di Fabrizio Casari

Il derby di Milano, emotivamente bellissimo ma brutto assai dal punto di vista spettacolare, dice fondamentalmente una cosa: il percorso di ricostruzione delle due milanesi procede con ritmi e contenuti diversi. La stracittadina vede sì la vittoria di un Inter capace di soffrire, ma soprattutto l’insipienza di un Milan incapace di sfruttare la superiorità numerica e la maggior freschezza dell’avversario rientrato a Milano all’alba di venerdì dalla trasferta europea in Azerbajian. Le due squadre milanesi vivono in modo decisamente diverso la nuova fase post- grandi fasti di mercato e sperperi vari. Cominciamo dai nerazzurri.

L’Inter è squadra. A volte brillante e a volte meno ma sa giocare le due fasi - offensiva e difensiva - più che discretamente, dimostrando una capacità di adattamento agli avversari prima e allo svolgimento delle gare poi, tipica di un gruppo solido. Certo, l’esperienza e la sapienza tattica di alcuni dei suoi senatori e la freschezza atletica di giocatori ritrovati (Ranocchia) e felici sorprese (Juan Jesus) contribuiscono in modo determinante alle vittorie che solo la scarsa vena di Milito impediscono di essere rotonde e nette.

Il merito principale della trasformazione dei nerazzurri è certamente di Stramaccioni, che ha trovato una comunicazione interna fluida, una disponibilità al sacrificio anche da parte dei senatori dello spogliatoio e una intelligenza tattica che gli ha fatto capire quanto la sua prima Inter iperoffensiva e spettacolare pagasse pegno esagerato nelle ripartenze degli avversari. Ha quindi blindato la difesa portandola a tre in fase di possesso palla e a cinque in fase non possesso (come la Juve e il Napoli). La mancanza di un regista impedisce, del resto, una squadra vocata al dominio del centrocampo, ma la fase difensiva è molto efficace e non priva di una sua estetica. Adesso segnare all’Inter è un problema, mentre comunque il suo attacco garantisce che un gol o due in qualche modo li segna. Una panchina di tutto rispetto, ampia e di qualità, permette un buon turnover e consente di poter giocare anche sette partite in quattordici giorni. Concretezza da vendere.

Il Milan vive decisamente un’altra fase. In primo luogo la sua ricostruzione è vittima di una destrutturazione molto più pesante: se infatti dall’Inter sono andati via giocatori comunque incamminati verso il viale del tramonto, da Milanello sono partiti giocatori come Ibra e Thiago Silva che sono ancora lontanissimi dal mollare. Inoltre, dalle individualità dello svedese e del brasiliano dipendevano oltremodo le sorti delle partite: uno pensava a non prenderle, l’altro a darle. Complessivamente, dunque, vendere Thiago Silva, Ibrahimovic e Cassano ha significato stroncare il tasso di classe della squadra. Montolivo e Pazzini sono due buoni giocatori, ma non certo capaci di cambiare le fisionomie e i risultati di squadre condannate a lottare per vincere. Possono svolgere un ruolo straordinario a Genova, Firenze, Palermo, Udine, ma non a Milano o a Torino, o anche a Roma, dove il calcio è altra storia.

C’è poi il “fattore Allegri”. L’allenatore toscano ha due grandi responsabilità nel recente passato e una nel presente: quelle del passato  sono di aver voluto la cessione di Pirlo e di aver reso il Milan troppo dipendente da Ibra; quella del presente è di non aver saputo dare alla squadra una fisionomia, una identità, uno schema di gioco. Proprio perché Allegri si è fatto le ossa in piccole squadre prima di trovarsi catapultato nel Milan, avrebbe avuto le conoscenze adeguate per ripartire da zero e costruire una squadra che avesse le caratteristiche adatte agli uomini di cui dispone. Nello specifico del derby di ieri, non è poi semplice spiegare come si può privilegiare Bojan su Pazzini e lasciare Nocerino fuori.

