di Fabrizio Casari

Un successo immeritato contro l’Udinese che ha riportato il Milan al comando della classifica, grazie anche al fatto che la Juventus non ha giocato causa maltempo, il ritorno alla vittoria del Napoli e della Lazio e la conferma della splendida realtà calcistica del Catania guidata da Montella, hanno scritto la cronaca della giornata calcistica spezzettata causa neve. Ma a dare un senso più prospettico ad una giornata calcistica diversa dalle altre sono stati i tonfi dell’Inter e della Roma contro Novara e Siena.

L’Inter e la Roma, sconfitte entrambe da provinciali, sono le due delusioni del calcio di vertice. Quelle che negli ultimi anni hanno dato vita al duello rusticano per il campionato italiano, sono oggi fortemente in discussione da parte di tifosi e addetti ai lavori. Sono due situazioni molto diverse, certo. L’Inter è alle prese con l’infinita transizione del dopo Mourinho, viziata da una campagna cessioni e acquisti che, vittima il fair play finanziario, è stata giocata più sulla riduzione del monte ingaggi che sulla ricerca di giocatori funzionali al progetto di rinascita.

Ma il fair play finanziario non è l’unica causa del brusco ridimensionamento di una società che ha venduto Balotelli, Eto’o e Motta in tre diverse sessioni senza che gli arrivi abbiano vagamente potuto sostituire i partenti. Per capirci: Eto’o, lo scorso anno, a questo punto della stagione aveva realizzato - da solo - 24 gol; i suoi sostituti (Forlan, Zarate e Castanois) ne hanno segnati - insieme - solo 3. E, sempre per parlare di cose che con il fair play finanziario non c’entrano niente, ci si domanda a cosa serva acquistare Ranocchia, Poli, Obi, Castanois, Alvarez, Jonathan, Faraoni, se poi giocano, come sette anni fa, i Cambiasso, Zanetti, Chivu e Cordoba?

La situazione viene poi oltremodo complicata da Ranieri, tecnico provvisto di grande esperienza ma non in grado di costruire gioco. Le ultime due sconfitte dell’Inter, scesa in campo con una sola punta per poi, contro il Novara, finire con quattro attaccanti, sono un segnale della confusione tecnico-tattica dell’allenatore romano, che ha ormai cambiato cinque schemi di gioco mantenendone solo uno fisso: i giovani in tribuna e i senatori in campo; chi corre in panchina e chi cammina titolare.

Certo per Moratti la strada non è semplice; avendo sbagliato a tenere i Milito, Maicon, Snejider dopo il triplete, vuoi per senso di riconoscenza, vuoi perché convinto che avrebbero potuto dare ancora vittorie (e in parte è stato vero) ha rinunciato ad incassare denari importanti che oggi non arriveranno più e si trova ormai nella condizione di spalancare i cancelli di Appiano con la tromba che suona il “rompete le righe”. Ma le cessioni di coloro che un tempo furono big, non porteranno denari, solo risparmi nel monte ingaggi, comunque inutili nel caso non dovesse arrivare in Champions, cosa che da sola significherebbe la perdita di oltre 30 milioni di Euro.

L’Inter che in cinque anni ha vinto 17 titoli è finita e per i tifosi è duro farsene una ragione. Ma il patron qualcosa dovrà pur fare. Sul piano dell’allenatore dovrà per forza scegliere un tecnico vincente o comunque dotato di grande carisma: l’Inter non è una squadra qualsiasi e allenare a Milano prevede un livello di qualità indiscutibile.

Peraltro, il nuovo tecnico dovrebbe avere carta bianca sul mercato e sullo spogliatoio, il che non è facile; e dovrà poter plasmare i giovani, non solo quelli acquistati, ma anche quelli che nella Primavera fanno vedere cose egregie. Serve poi urgentemente il rientro di Oriali e il pensionamento di Branca e Ausilio per ridare senso all’organizzazione aziendale.

