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Per non vincere questo Campionato la Juventus dovrebbe sottoporsi a una qualche forma di suicidio assistito. A 10 giornate dalla chiusura dei giochi, i bianconeri mettono a segno uno scatto probabilmente decisivo, portandosi a 9 punti di distanza dal Napoli. Lo “spread” tra la capolista e le inseguitrici non è mai stato così ampio dall'inizio della stagione e a questo punto sembra davvero incolmabile, anche perché lo scontro diretto fra la Vecchia Signora e gli azzurri è ormai alle spalle.
Nell’occasione la squadra di Conte non ha certo brillato, eppure è riuscita ad avere ragione di un Catania a tratti eroico. Lo ha fatto con una discreta dose di fortuna, riuscendo a segnare il gol decisivo soltanto in pieno recupero, in mischia, nientemeno che con Giaccherini. Non esattamente il top player tanto sospirato nei mesi scorsi.
Da parte sua il Napoli, dopo aver gettato al vento diverse occasioni di riaccendere la corsa allo scudetto, ieri sembra aver definitivamente alzato bandiera bianca. La resa è arrivata sul campo del Chievo, spesso mortifero per le grandi in cerca di riscatto. Un 2-0 che non lascia spazio a recriminazioni, tanto più che ormai gli undici di Mazzarri non possono più usare nemmeno la carta dell'Europa League per giustificare i passi falsi in Campionato.
Un alibi che invece torna ancora utile a Inter e Lazio, entrambe impegnate all'estero giovedì scorso. I nerazzurri, dopo esser stati schiantati 3-0 dal Tottenham a White Hart Lane, ieri hanno ceduto anche di fronte al ben più modesto Bologna. Per di più in casa. Il Gareth Bale della situazione è stato il senatore Alberto Gilardino, che da posizione dubbia ha insaccato il gol partita su assist del migliore in campo, Diego Perez.
Senza nulla togliere alla solidità del Bologna, è certo che i problemi dell'Inter vadano ben oltre la stanchezza fisica. Il dramma è soprattutto a centrocampo: Stankovic è lontanissimo da una condizione minimamente accettabile, Schelotto ricorda per disorientamento il buon vecchio Van Der Meyde e Benassi (classe '94) non è ancora pronto per questi livelli. Gargano recupera qualche pallone, ma il fatto che si facciano tirare a lui le punizioni dal limite la dice lunga sulla logica che è in campo.
Un discorso simile vale anche per la Lazio, reduce da una giornata di gloria a Stoccarda e ieri vittima di una splendida Fiorentina, uscita vincitrice per 0-2 dall'Olimpico senza nemmeno faticare troppo. Borja Valero, signore assoluto del centrocampo, ha propiziato l'1-0 di Jovetic, mentre il raddoppio è stato un capolavoro di strategia montelliana. Come Wellington sul campo di battaglia, il tecnico viola prepara il calci da fermo nei minimi dettagli: una serie di blocchi e controblocchi in barriera hanno ingannato Marchetti (colpevole dei soliti passettini verso il palo sbagliato), trasformando in un colpo mortale la punizione non indimenticabile di Ljajic.
Ora la Fiorentina dice di puntare al terzo posto, e a giudicare dal gioco espresso ieri l'obiettivo è credibile. Bisognerà però fare i conti con un Milan che continua la sua netta risalita e può contare su un attacco a dir poco ispirato: il fenomeno della stagione sembrava El Shaarawy, ma anche Pazzini e Balotelli attraversano un periodo di grande forma. I loro due gol, uno per tempo, hanno regolato il Genoa, che però ancora recrimina (giustamente) per due rigori non concessi. Il Milan, come sempre, utilizza la raccolta differenziata per i favori arbitrali.