Il Milan di ieri sera non aveva un’idea o uno schema: un giocatore inutile come De Jong che appoggia solo il pallone a dieci metri di distanza, è un lusso quando l’avversario gioca di rimessa. Proprio perché l’Inter sa chiudersi, un giocatore come Nocerino - che sa inserirsi pericolosamente - può risultare l’arma vincente e Pazzini è l’unico a poter gareggiare con i difensori dell’Inter sui cross, mentre Bojan è fuffa allo stato puro.  Ma invece di tentare il tiro da fuori area - comunque reso complicato da Cambiasso e Gargano - il Milan poteva tentare il gol con le verticalizzazioni in area palla a terra e gli inserimenti di Montolivo e Bojan, piuttosto che intestardirsi allargando il gioco sulle fasce quando non dispone di saltatori in attacco. E’ vero che se si gioca in superiorità numerica allargare il gioco capitalizza il vantaggio, ma se poi di cross non ne prendi uno a che serve?

Insomma Allegri potrà anche protestare per l’arbitraggio (anche se un buon arbitro l’avrebbe spedito negli spogliatoi dopo tre minuti) ma sostenere che il Milan ha fatto una buona gara, che c’era un rigore e un gol (segnato però con tutta l’Inter ferma dopo il fischio arbitrale) è indice di scarsa lucidità e serenità. Quella che impedisce di vedere i problemi e quindi non trova le risorse tecniche per farvi fronte proprio nel suo allenatore. Che ormai, forse, ha i giorni contati: sennò che faceva Delio Rossi in tribuna?

La Roma vince una partita casalinga con l’Atalanta pagando però un prezzo altissimo sul piano della situazione interna. Zeman ha infatti estromesso De Rossi e Osvaldo dalla formazione che è scesa in campo, ma lo ha fatto indicando responsabilità precise dei due giocatori nell’andamento fortemente negativo dei giallorossi. Poteva tacere Zeman, indicando una scelta tecnica o qualunque altra motivazione alla base dell’esclusione dei due pezzi pregiati della Roma, ma l’abituale franchezza al limite della brutalità che contraddistingue la comunicazione del tecnico boemo lo ha spinto a descrivere Osvaldo e De Rossi come due giocatori che giocano per se stessi e non per la squadra.

Si può facilmente prevedere che le cose non rimarranno così: l’ambiente della Roma è una polveriera e forse ora lo sarà anche lo spogliatoio. Si tratta di vedere se la proprietà e la dirigenza della squadra vorranno prendere le parti dell’allenatore o iniziare un lento ma inesorabile percorso di ripensamento sulla scelta di riportarlo a Roma. Ma sembrerebbe questo un cammino difficile da intraprendere, visto che la tifoseria è spaccata a metà e il boemo rappresenta comunque una scelta di primissimo livello. Certo Zeman non è persona che si lascia ordinare cosa dire e come dirlo e se non intervengono chiarimenti e ripensamenti, ma soprattutto un bagno di umiltà da parte di alcuni giocatori, i tre punti di ieri rischiano dunque di rivelarsi la classica vittoria di Pirro.

La Juventus, dal canto suo, continua a vincere. Magari con fatica, ma vince e questo è quello che conta. Soprattutto la Juventus sembra riuscire a cambiare schemi offensivi quasi come cambia gli allenatori: sono molti i giocatori bianconeri andati a segno e la squadra ha una media di circa due gol e mezzo a partita segnati. Non perdere è comunque fondamentale non solo per gli ovvi motivi di classifica, ma perché serve a capitalizzare autostima nella squadra e punti in cascina che torneranno utilissimi quando gli impegni di Champions e campionato subiranno anche la fatica della Coppa Italia, formando così un inverno difficile da affrontare senza riserve.

