spremere dagli spettatori (o forse dovremmo dire consumatori) delle Olimpiadi. A quanto riporta The Independent, infatti, un piccolo plotone di 300 addetti alla tutela dei marchi verranno sguinzagliati per il Regno Unito per fare in modo che gli esercizi commerciali fuori dal club non associno indebitamente il loro prodotto ai Giochi, danneggiando così i grandi sponsor.

Il quotidiano britannico rileva come il notevole impiego di risorse umane per una finalità tanto prosaica strida con il fatto che ben 3.500 soldati in licenza siano stati richiamati di gran corsa per far fronte alle esigenze di sicurezza di cui il contractor privato G4S non è stato in grado di garantire la gestione.

La notizia è drammatica ma, come in ogni situazione estrema, non mancano gli aspetti divertenti. Nella sua furia di accumulazione, la Olympic Delivery Authority (ODA) si è spinta a stabilire una lista di parole ammesse e vietate negli annunci pubblicitari. Ad esempio, è passata indenne al vaglio degli occhiuti controllori la frase vergata sulla lavagna fuori da un pub, che recitava: “Guardate i giochi olimpici qui con una birra fresca. Copertura live tutto il giorno”. Meno fortuna è toccata ai poster che lo stesso pub aveva affisso in precendenza, che sono stati censurati: “Grogglinton’s Bitter: guardate qui le Olimpiadi”. La lista delle parole proibite avrebbe fatto rabbrividire perfino il George Orwell di 1984: sono tabù infatti “oro”, “argento” e “bronzo”, “estate”, “sponsor” e perfino “Londra”, qualora vengano impiegate in contesti tali da dare l’impressione di un “collegamento formale” alle Olimpiadi.

Ma non si ferma qui il delirio delle corporation e di chi le protegge (certo non per motivi ideologici legati alla fede cieca nelle virtù del “libero(?)” mercato). Le sue deliranti proibizioni minacciano perfino quella che, citando i Monty Python, costituisce il contributo britannico alla cucina internazionale, ovvero la chip, volgarmente detta patatina fritta. In ben 40 luoghi santificati come “ufficialmente olimpici”, a ben 800 ristoratori è stato vietato servire il gustoso contorno / snack al fine di garantire l’esclusiva ai Mac Donald’s, le cui patatine sono certamente più olimpiche delle altre.

Se il lato ufficiale delle competizioni olimpiche è sfigurato dalla violenza idiota del grande business, cosa succederà lontano dai riflettori? Il quotidiano scandalistico britannico Daily Mail racconta come i lavoratori stranieri (temporanei) che lavoreranno per la pulizia del Parco Olimpico siano accampati in una specie di bidonville a Londra Est. Le condizioni igienico sanitarie del “villaggio” dei pulitori sono degne di uno slum (1 gabinetto per 25 persone, una doccia ogni 75), i container fanno entrare l’acqua piovana, mentre la paga è da fame (meno di 700 euro al mese).

Secondo i responsabili della ditta che ha vinto l’appalto (la Spotless International Services) è tutto in regola, anche se le foto di un container minuscolo nel quale devono dormire quattro persone in due cuccette separate da uno spazio di una trentina di centimetri documentano una situazione ben diversa. Addio, Olimpia!

di Fabrizio Casari

Altri tempi quelli nei quali Zico e Falcao, Ronaldo e Mathaus, Ibrahimovic ed Eto’o facevano carte false per venire a giocare in Italia. Si diceva, allora, che il nostro era il campionato più interessante al mondo, nonostante Calciopoli. Finiti quei tempi? Per ora finiti i “piccioli”, che forniscono sempre le motivazioni profonde dei campioni del pallone.

Da un paio d’anni a questa parte sono i nostri talenti ad emigrare: da Eto’o a Pastore e Thiago Motta, ed ora a Lavezzi, Ibrahimovic e Thiago Silva, Borini e Verratti (e forse Snejider), gli addetti alla classe pura, gli uomini che “fanno reparto da soli”, che “cambiano le sorti di una partita con una giocata” e via incensando, fanno le valigie e lasciano il Belpaese. Seguiti o anticipati, a seconda dei casi, dagli allenatori migliori che l’Italia ha sfornato: Capello, Mancini, Spalletti, Ancelotti.

Certo: regime fiscale e mancanza di stadi di proprietà, peso degli ultras, ridotto merchandising e norme sorpassate non aiutano il calcio italiano ad evolversi e non sono certo dei buoni campionati europei che possono invertire la tendenza. Si potrà legittimamente pensare che gli investimenti miliardari nel resto d’Europa hanno il carattere della volatilità e che l’espansione verso ogni paese del flusso di denaro genererà, nel medio periodo, un tourbillon di giocatori che impediranno il formarsi di realtà stabili.