Quanto alla Roma, la cura Andreazzoli sembra aver perso un po' della sua efficacia a Udine (1-1), dove a tratti si è rivista l'inconcludenza della squadra zemaniana, le poemiche sulla sostituzione di Totti e i gol sbagliati da Osvaldo. E anche lo Stekelenburg dei tempi bui, quello che si fa passare i palloni sotto le gambe. Per il Palermo, invece, la novità è che va diretto verso la retrocessione, mentre la consuetudine è che Zamparini si appresta a cambiare allenatore.
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Apertura d’obbligo con omaggio a Francesco Totti, che con il rigore trasformato di ieri ha raggiunto i 225 gol in serie A, raggiungendo Nordhal, non proprio uno qualunque, e portandosi al secondo posto della classifica dei marcatori nel campionato italiano. Non è chiaro quanto Totti potrà continuare ma un campionato giocato a questi livelli di corsa e di realizzazioni non lo si vedeva da qualche anno.
Le chiavi di lettura, premessa la classe immensa del giocatore, sono certamente l'essere tornato a fare il centravanti e, forse, proprio aver curato la preparazione (pesantissima) con Zeman, dal momento che la capacità di corsa e di tenuta atletica del fuoriclasse giallorosso è decisamente superiore a quella degli anni passati. La Roma continua ad essere, soprattutto, Francesco Totti e, fin quando sarà in grado di giocare a questi livelli, un bel pezzo di classifica sarà garantito.
Fatta la doverosa premessa, va detto che si è giocata una ventisettesima giornata tutto sommato con poche sorprese. I risultati di Juventus-Napoli e Milan-Lazio erano in qualche modo prevedibili, così come la vittoria della Fiorentina e quella della Roma. L’unica sorpresa, viste i rispettivi ruolini di marcia delle ultime dieci giornate, è stata la rimonta vincente dell’Inter al Massimino di Catania. Sotto di due gol alla fine del primo tempo, la squadra nerazzurra ha saputo invertire completamente la gara, portandosi prima in parità e poi superando i ragazzi di Pulvirenti.
Uno straordinario Palacio (due gol fatti personalmente e un altro grazie ad un suo assist), certo, ma anche una correzione robusta dell’impianto della squadra da parte di Stramaccioni hanno permesso la “remuntada”. Proprio gli errori di valutazione del tecnico avevano proposto un attacco con una punta, Rocchi, visibilmente non più in grado di giocare in serie A; la rinuncia a Kovacic e Stankovic aveva denunciato la scarsa fiducia in una centrocampo tecnico in favore di uno più muscolare e, conseguentemente, un baricentro della squadra basso, sempre tutti dietro la linea della palla.
D’altra parte difficile che la squadra accettasse di sbilanciarsi all’attacco quando si capisce che non nutre nessuna fiducia nell’ex giocatore laziale. E’ la seconda partita consecutiva che Stramaccioni – pure castigato dal mercato folle di Branca e dalla sequela di infortuni e squalifiche – sbaglia clamorosamente nelle scelte iniziali e non è detto che sarà sempre possibile correggere in corsa. Al momento, comunque, l’incerottata squadra di Moratti ha recuperato i punti sulla Lazio, utili a cercare di sognare ancora il terzo posto finale.
Proprio la Lazio, invece, sembra non aver più benzina e l’arbitraggio assai discutibile di Rizzoli non ha certo aiutato. La tendenza all’aiutino verso il Milan non cessa e aver costretto la Lazio in dieci uomini per oltre un’ora è certamente stata una delle chiavi decisive per l’esito della partita.
Ma detto questo, non si possono non vedere comunque i limiti della Lazio nelle ultime partite e la facilità con la quale subisce gol dopo aver fatto un girone d’andata con una difesa tra le migliori del campionato. Il mancato rafforzamento sul mercato di Gennaio sta rendendo impossibile un turn-over che sarebbe necessario per dare modo anche di rifiatare a chi ha tirato la carretta per tutto il girone d’andata. Lo stesso Petkovic non sembra lucido come nella prima parte del torneo ma è pur vero che quando le soluzioni alternative mancano la tendenza all’errore si amplifica.