Il Napoli - fortissimo - resta incollato e la prossima gara di campionato li vedrà sfidare direttamente la squadra di Conte con la quale dividono la testa della classifica. La Lazio, vittoriosa ieri a Pescara - che dietro alla coppia di testa di Juve e Napoli divide il secondo posto con l’Inter - se la vedrà invece con il Milan post derby. Ma in mezzo c’è la sosta per le nazionali e chissà che i biancocelesti non trovino i rossoneri con l’ex Delio Rossi in panchina.

di Fabrizio Casari

Due i risultati roboanti di questa domenica pallonara: la Juventus che impiega 17 minuti per umiliare la Roma e l’Inter che, dismessi i panni della vittima sacrificale, batte una Fiorentina da molti indicata come squadra più in forma del campionato. La vittoria del Napoli, che ha in Cavani e Hamsik la coppia di gioielli da sfoggiare, rimette i partenopei al primo posto insieme ai bianconeri e quella della ritrovata Lazio, terza insieme all’Inter, disegnano una classifica in qualche modo abbastanza coerente con quanto si è visto in queste prime sei giornate. La giornata di ieri è però è caratterizzata, appunto, dalla disfatta della Roma e dal ritorno dell’Inter.

Cominciamo da Torino, dove la squadra di Conte allenata da Carrera impone ritmo e, conscia delle lacune difensive di Zeman, infila verticalmente una Roma che sembra insistere a voler giocare come se sulla panchina sedesse ancora Luis Enrique. Perché è proprio questo il problema di fondo dei giallorossi: atteso che un certo squilibrio difensivo è comprensibile nelle squadre allenate da Zeman, è la modalità del gioco con il possesso palla che non somiglia affatto al modulo dell’allenatore boemo.

Verticalizzazioni improvvise e sovrapposizioni sulla fascia in questa Roma lasciano il posto ad una serie infinita di passaggi laterali che si rivelano inutili e pericolosi quando gli avversari pressano insistentemente in ogni zona del campo.

Puntare con regolarità il giocatore in possesso della palla e stringere sui suoi laterali così da rendere difficile anche solo lo scarico della palla, per non dire il passaggio, significa giocare ogni pallone sull’uno contro uno e, ove la palla venga riconquistata, proporre un contropiede velocissimo e spesso letale.

La Juventus è maestra nel pressing asfissiante, nella velocità e nell’aggressività di gioco; gioca a uno o due tocchi e sceglie la via verticale o l’allargamento sulle fasce con l’obiettivo di arrivare in area con tre o quattro passaggi. Pensare di opporre un gioco fatto da ragnatele di passaggi significa perdere prima di cominciare.

Detto questo, la Roma ha evidenziato non solo i suoi limiti difensivi (qui sempre segnalati), ma anche una condizione fisica non brillante e un gioco macchinoso e lento. Zeman ha detto che non ha la squadra in mano e questa è un’affermazione che mai dovrebbe fare un allenatore; ma certo è che si dimostra come il boemo dia il meglio di sé quando ha a disposizione una decina di giovanissimi di talento e un paio di giocatori più esperti. Ha bisogno di giocatori che seguano in tutto e per tutto le sue idee e corrano incessantemente per tutto il campo.

Quando non ci sono queste due pre-condizioni, parlare di schemi diventa secondario. E’ ora necessario che la Roma ritrovi in primo luogo la sua unità interna e risolva alcuni equivoci (Taxidis e Lamela in primo luogo) perché, al netto delle vittorie a tavolino, la classifica parla chiaro: in cinque partite giocate, sono cinque i punti realizzati. Una media retrocessione.

L’Inter ha sfatato il tabù negativo di San Siro e lo ha fatto giocando discretamente e sprecando molto. Il fatto che Viviano sia stato il migliore in campo della Fiorentina, la dice lunga sullo svolgimento della partita; Milito si è letteralmente divorato tre possibili gol (il primo dopo aver regalato alle pupille di chi vedeva una magnificenza fatta di stop, sombrero e tiro al volo potentissimo che si stampava sulla traversa). Se il primo tempo fosse finito 4 a 0 per i nerazzurri nessuno avrebbe potuto obiettare.