Ma la cosa migliore sarebbe che Moratti parlasse chiaro ai suoi tifosi, spiegando la situazione aziendale e annunciando la rivoluzione che verrà; forse meglio dire che si farà un anno di transizione con l’unico obiettivo di plasmare una nuova squadra fatta di sette-otto giovani e due o tre più esperti per poter vincere domani, piuttosto che continuare a vivere di ricordi. I tifosi accetteranno e il nuovo tecnico potrà lavorare in pace. La rivoluzione deve trovare l’ambiente compatto per poter diventare governo.

Discorso diverso per la Roma, ma non per questo più rassicurante. Il “progetto”, come ormai si chiama ogni idea o suggestione, è stato avviato facendo ricorso ad un cambio di panchina e di giocatori voluto dalla nuova dirigenza, a sua volta scelta da Unicredit e i soci americani, con i primi a metterci i soldi e i secondi a metterci la faccia (peraltro fino a pochi mesi fa decisamente sconosciuta).

Baldini, dapprima all’ombra dell’incarico per la Federazione britannica, poi in prima persona, ha concepito insieme a Sabatini un nuovo progetto tecnico, con lo scopo di riportare la società in una condizione economica soddisfacente e di aprire un ciclo di “nuovo calcio” che, nelle intenzioni, dovrebbe fornire nello spazio di un paio d’anni una nuova “filosofia”  che ispirerebbe la nuova fisionomia di gioco. E’ presto, forse, per dire se l’idea di calcio di Luis Enrique, ex tecnico della squadra B del Barcellona, sarà in grado di concepire una formazione che emuli la corazzata allegra catalana, ma certo i risultati raggiunti fino ad ora non fanno ben sperare. Dieci sconfitte subite e il sesto posto alle spalle dell’Inter non indicano proprio una marcia trionfale.

La Roma è un’alternanza continua di vittorie entusiasmanti e sconfitte disarmanti, ma questo non lo si deve ad una insufficienza da parte dei giocatori ad assimilare il credo calcistico di Luis Enrique. Si deve invece agli avversari che si trova di fronte: quando è lasciata giocare, la Roma si scatena; quando invece è attaccata, pressata, aggredita nella sua metà campo, va in bambola. Per questo può rifilarne 4 all’Inter e prenderne altrettanti dal più modesto Cagliari.

Il risultato contro l’Inter ha illuso i giallorossi, che avrebbero invece dovuto tener conto come quel risultato sia stato causato più dalla prestazione degli uomini di Ranieri che dalla Roma stessa. Perché questa è la differenza fondamentale tra i due allenatori: per Luis Enrique il centrocampo è l’inizio della manovra d’attacco, per Ranieri è il primo sbarramento difensivo.

Si disserta molto di possesso palla (spesso fine a se stesso) e ariosità del gioco, di trame veloci e di squadra votata all’attacco, sempre e comunque. Alla fine però contano i gol fatti e quelli subìti, e la differenza sembra ancora farla la presenza di De Rossi in campo a fare da frangiflutti davanti alla difesa e a impostare l’azione di rilancio.

Anche qui, il discorso delle cessioni e degli acquisti non può essere evitato: vendere Vucinic, Borriello, Pizarro, Mexes e Menez, tenere in panca sempre Perrotta (ed avere l’isterico Burdisso come punto di riferimento difensivo, peraltro fuori dal campo per tutta la stagione causa infortunio) ed averli sostituiti con Josè Angel, Krjiaer o Bojan, non pare aver rafforzato la compagine. E il fatto che la Roma offra le sue migliori prestazioni quando girano Totti, De Rossi e Juan, racconta bene quanto il nuovo non riesce ancora a sostituire il vecchio.

Azzeccati invece sono stati gli acquisti di Lamela, Pianic, Stekelemburg e Borini, ma la domanda alla quale fornire una risposta è la seguente: per il valore necessario ad un posizionamento di vertice nel calcio italiano, quanti dei titolari della Roma sono all’altezza?