Risale la Roma, grazie ad una ritrovata serenità interna che ha reso di nuovo Stekelemburg protagonista e all’arbitraggio scandaloso di Gervasoni, che umilia il Genoa. Un rigore per la Roma che sblocca il risultato assolutamente inventato e l’espulsione del migliore in campo dei grifoni accompagnate dall’espulsione di Ballardini (assolutamente immotivata visto che stava dicendo ai suoi di mettere la palla fuori causa infortunio di un giocatore della Roma) sono stati l’emblema di una direzione di gara pessima. Tra l’altro, l’espulsione di Kucka impedirà al Genoa di schierarlo contro il Milan; saranno felici a Milanello.
La Fiorentina ha avuto ragione del Chievo con due gol straordinari, così come due gesti tecnici straordinari hanno firmato la vittoria del Bologna sul Cagliari. Vittoria in trasferta dell’Udinese sul Pescara, che sta decidendo in queste ore di esonerare l’allenatore Bergodi a affidato la squadra a Bucchi. Un suggerimento ce l’avremmo: c’è un grande allenatore che conosce squadra e città, è boemo e attualmente disoccupato. Non converrebbe farci un pensierino? Una telefonata, a volte, allunga la serie A.
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Nella giornata spezzatino, dove le partite importantissime che riguardano Juventus, Lazio e Fiorentina si giocano il lunedì, l’unica vincente appare Sky, che con i soldi dei diritti televisivi si è di fatto sostituita alla Lega calcio nella programmazione degli eventi sportivi, la cui collocazione si deve ormai unicamente all’ascolto potenziale e all’inserzionista pubblicitario.
Nelle gare già disputate, quella più importante è stata certamente il derby di Milano. Che è finito in parità per merito (o colpa) di Stramaccioni, che ha regalato ad Allegri l’intero primo tempo, mandando in campo una squadra talmente sconclusionata dal porre seriamente la domanda: per l’allenatore romano è questione d’esperienza o di dipendenza? Crede davvero alle scelte che fa o non può fare diversamente per ragioni interne? Decidere di giocare 72 ore dopo la trasferta in Romania con Zanetti, Cambiasso, Cassano e Alvarez, significa accontentare il blocco storico dello spogliatoio (la famosa esperienza) ma opporre la staticità assoluta al movimento, cosa buona per gli scacchi e pessima per il calcio. L’aveva già sperimentata a Firenze ma, non pago dell’errore, ha deciso di intestardirsi.
Si è quindi visto il miglior giocatore dell’Inter (Guarin) sulla fascia, cioè dove proprio non sa giocare e Cambiasso al centro del campo dove non riesce ad arrivare ormai su nessun pallone. Spostare Guarin sulla fascia ha comportato tre conseguenze: offrire serenità all’impostazione del gioco per vie centrali dei rossoneri, spingerli ad utilizzare la loro fascia sinistra come fosse Disneyland e mettere Zanetti in balìa delle sovrapposizioni milaniste. Quando Abate e De Sciglio sembrano Maicon e Bale, qualcosa non funziona; quando per capirlo a Stramaccioni necessitano 45 minuti di gioco, significa che quello che non funziona è lui.
Prova ne sia che non appena sono stati inseriti i cambi e, con essi, modificato l’assetto tattico, la partita è cambiata e, fosse durata ancora dieci minuti, viste le condizioni boccheggianti del Milan, probabilmente l’Inter se la sarebbe aggiudicata, pur non meritandolo. Non è questione di stanchezza del Milan, che a differenza dell’Inter ha una squadra più giovane, non ha fatto pesanti trasferte in settimana e che ha riposato un giorno in più. E’ questione di sistemazione in campo ed energie dinamiche. Se al Milan, che incassa gol a ripetizione su palle da fermo e su contropiede ti limiti ad aspettarlo davanti alla difesa, bene che ti va è che non perdi.