Troppo inerte l’attacco viola e troppo poco il suo centrocampo, forse in debito di idee e ossigeno dopo la partita eccellente contro la Juve nel turno precedente. La difesa a tre e il centrocampo a cinque sembrano decisamente un assetto migliore per i ragazzi di Stramaccioni, ma soprattutto in una migliore brillantezza fisica va ricercato il motivo della rigenerazione. In prospettiva la squadra può solo crescere, dato l’ormai prossimo rientro di Palacio  e l’assenza di Snejider.

Molti commentatori hanno provato a chiedere a Stramaccioni se sia proprio l’assenza del nazionale olandese a favorire una squadra più solida e con meno doppioni.

Un fatto è certo: Cassano e Snejider giocano nella stessa zona di campo, ma l’olandese - che non è un trequartista, né un centrocampista classico, bensì una seconda punta anomala - non ha la stessa capacità di servire le punte del barese. Con l’assistenza del quale Pazzini alla Samp e Ibra nel Milan sono sempre risultati letali.

Per di più Cassano segna, non si limita a far segnare e, addirittura, nella sua versione interista copre bene la sua zona di campo. Contro la Fiorentina, Roncaglia ha dovuto esimersi dalle sue avanzate proprio perché la presenza e il movimento di Cassano glielo sconsigliava.

Dunque, terminato anzitempo quanto nettamente il dibattito su chi, tra inter e Milan, avrebbe guadagnato dallo scambio Pazzini-Cassano, è semmai il ruolo di Sneijder da ripensare il prossimo lavoro di Stramaccioni. Proprio l’assenza dell’olandese, in effetti, sembra sia la chiave per la riduzione della confusione in campo e l’alternativa allo sbocco unico della costruzione del gioco.

D’altra parte, andrebbe ricordato come anche lo scorso anno, Ranieri infilò un filotto di vittorie che s’interruppe proprio in coincidenza del rientro dell’olandese, giocatore di classe assoluta e quindi difficile da mettere ai margini, ma difficile da incasellare in uno schieramento disciplinato e, dunque, oggettivo limite all’ordine della manovra.

Aver conquistato il terzo posto ridà comunque alla squadra una ritrovata autostima e, se pure non sono autorizzati sogni da scudetto, l’Inter con la sua crescita sembra voler affermare un ruolo da protagonista di questo campionato.

di Fabrizio Casari

Il Napoli raggiunge la Juventus in vetta alla classifica, le milanesi ritrovano la vittoria, mentre le romane scoprono come i calcoli iniziali vadano sempre sottoposti ai tempi medio-lunghi. La Lazio di Petkovic, oggetto di titoli roboanti sulla stampa romana e il codazzo di trasmissioni radiofoniche concepite proprio per trasformare il tifo esasperato in scienza calcistica, scopre che con il Chievo sono in parecchi a vincere, è col Napoli che non ci si riesce. Una squadra messa benissimo in campo da Mazzarri, collaudata da anni e addirittura migliorata dopo la partenza di Lavezzi e Gargano, grazie alla definitiva affermazione di Hamsik e Pandev e allo strepitoso Cavani.

La Roma non riesce a superare la Sampdoria, pur priva del suo migliore attaccante, e la situazione di classifica comincia a farsi poco esaltante. Nonostante infatti il regalo gentilmente fornito da Cellino e da un regolamento quanto meno da rivedere, la classifica alla quinta giornata  la vede sotto l’Inter, la Lazio e la Samp. La squadra allenata da Zeman sembra non riuscire a darsi la fisionomia tipica delle squadre allenate dal boemo e in attesa di vedere se Destro sia stato un buon affare, con Osvaldo fuori è sempre il buon Francesco Totti a risolvere le difficoltà dei giallorossi.