Diversamente dall’Inter, peraltro, la Roma ha investito 70 milioni di euro sul mercato, non certo bruscolini, e non si vede da dove potrebbe ricavare ulteriori fondi per assestare meglio la squadra con nuovi acquisti, giacché il parco giocatori che potrebbero essere ceduti per fare cassa ha un mercato molto limitato e, tutto sommato, low cost.

Si sente dire che la differenza tra Roma e Inter consisterebbe nel fatto che la prima avrebbe il famoso “progetto”, la seconda deve ancora essere rifondata: Ma siamo sicuri che con dieci sconfitte in 22 partite si possa parlare di “progetto” senza che rischi l’ilarità involontaria? Se uscire dall’Europa, dalla Coppa Italia e dal campionato significa avere un “progetto”, allora forse è meglio non averlo. O, più semplicemente, riscriverlo, adeguandolo al calcio italiano che si gioca sul campo e non a quello che si vede in tv nei campionati esteri. Va bene il libro dei sogni, ma i risultati hanno la testa dura.

 

 

di Fabrizio Casari

Una Roma arrembante ha sconfitto, con pieno merito, un’Inter che non è mai scesa in campo. Senza nessuna idea che non sia quella di chiudersi, senza nessun giocatore capace di saltare l’uomo e nessuno capace di smarcarsi, la squadra di Ranieri passeggia sul campo dove gli avversari corrono. Lenta e impacciata la difesa, molle il centrocampo, nessun lavoro sulle fasce, i nerazzurri non giocano; controllano il gioco altrui e provano la giocata con Milito, tutto qui.

Lo schema Ranieri è questo: nove dietro la linea della palla e poi vediamo. Ranieri, poi, ci aggiunge del suo: come lo scorso turno con Snejider, stavolta sostituisce una punta (Pazzini) con un centrocampista (Poli) quando perde due a zero. Tanti mediani tutti insieme non si erano mai visti in una squadra di calcio che vuole vincere. Difficile da definire una scelta logica. Certo che se Snejider e Alvarez sono out, Motta è andato a Parigi e Coutinho all’Espanyol, non si capisce chi dovrebbe inventare calcio. Per l’allenatore dell’Inter, l’Olimpico, dove non riuscì a vincere, è ancora una volta un campo fatale, visto che proprio ieri ha perso le ultime cianches di allenare i nerazzurri il prossimo anno.

La Roma, dal canto suo, ha giocato come sempre: molto possesso palla e buon movimento, grande corsa e personalità nel controllo della gara, dunque vittoria strameritata. Una Roma straordinaria, certo, ma il punteggio ottenuto è forse più demerito dell’Inter che merito dei giallorossi, che quando sono aggrediti, come a Cagliari, ne prendono quattro, ma se sono lasciati liberi di giocare possono farne 4 davvero a chiunque. Nelle ultime due partite la Roma aveva collezionato solo un punto, ma il problema principale sembra essere una carenza di autostima, che invece dovrebbe essere copiosa, sia per qualità dell’organico che per gioco. L’identità della squadra di Luis Enrique è chiara, gli allenatori avversari dovrebbero sapere come affrontarla, ma certo non lo sa Ranieri.

La Lazio perde a Genova, continuando così la sua serie a fisarmonica; una bella vittoria si alterna ad una brutta sconfitta. Ma poco male per la classifica, perché complice il disastro dell’Inter mantiene la distanza di sicurezza dai nerazzurri e anche perché contemporaneamente arriva la sconfitta dell’Udinese ad opera della Fiorentina

Pareggio a reti bianche per la Juventus che ospitava il Siena e per il Milan, fermato in casa dal Napoli. Il duello tra le due per la vetta continua, giacché tutte le inseguitrici perdono e, dunque, il punto ottenuto è comunque pesante ai fini della classifica finale. Il Milan delude, come ormai da un paio di partite in qua. Manca di aggressività e corsa e non utilizza le fasce, mentre Robinho continua a divorarsi gol già fatti. Una squadra nervosa, quella di Allegri, che sembra risentire della partenza di Pirlo almeno quanto il giocatore bresciano giova alla Juve.