L’unico giocatore che poteva cambiare passo all’Inter era Kovacic, chi poteva costruire regia difensiva era Kuzmanovic, l’unico che poteva mettere geometrie e polmoni era Benassi, ma tutti e tre erano in panchina per fare spazio alla carica dei trentacinquenni. Cambiasso può giocare una partita a settimana, non tre, e solo da trequartista (suo antico ruolo nel Real Madrid); perché non ha la corsa per coprire trenta metri di campo, mentre ha la tecnica e i tempi d’inserimento in area che ancora ne fanno un ottimo giocatore. Esporlo all’umiliazione di avversari che gli sfrecciano intorno e che lo saltano come un birillo non è giusto né per il campione che è stato, né per la squadra che paga il prezzo dell’incapacità di corsa sua e di Cassano.
Allegri non può lamentarsi troppo del suo Milan che non ha saputo capitalizzare con un bottino di gol quanto prodotto nei primi 45: un Handanovic a livelli stratosferici è l’unica spiegazione. Gli strafalcioni dell’allenatore nerazzurro lo hanno certo agevolato nel ridisegnare la squadra in cinque minuti, scegliendo di proporre la fascia sinistra per attaccare l’Inter. Cross dalle fasce e penetrazioni per vie centrali non hanno avuto lo stesso esito perché centralmente Gargano, Ranocchia e Juan Jesus sono clienti difficili, mentre sulle due fasce, i mai protetti Zanetti e Nagatomo erano come il burro.
Il Milan ha dato tutto quello che aveva da dare, compreso un miracolo di Abbiati su Guarin, e se nei primi 45 minuti non ha chiuso il match è anche perché Balotelli, come è sempre stato, scompare dal campo quando più c’è bisogno. Certo, la partita contro la squadra che l’ha lanciato e alla quale ha risposto con maleducazione sportiva (beccandosi poi qualche sonoro ceffone) non era la più semplice dal punto di vista psicologico ed è anche vero che Juan Jesus non soffre certo il fisico, ma resta il fatto che si è mangiato due occasioni straordinarie e non è riuscito a evitare i gestacci contro la curva interista che lo fischiava. Insomma, doveva essere l’uomo derby ma è scomparso presto dalla gara. Domanda: perché le squadre con le quali gioca Balotelli brindano quando arriva e brindano due volte quando se ne va?
La Roma espugna Bergamo grazie a una buona dose di fortuna sul gol decisivo, ma meritando comunque i tre punti, ottenuti grazie al rientro nella “normalità” che il suo nuovo allenatore ha imposto. Giocatori schierati nei loro ruoli, maggiore copertura tattica del campo e migliore attenzione nella manovra sono i tre aspetti che Andreazzoli ha saputo affrontare, mentre ancora non riesce a migliorare una fase difensiva che è costata ai giallorossi diversi punti in classifica. La Roma, infatti, che per organico non è inferiore ad altre squadre meglio piazzate nella zona alta, è vittima proprio delle incertezze del reparto arretrato. Se Andreazzoli saprà porre rimedio anche a questo aspetto, il finale di campionato potrebbe proporre una squadra molto più protagonista nella corsa alle posizioni dove si guadagna l’Europa.
La realtà del Catania ormai supera le migliori aspettative. La vittoria di ieri sul campo del Parma e soprattutto la sua posizione in classifica (42 punti) sono il frutto di una squadra dove la ricostruzione voluta da Pulvirenti è stata un esempio di programmazione che in molti dovrebbero seguire. Simeone cominciò il lavoro, Montella lo proseguì e Maran sta completando e ottimizzando.
Ben altra situazione si vive a Palermo, dove il pareggio casalingo contro il Genoa ha comportato l’esonero di Malesani e il ritorno di Gasperini, che proprio da Malesani era stato sostituito. Dal momento che il denaro è l’unico dio dei laici, Gasperini tornerà, rimandando la dignità personale al contratto che comunque lo vincola. Ci piacerebbe sentire il tecnico piemontese dire che preferisce rescindere che tornare dopo esser stato umiliato, ma sarebbe, appunto, pretendere troppo.