Insomma le discussioni e le polemiche seguite alla scorsa domenica, che vedevano la fine delle milanesi, l’affermarsi delle romane e la lotta tra Napoli e Juventus per la vetta, andrebbero in parte già rivisitate dopo soli tre giorni. Non c’è dubbio che la Juventus sia decisamente diversi passi avanti e che il Napoli sembra l’unica squadra attrezzata per tallonarla e tentare di sorpassarla, ma sarebbe bene attendere qualche turno per vedere se tutto quello che luccica è effettivamente oro e quello in ombra è effettivamente uno scenario nero. La fatica con la quale la Juventus è uscita indenne da Firenze e le difficoltà già incontrate tre giorni prima, fanno intravvedere ostacoli di natura fisica legati agli impegni europei e alla loro sovrapposizione con il campionato che, per una squadra che punta tutto proprio sull’agonismo, è questione non di poco conto.

E le stesse milanesi, che certo non reciteranno il ruolo di protagoniste assolute, non sono poi in condizioni drammatiche; prova ne sia che l’Inter, criticata in ogni dove, ha comunque gli stessi punti della Lazio, un punto sotto la Sampdoria e quattro sotto Juventus e Napoli. Certo, le vittorie di ieri andranno valutate già dalla prossima domenica, soprattutto per la squadra di Stramaccioni che se la vedrà con la Fiorentina di Montella, che ha tenuto sulle corde la Juventus con una partita di assoluto valore. Sono i viola, ad oggi, la novità più importante del campionato.

Solo la minore predisposizione alla zampata killer delle sue mezze punte in zona gol e l’assenza di un attaccante di ruolo ha permesso ai bianconeri di evitare la loro prima sconfitta. Ma la Fiorentina gioca bene al calcio, ha un pacchetto difensivo di tutto rispetto e un ottimo centrocampo; alla vena di Jovetic - questo l’unico limite - sono pero in gran parte legate le sue realizzazioni offensive.

Pur essendo il montenegrino un fuoriclasse, rappresentando però lo sbocco obbligato per andare in rete, le soluzioni offensive sembrano limitate. Ma limitate non significa scarse e l’Inter dovrà porre bel altra attenzione a centrocampo e in difesa se vorrà uscire imbattuta dal confronto.

Quindi si può ipotizzare per domenica sera una serataccia per gli Strama-boys, che possono anche trovare una migliore quadratura dell’assetto di squadra per non soffrire una cronica inferiorità a centrocampo, ma il problema della costruzione del gioco resta evidente e, ancor più, la scarsa brillantezza atletica di molti dei suoi giocatori più importanti. Prima i viola,poi l’Europa League e subito dopo il derby, diranno se la trasformazione sarà riuscita.

di Fabrizio Casari

Solo la Juventus approfitta della battuta d’arresto delle milanesi e del Napoli, confermandosi al primo posto solitario in classifica. A leggere quanto succede nei campi, pur premettendo che siamo solo alle prime quattro partite, appare chiaro che saranno i bianconeri e il Napoli che potranno disegnare il duello per la vittoria finale, con Fiorentina e Lazio nel ruolo delle incognite e la Sampdoria in quello della sorpresa. La Roma incasserà probabilmente il 3 a 0 a tavolino come risultato dell’idiozia di Cellino, e la Lazio ha conosciuto una prima battuta d’arresto. Non si può però non notare come, eccezion fatta per la Juventus, tutte le squadre che hanno giocato le coppe hanno sofferto: Questo non è un caso: attiene alla preparazione atletica da un lato e alle rose non all’altezza dall’altro. L’eccezione, appunto, è la Juventus, che ha dalla sua un gioco a memoria, una rosa di assoluto valore e una preparazione atletica superiore alle altre.