Ma intanto l’entrata in scena di sceicchi arabi e petrolieri russi, che ha trasformato i Berlusconi, gli Agnelli e i Moratti in signori appena benestanti, ha alterato profondamente gli equilibri calcistici europei, con una Premier League ed una Liga che surclassano la nostra Serie A, mentre la Premiere League francese e la serie A russa provano a fare capolino nel calcio che conta. Dovranno passare ancora molti anni prima che in Russia si veda un calcio affascinante e che il calcio francese diventi più attraente di quello italo-iberico o anglosassone, però non c’è dubbio che la tendenza generale è cambiata, dal momento che i sentimenti non lo sono affatto: si va dove ti porta il portafogli.

Anche perché si è sollecitati al viaggio dai cosiddetti “procuratori”, che sguazzano in questa partita di mercante in fiera come squali tra i lucci e strappano percentuali milionarie per ogni passaggio dei loro assistiti. Nel circo Barnum del calciomercato godono tutti: i procuratori che guadagnano, i giocatori che incrementano, i direttori sportivi che si agitano molto e cercano di farsi la nomea di “Re del mercato” con la quale poi riciclarsi altrove per incrementare stipendio e ruoli; i presidenti che si fingono mecenati e tengono buoni la tifoseria ricavandone immagine pubblica e peso specifico nel sistema; i giornalisti che spacciano chiacchiere per confidenze esclusive e diventano “specialisti”; i giornali che vendono copie perché quando il calcio è mercato, vincono tutti e non perde nessuno.

D’altra parte il mercato, quando parla italiano, risulta almeno bizzarro. Davvero si ritiene che un giocatore senz’altro di prospettiva come Verratti valga un investimento pesante in tempi di fair play finanziario? O che Destro, ottimo attaccante del Siena (ma non altrettanto nel Genoa) valga sedici milioni di euro? Su Destro si è scatenata un’asta tra Juve, Inter, Roma e Milan, con i giallorossi in pole position, ma sedici milioni di euro per un buon girone di ritorno in una provinciale si possono giustificare solo con un atto di fede. Giocare a Siena non è lo stesso che farlo a Milano, Torino o Roma, men che mai in Europa.

Il suddetto quadro genera ansia tra gli osservatori, eppure a ben vedere si potrebbero trovare motivi di soddisfazione. In primo luogo potremo risparmiarci le consuete apparizioni televisive dei neo acquistati che giustappunto ricordano che sin da bambini facevano il tifo proprio per la squadra che li ha appena ingaggiati; che fanno le foto con le nuove maglie e sorrisi pari agli emolumenti o che, addirittura, cambiano casacca e, giacché ci sono, pure opinioni.

L’ultimo è stato Lucio, che arrivato a prezzi di saldo dal Bayern Monaco all’Inter, con la casacca nerazzurra è diventato un giocatore vincente: il Triplete ed altri trofei (campionato del mondo per club) non li aveva mai vinti con le squadre dove aveva militato. Ebbene, nonostante ciò Lucio ha scelto le parole più acide e ridicole verso l’Inter, ammettendo a denti stretti che trescava con la Juventus già da Giugno scorso.

Marotta magari nell’occasione non avrà avuto da ridire circa l’avvicinamento ad un tesserato di un altro club senza il permesso, ma la Juventus, come è noto, ha una decisa difficoltà ad interpretare i regolamenti quando non le conviene.

Ma Lucio, che fino a tre mesi prima cantava “senza rubare, vinciamo senza rubare” o “chi non salta bianconero è”, improvvisamente si scopre ultras juventino e parla di scudetti di cui non conosce nulla. Perché? Per due milioni e mezzo di euro all’anno: vi sembrano pochi? Non sufficienti a sputare nel piatto dove si è mangiato?

Beh, questione di stile come diceva la canzone. E forse anche di scarsa conoscenza della matematica, giacchè il difensore brasiliano era il più scatenato nei festeggiamenti per il 18° scudetto dell'Inter. Pugni sul cuore e baci sulla maglia nerazzurra con commozione annessa. Ma se l'Inter di scudetti ne ha 18, la Juve non può averne 30. Glielo hano spiagato a Vinovo mentre l'istruivano su cosa dire ai media?

Certo, molti altri hanno lasciato l’Inter o il Milan o la Juventus senza per questo schizzare fango appena firmato il nuovo contratto, ma stiamo parlando di fuoriclasse, non di campioni. Lucio si è sempre detto un atleta di Cristo, calciatore fedele a Dio. Il dio denaro?

 


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