In fondo, un calcio malato come quello italiano non può certo avere in Gasperini il medico. La girandola infinita di Zamparini, presidente incompetente tecnicamente, incontinente verbalmente e incapace managerialmente, sta creando le condizioni per la discesa in serie B della squadra e l’unica vera soluzione ai guai dei rosanero sarebbe proprio l’esonero di Zamparini a firma di Zamparini. Sempre per restare nel mondo delle illusioni.
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In un campionato avviato verso un responso già chiaro sia per la vittoria che per i piazzamenti nelle coppe, complice un Napoli che non sa approfittare della caduta di chi lo precede in classifica, la venticinquesima giornata presenta due risultati eclatanti: la sconfitta di Juventus e Inter a danno della Roma e della Fiorentina. Ma mentre per la Juve si tratta di una sconfitta dovuta ad una giocata da fuoriclasse di Francesco Totti, che ha lanciato un meteorite imprendibile, per l’Inter si tratta di una sconfitta umiliante. Se infatti la squadra torinese ha comunque giocato meglio la prima mezz’ora, perdendo poi insieme alla freschezza atletica anche le idee e il gioco di squadra, per la squadra milanese è andata in onda una vera e propria debacle tecnica, atletica e tattica.
L’Inter, reduce dal brutto incidente occorso a Milito e chiamata a moltiplicare gli sforzi per non far rimpiangere l’assenza del suo giocatore più incisivo, è rimasta sul frecciarossa che da Milano l’ha portata a Firenze. Stramaccioni, come Conte, ha imputato alla terza partita in sette giorni, l’imbarazzante prova tecnica e atletica dei suoi, e, come Conte, assumendosi la colpa di non aver saputo comprendere la condizione fisica della squadra. Ma, almeno nel caso dei nerazzurri, Stramaccioni ha allegramente sorvolato sulle sue responsabilità sul piano delle scelte tecniche e tattiche, vere cause di una sconfitta bruciante. Perché l’Inter poteva anche perdere a Firenze, non sarebbe stata un’eresia: la Fiorentina gioca un ottimo calcio e ha in panchina un eccellente allenatore e solo ad una sua difficoltà strutturale nelle trasferte deve una posizione di classifica non all’altezza delle sue qualità. Quello che però è accaduto è che Stramaccioni ha brutalmente perso il confronto con il suo amico Montella facendo apparire i viola ancora più forti di quello che sono.
Tre i problemi più evidenti: tenuta atletica, tasso tecnico, impianto tattico. Sul primo aspetto non si capisce cosa faccia un allenatore se non riesce a vedere chi è meno o più in forma: si allenano o giocano a scacchi? L’Inter gioca con tre giocatori letteralmente fermi e inadeguati all’agonismo di un qualunque campionato di calcio: Cassano, Cambiasso e Zanetti sono improponibili sul piano della corsa. E se almeno il primo inventa, ma lascia ai laterali destri degli avversari delle praterie, il secondo toglie agonismo e dinamicità e il terzo risulta francamente improponibile. Giocare in otto contro undici non è possibile. Sul secondo aspetto si deve spiegare come mai una squadra con il blasone dell’Inter sceglie giocatori come Schelotto e Rocchi (e la lista potrebbe continuare a lungo) per sostituire Sneijder e Coutinho. E perché mai i migliori giovani dell’Inter restano in panchina per far giocare ultratrentenni? Certo, con i giovani non vinci se non sono supportati dai più esperti, ma perché togliere Kovacic che a centrocampo era l’unico che correva e provava a giocare, l’unico che non sente il pallone che brucia? E che fine ha fatto Benassi, autore di buone prove e quindi scartato?