Ciononostante, fatti i dovuti onori ai bianconeri, è chiaro che quando una squadra come il Milan, la più titolata d’Italia e tra le prime al mondo, si trova provvisoriamente in zona retrocessione, qualcosa di poco ordinario sta accadendo nel calcio italiano. La caduta rovinosa dei rossoneri e quella solo in parte meno dolorosa dell’Inter, disegnano la crisi del calcio milanese. E dal momento che non meritano spazio le idiozie circa la maledizione del Meazza, è meglio concentrarsi su cause e vie d’uscita a questa inedita situazione.

Ambedue le crisi nascono con un problema a monte: quello del ridimensionamento economico in vista del fair play finanziario in vigore dal prossimo anno. E’ evidente che tocchi loro più di chiunque altra squadra, giacché proprio le milanesi hanno investito di più negli ultimi dieci anni e, non per caso, hanno vinto di più. E’ dunque inevitabile che la cura per il risanamento finanziario sia più violenta e di maggior impatto: passare da Ibrahimovic a Pazzini o da Maicon a Jonathan rende abbastanza l’idea della declassificazione.

Il secondo problema riguarda i due allenatori, non in grado ancora di resettare i loro credo calcistici alla rosa di cui dispongono. Problema per Allegri ancor più difficile da risolvere, perché lo schema Allegri era “palla a Ibra e vediamo”, schema irriproducibile, quindi, in assenza di Ibra. Acquistare Pazzini significa dotarsi di un attaccante letale se la sua squadra gioca con quattro laterali che vanno a sovrapporsi nella ricerca dei cross dal fondo; pensare di dialogare palla a terra e imbucare per le vie centrali, significa invece mettere Pazzini in condizione di guardare la partita degli altri.

E non si può continuare a rifondere le proprie speranze nel rientro del lungodegente Pato. Semmai è al mercato di gennaio che si deve guardare: l’uscita di giocatori che lo scorso anno facevano girare il pallone - Van Bommel e Seedorf, ad esempio - non può essere tamponata da un incontrista puro e nemmeno particolarmente efficace come De Jong. A questo si aggiunge una tenuta atletica decisamente inferiore alla bisogna e una difesa che ai tifosi del Milan deve apparire come un museo degli orrori ripensando a quella con Thiago Silva e Nesta. Il clima di scontro verbale e di fiducia a tempo non è comunque utile ad uscire dalla crisi e Inzaghi farebbe bene a starsene in un cantuccio; la vendetta è un piatto che si gusta freddo.

Per Stramaccioni, invece, si tratta di comprendere come mandare in campo una squadra con tre giocatori che fanno solo una delle due fasi, non sia possibile per nessuno. Il problema non sono il numero delle punte (Mourinho ne teneva tre o quattro quando voleva (Eto’o, Milito, Pandev e Snejider) ma due di loro, di fatto, facevano i cursori di fascia e coprivano oltre che attaccare, dando equilibrio al centrocampo che poteva concentrarsi nella zona centrale con Motta, Cambiasso e Zanetti che erano una linea di difesa e ripartenza straordinaria, grazie alla quale la difesa era protetta e le punte erano servite per il contropiede.

Così come Allegri non ha più Ibra e Thiago Silva, Stramaccioni non dispone di quei campioni, quindi ammassare figurine in campo è inutile quando non controproducente. Così come non serve dare colpe alla difesa, che subisce ogni scorribanda causa assenza del filtro a centrocampo e sembra colpevole anche quando non lo è del tutto.

Serve invece l’equilibrio tattico, che è cosa che ha molto a che vedere con la ripartizione dei compiti e poco con le rigidità degli schemi. L’Inter gioca malissimo quando non ha la palla e gioca male quando ce l’ha; attacca senza allargarsi (il Siena schierava otto giocatori in area: come si pensava di poter passare per le vie centrali e palla a terra?) e viene imbucata sulle fasce e al centro causa assenza di filtro e inferiorità numerica. Stramaccioni dovrà poi capire come mai il giocatore dell’Inter arriva quasi sempre sul pallone dopo il suo avversario: la tenuta atletica è al di sotto del necessario e a questo, almeno, non c’è rimedio fino a Natale.