Ma è quello tattico l’aspetto più inquietante: l’Inter non ha un gioco degno di tal nome. E’ l’unica squadra del campionato ad essere priva di schemi e identità tattica. La squadra è ferma e nessuno cerca il pallone, nessuno detta un passaggio e nessuno ordina la manovra. A questo si aggiungono le scelte scombinate di Stramaccioni che non sembra in grado di leggere le gare prima e durante il loro svolgimento. Se la Fiorentina gioca con cinque centrocampisti, com’è possibile opporgliene tre, per giunta con uno lento e uno che deambula? La distanza tra i reparti è pazzesca e non solo gli attaccanti non arretrano, ma i difensori si schiacciano al limite dell’area, consentendo così diverse soluzioni all’attacco avversario. Si può anche accusare la difesa, ma i viola ieri arrivavano in sei o sette al limite dell’area dell’Inter senza incontrare resistenza. Per ultimo, Stramaccioni ha giustamente detto che gli avversari arrivano prima sul pallone al primo e al secondo tocco: ma chi ha insegnato alla difesa e ai centrocampisti interisti a marcare dando 5 metri di spazio e ad indietreggiare davanti alle manovre offensive?
Ricostruire un’Inter vincente non sarà facile, ma quello che appare chiaro è che se i giovani interisti compongono la difesa della Nazionale Under 21, giocano nel centrocampo e nell’attacco delle rispettive nazionali ma non trovano spazio nell’Inter, non si va da nessuna parte. Costruire l’Inter del futuro, va bene, ma non si può giocare il presente con le glorie del passato. I giocatori che hanno un’età avanzata, logori da mille battaglie e vittorie, dovrebbero accomodarsi in panchina e far rifiatare nell’ultima mezz’ora (quella è la loro autonomia di corsa) i giovani. Ma perché questo accada c’è bisogno di una guida tecnica che sappia imporsi nello spogliatoio e che non sia alternativamente integralista nei suoi moduli una domenica e spalmato su quelli altrui la domenica successiva.
Nel frattempo, l’Inter dovrà fare i conti con l’incapacità di centrare anche uno solo dei traguardi per cui è in corsa, grazie a campagne acquisti senza senso e mancanza di autorità della società nello spogliatoio. Se si vuole puntare sul giovane tecnico romano sarà meglio metterlo nelle condizioni di fare il suo mestiere. Pensare a Stramaccioni che si affida a Milito, Samuel, Chivu e Stankovic significa che si è abusato con i filmati dell’Inter di Mourinho. Meglio sarebbe far vedere quelli dell’Inter di Ranieri per indicargli la strada che prenderà a fine torneo (se non prima) se non riuscirà a imporre idee e uomini nuovi.
La Juventus, dicevamo all’inizio, lamenta come l’Inter e come il Napoli la fatica di tre gare in sette giorni. E’ vero, infatti, che le sue sconfitte sono venute tutte dopo le partite di Champions. E’ ovvio che se la fatica doppia pesa all’inizio del torneo, figuriamoci dopo aver giocato una quarantina di partite tra campionato e coppe. Si dirà: ma perché ai tedeschi e agli spagnoli non succede? Non è sempre vero, ma comunque l’interrogativo è pertinente e forse, oltre ad avere i campi peggiori d’Europa, anche i metodi di allenamento dovrebbero essere rivisti. Possiamo però affermare con certezza che le squadre italiane di Champions ed Europa League sono le più vecchie anagraficamente. Non sarà la risposta decisiva ma nemmeno appare come un dettaglio.
Forse la sfida con la Roma, avversario storico della Juventus, ha impedito all'allenatore salentino di operare un turn-over più ampio, del quale, sia chiaro, sarebbe comunque stato accusato in caso di sconfitta. Ha quindi privilegiato la scelta di affidarsi al suo pacchetto di affidabili, ma senza valutare come la benzina segnasse rosso. Il fatto poi che la Juventus, per sue caratteristiche, ha bisogno di sviluppare una mole enorme di gioco per portare a casa la vittoria, dipende dall'incapacità della sua dirigenza di dotarla di quel bomber che, anche nelle giornate peggiori, mette la zampata che vale punti.