Meglio chiudere in allegria pensando a Zamparini e Cellino. Il primo chiama Gasperini che non ci pensa un attimo a perdere e il secondo dimostra come l’idiozia non migliora con il denaro. Quando un Presidente sfida istituzioni, tifosi e buon senso, convocando il pubblico allo stadio benché inagibile, bisognerà che qualcuno convochi lui presso un Centro d’Igiene mentale più che in Federcalcio.

di Fabrizio Casari

La caduta di Milan e Roma, un turno addietro magnificate e ora criticate, ha messo un po’ di pepe nel torneo, che vede ora Juventus, Napoli e Lazio in testa alla classifica con la Sampdoria un punto dietro causa penalizzazione. Ad eccezione della Samp, a guardare la vetta sembrerebbe di poter assistere in qualche modo ad una ripetizione dello scorso campionato, ma ipotizzare questo blocco nelle stesse posizioni già tra due mesi potrebbe risultare imprudente. Quello che sembra offrire questo campionato sono due elementi, in qualche modo tra loro collegati: un tasso tecnico decisamente inferiore a quello (già non eccelso) dello scorso anno e un paio di risultati a sorpresa ad ogni giornata, ad indicare quanto il livellamento generale delle prime sei-sette squadre difficilmente verrà messo in discussione.

La Juventus continua a non perdere, anche se con il Genoa se l’è vista brutta per un lungo periodo della partita. Ma la maggior forza rispetto allo scorso anno è una panchina di eguale (o a volte superiore) qualità dei titolari. Non gioca bene come lo scorso anno e quando Pirlo rallenta ne risente eccessivamente, ma ha giocatori che, in qualunque momento, possono rimettere per il verso giusto quello che non funziona. Sarà forse questo l’antidoto migliore ai veleni e alle fatiche della Champions, che gli permetterà di non perdere troppo terreno in campionato.

Marcia a ritmi fortissimi il Napoli, che dalla cessione di Lavezzi ha incassato una quota seria di milioni di euro e un nuovo protagonismo di Hamsik e di Pandev e che, tenendo Cavani, ha garantito alla sua squadra una fase offensiva micidiale, tenuto conto anche di un giocatore come Insigne che può solo crescere ulteriormente ma che già fa pensare a ci l’ha preso di aver fatto un ottimo affare e a chi l’ha ceduto di aver sbagliato tutto. Bene anche la Lazio, che continua a segnare e a non subìre particolarmente e che si candida a migliorare il già notevole campionato dello scorso anno. La forza degli aquilotti sta certamente in un buon equilibrio tra i reparti, ma soprattutto nel possedere una coppia come Hernanes e Klose, con il primo ad ispirare e il secondo che serve a far muovere tutto l’attacco e a finalizzare con la rapacità per la quale il fuoriclasse tedesco ha caratterizzato la sua brillante carriera. Anche qui sarà importante affrontare l’Europa con il turn-over necessario ma senza snaturare l’assetto tattico che sembra quello giusto.

La vera notizia della giornata è però l’entrata a tutto diritto della parola crisi nella vicenda del Milan. La pubblicistica sportiva assegna al duello rusticano tra Galliani ed Allegri l’evidenza di una mancanza di fiducia del club nei confronti dell’allenatore. Difficile però dare la colpa ad Allegri di una crisi che è figlia legittima di una campagna acquisti ridicola e di cessioni spaventose. Una società che vende Ibra, rinuncia a Tevez e si tiene Pato; che cede Thiago Silva e Cassano, e che non rimpiazza gli addii di Nesta, Seedorf, Gattuso, Van Bommel ed altri come può pensare di vincere? Colpa dell’allenatore? Non aveva molti meriti Allegri quando il Milan vinceva perché Ibra risolveva con i suoi gol i difetti di gioco, e non ha molte colpe oggi che guida una squadra modesta.