Le motivazioni di Conte sono le stesse che si sono sentite a Napoli, che è stato fermato in casa dalla Sampdoria di Delio Rossi, squadra decisamente irriconoscibile da come l’aveva lasciata Ferrara. Mazzarri sa che, così come lo sanno Conte e Stramaccioni, è difficile ignorare i patti di spogliatoio, rinunciare ai giocatori che ritieni essere i migliori e ai quali maggiormente ti affidi. Ma quando non si ha il coraggio di scegliere anche lo scontro pur di mandare in campo i più in forma e non i più affidabili, si sa che le colpe ricadranno proprio sull’allenatore. E gli affidabili non correranno in soccorso dello sconfitto.
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La Juventus fa la Juventus, l’Inter riprende a fare l’Inter e dal momento che Napoli e Lazio non vanno oltre il pareggio e il Milan, nonostante l’ennesimo rigore non riesce a vincere, la classifica del gruppo di testa si aggiorna. Sono modificazioni di esclusivo interesse per il terzo posto della zona Champions e per la zona Europa league, non essendo minimamente in discussione il primato bianconero, che vede la seconda (il Napoli) a meno cinque e la terza (la Lazio) a meno undici. Dunque, a meno di un improvviso o lento suicidio della squadra di Antonio Conte, la storia del campionato è già scritta per quanto attiene al capitolo sulla vittoria finale, restando ancora incerti solo i successivi piazzamenti europei e la zona retrocessione. Due le note stonate della giornata: il dito medio di Delio Rossi a Burdisso e i cori razzisti contro Balotelli della curva dell'Inter.
La vittoria della Juventus è stata netta, senza possibilità di equivoci. Si può scegliere l’angolo di visuale dal quale leggere la gara, stabilendo così se si è trattato di troppa Juve per la pur generosa Fiorentina o, viceversa, troppa inconsistenza dei viola per mettere in difficoltà i bianconeri. Ma è sembrata comunque una partita senza storia.
La Lazio può invece considerare il pareggio ottenuto contro il Napoli un’occasione persa. Sia per la possibilità di ridurre le distanze in classifica, sia per l’andamento della gara, sia perché i partenopei hanno disputato una gara al di sotto dei loro standard abituali. Anche qui si può disquisire se quest’ultimo aspetto sia stato una conseguenza della partita attenta della squadra di Petkovic o di una giornata meno brillante del solito della squadra di Mazzarri, ma essersi fatta rimontare il vantaggio sottolinea ulteriormente l’occasione mancata dalla Lazio.
Ma se una parte della tifoseria romana si rammarica, un’altra è preda dello sconforto. Ci si riferisce ovviamente ai tifosi della Roma, che hanno invano atteso una reazione positiva della squadra allenata ora da Andreazzoli. Aver esonerato Zeman, com’era facile prevedere, non solo non ha risolto i problemi di una squadra che sembra aver smarrito le coordinate del gioco e, insieme a queste, le regole interne di disciplina. Proprio di quest’ultimo aspetto si era lamentato il tecnico boemo, chiedendo alla società d’intervenire a supporto della guida tecnica. Il messaggio è stato evidentemente recepito male, dal momento che l’indisciplina è rimasta e Zeman no.
La vicenda del rigore sbagliato da Osvaldo è sintomatica: il rigorista della Roma è Francesco Totti, al quale però Osvaldo ha sottratto la possibilità di tirarlo. Il capitano della Roma, volendo giustamente evitare una lite in campo, si è rivolto alla panchina chiedendo indicazioni, ma da Andreazzoli non sono giunti ordini. Addirittura, il neo-allenatore si è detto ignaro di chi avesse precedenza nelle esecuzioni dei penalty.
Il rigore sbagliato non solo ha compromesso la possibilità dei giallorossi di rientrare in partita, ma ha ulteriormente demotivato la squadra che, con la complicità di un frastornato Stekelemburg e di una difesa inguardabile è andata incontro all’ennesima sconfitta di questo campionato. Ora c’è nella capitale chi chiede di richiamare Zeman, che però non è completamente esente da responsabilità per quanto riguarda la mancanza di tenuta atletica della squadra, dallo stesso boemo accusata di non allenarsi. Ma chi stabilisce orari, modalità e intensità degli allenamenti se non l’allenatore?