E' un Milan dove Pato al massimo può giocare alla play station, Robinho si conferma un giocatore che si accende in una partita e si spegne in quattro e Boateng che pare in altre faccende affaccendato. Peraltro, giocare con una difesa con Bonera, Acerbi, Antonini e Abbate e dove il quinto è Yepes, significa candidarsi ad un campionato da provinciale. Se poi si vuole incolpare Allegri per la folle cessione di Pirlo, bisognerà convincere tutti che una cessione così la decide Allegri e non la società. Come é la società a ritenere che Pato non vada ceduto in cambio di Tevez e che De Jong, Pazzini e Bojan cambino le quotazioni della squadra.

Altra indicazione che arriva da questo turno è che di cinismo si può perire ma si può anche ferire. Questo ha detto l’Inter, che dopo la sconfitta con la Roma cinica si riprende e batte cinicamente il Torino, dimostrando così di essere micidiale in trasferta e meno brillante in casa. E’ naturalmente in parte frutto del caso, ma se se destano qualche preoccupazione in numeri delle partite casalinghe (sette gol presi) il fatto è che i numeri dell’Inter da esportazione sono spaventosi: quattro partite su quattro vinte, dieci gol fatti e nessuno subìto.

Stramaccioni, memore della sconfitta con la Roma, ha disegnato una squadra funzionale alla gara, con quattro esterni e un centrocampista a elastico (Cambiasso), schierandosi a tre in fase di possesso e a quattro in fase di non possesso palla.  Straordinaria la prova in difesa di Ranocchia e Juan Jesus, micidiali nel fermare ogni attaccante granata e affiatati tra loro nonostante giocassero insieme per la prima volta; se poi hai giocatori come Milito e Cassano che toccano due palloni e diventano gol e assist il risultato arriva. Stramaccioni si è risentito dell’accusa di aver giocato da provinciale e non ha tutti i torti: l’Inter ha avuto il 62 per cento del possesso palla e non si ha notizia di provinciali che ci riescano. Peraltro, giova ricordare che l’aggettivo viene assegnato a mo’ di elogio quando si tratta di alcune squadre e a mo’ di critica quando si tratta dell’Inter, che non dispone di nessuna cassa di risonanza mediatica dove i commentatori sportivi usano attaccare l’asino dove vuole il padrone.

E a proposito di altalene, la Roma perde una partita che aveva già vinto, subendo una rimonta da parte del Bologna che in due minuti si porta a pareggiare il doppio svantaggio e poi assesta il colpo del k.o. finale. Si è detto che riappare la Roma di Zeman, abile ad attaccare e incapace a difendere, ma è difficile incolpare il boemo dei pasticci individuali dei suoi difensori che in due minuti si fanno bucare due volte intruppandosi tra loro. Come già detto all’inizio del torneo, è comunque proprio la linea difensiva il problema principale dei giallorossi, giacché dietro non hanno ne particolare qualità, né necessaria abbondanza.

Ma questo ha a che vedere con il mercato, non con Zeman. Non sempre si possono fare due o tre gol e subirne - come minimo - uno a partita può diventare letale per le aspirazioni di classifica. Senza un adeguato riassetto difensivo sul mercato di Gennaio, la Roma rischia di veder scemare il grandissimo vantaggio di essere - unica tra le grandi - a poter giocare una volta alla settimana.

Per concludere, vanno fatti i complimenti a Ferrara e a Montella per il loro gioco e i risultati, mentre annotiamo l’ennesima carnevalata di Zamparini che dopo tra partite ha già deciso di esonerare Sannino del quale si diceva innamorato tre settimane addietro. Il presidente del Palermo ogni anno vende i suoi giocatori migliori per fare cassa e poi pretende che con i resti la squadra migliori le performances dell’anno precedente. Adesso tocca a Gasperini. Al quale consigliamo di non prendere casa a Palermo: un hotel o al massimo un residence sono luoghi più adeguati alla durata delle infatuazioni di Zamparini.



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