Sembra peraltro che lo stesso spogliatoio sia spaccato e, come sempre accade, proprio la mancanza di unità interna della squadra impedisce - quali che siano i valori tecnici - di capitalizzare. Dunque prima di scegliere chi allena sarà bene che la Roma scelga chi comanda, se la società o lo spogliatoio. Stabilire una flusso coerente d’intenti e persino di comunicazione tra squadra e società è il primo obbligo che spetta alla proprietà; le modalità con le quali deve avvenire - impositive o concilianti - sono questioni di metodo che va applicato a seconda del personale che si ha. Fatto questo, davvero non restano spazi di valutazione men che ovvia sulla differenza di valore tra Zeman e Andreazzoli.
Dopo la telenovela durata tre giorni su dove dovesse disputarsi la partita tra Cagliari e Milan, finalmente la sensazione di giocare troppo pesantemente a sostegno dei Berlusconi boys ha imposto la praticabilità di Is Arenas. Il Milan, chiamato a confermare quanto visto la settimana precedente, ha però proprio confermato quanto il sostegno arbitrale sia stato decisivo. Il pareggio è stato infatti ottenuto solo con un rigore a otto minuti dalla fine e l’auspicata coppia devastante El Shaarawy- Balotelli ha offerto scarso spettacolo. Certo, sulla carta i due ragazzi rappresentano una coppia fortissima, ma sarà difficile convincerli a snaturare profondamente l’istinto da prima punta in nome della collaborazione con il compagno. Balotelli ha vissuto queste difficoltà sia all’Inter che al Manchester City e l’impressione è che il ragazzo di origine egiziane, cui fino ad ora il Milan deve quasi tutti i suoi punti in classifica, trovi nella presenza di Balo un parziale problema più che una ulteriore risorsa.
El Shaarawy è infatti stato per tutti questi mesi il terminale offensivo della squadra e probabilmente poco apprezza l’idea di sfiancarsi sulla fascia per porgere a Balotelli il pallone da gol. La sovraesposizione mediatica ed elettorale che ha accompagnato l’arrivo del mononeuronico attaccante bresciano dev’essergli sembrata già abbastanza fastidiosa dal dovergli pure chiedere di alimentarla ulteriormente e tornare a fare in comprimario come lo fu con Ibrahimovic. Anche perché la qualità del fenomeno svedese e la sua media gol Balotelli può solo sognarla. Il rischio dunque, per Allegri (irriso da Berlusconi) è che il boom mediatico diventi un boomerang nello spogliatoio e in campo.
L’Inter torna a sorridere battendo nettamente il Chievo, che pure arrivava lanciato da ottime recenti prestazioni. Rispolverato il tridente pesante e la difesa a quattro, Stramaccioni ha ritrovato equilibrio grazie a Kuzmanovic utilizzato come schermo davanti alla difesa e Cambiasso a dettare ordine al centro del campo. Il risultato, viste le occasioni, è persino riduttivo: un Cassano ispirato ha però trovato una serataccia di Palacio. Buona la prestazione di Gargano, Zanetti e Nagatomo, mentre Handanovic continua a suscitare qualche perplessità sui gol che subisce e molto ancora va fatto in chiave difensiva, dove l’assenza di Samuel pesa enormemente.
L’impressione è che ora Stramaccioni abbia maggiori cambi a disposizione per permettersi un turn-over di qualità e il rientro dopo diversi mesi di assenza per infortunio di Stankovic, permetterà una varietà di soluzioni a centrocampo. Ieri intanto è stata con la Juventus l’unica squadra a godere del complesso dei risultati, portandosi a un punto dalla zona Champions. Se sia il primo atto della rinascita o una prestazione circostanziale lo si vedrà nelle prossime sfide con Fiorentina e Milan, due bocconi certo più difficili da azzannare di quanto non lo sia il Chievo di Corini.