Quella di ieri è stata una partita noiosa, nemmeno lontana parente di quelle disputate lo scorso anno tra le due formazioni. C’è da attendersi che l’espulsione di Ibrahimovic darà luogo a polemiche circa l’entità della squalifica; nel caso il giudice sportivo dovesse decidere di avere la mano appena pesante, lo svedese salterà lo scontro diretto con la Juventus, tra due turni. E il Milan, senza Ibra, è davvero poca cosa. Potrebbe essere l’occasione giusta per la squadra di Conte di allungare decisamente.

A patto però che ritrovi la capacità di aggirare le squadre ben messe in campo. Ieri il Siena di Sannino si è disposto in modo praticamente perfetto e la vecchia signora non ha trovato spazi e seppure alla Juventus è stato negato un rigore, il protagonista decisivo del pareggio è stato il portiere del Siena, Pegolo, che ha sfoderato tre interventi decisivi. Forse l’innesto di Del Piero avrebbe potuto cambiare la partita, ma la vena scarsa di Marchisio, che tante partite aveva risolto nel girone d’andata, incide negativamente sulla capacità della Juventus di fare risultato.

Continua la risalita del Palermo, che ha battuto l’Atalanta. Il nome e cognome della recente vena dei rosanero è Fabrizio Miccoli, il piccolo folletto dai piedi straordinari che, quando è in forma, si prende la squadra sulle spalle; Mutti pare aver capito come Miccoli sia decisivo e, se infortuni o calo fisico non ci si mettono, il Palermo potrà terminare il campionato in una posizione decente.

Così come migliorerà la posizione in classifica della Fiorentina, che con una doppietta del suo fuoriclasse, Jovetic, piega l’Udinese, che si conferma fortissima in casa e molto meno in trasferta. La squadra di Guidolin ha giocato comunque un’ottima partita, ma a pochi minuti dalla fine è stata piegata da un gol di Torje. Le mura amiche sembrano voler aiutare la rinascita viola, dove finalmente la mano di Delio Rossi comincia a vedersi.

Il Parma fa il colpaccio contro il Chievo grazie ad un autogol di Luciano, l’ex-Eriberto. Pareggio tra Lecce e Bologna e tra Novara e Cagliari. Emiliani e sardi confermano di essere squadre a due volti: temibili in casa, addomesticabili in trasferta. Purtroppo per loro, i punti si segnano giocandole entrambe.

 

di Fabrizio Casari

Sotto una neve incessante, ma sopra un campo finalmente all’altezza di una partita di calcio, la Juventus ha battuto l’Udinese, consolidando la prima posizione in classifica e inviando un messaggio forte al Milan. La squadra di Conte, grazie ad una doppietta di Matri, ha avuto ragione di una delle sue dirette inseguitrici; non a caso l’allenatore juventino aveva definito una vittoria “da sei punti” quella che la sua squadra avrebbe dovuto ottenere. Perché non solo la rispettiva posizione di classifica delle due compagini bianconere rendeva la sfida uno scontro diretto per lo scudetto, ma anche perché l’Udinese è, forse solo insieme al Milan, la squadra che poteva affrontare a viso aperto e tenere testa per novanta minuti al ciclone juventino di quest’anno. La squadra di Guidolin, pur con un assetto prudente, l’ha fatto, ma non è bastato.

Ma il Milan non è restato a guardare e nel posticipo serale ha stracciato il tenero Cagliari. Una partita noiosa e sottoritmo, che non ha però mai visto il risultato in discussione. Potrà anche essere la ventesima giornata, ma il film del lungo duello tra i rossoneri e i bianconeri sembra difficile anche solo interromperlo con uno spot. La classifica parla chiaro: le prime due allungano, quelle che seguono frenano. Da un lato l’agonismo, dall’altro la tecnica. Se già la tabella di marcia delle inseguitrici appariva proibitiva, da ora in avanti, con il giro di boa già effettuato, ogni partita diventerà un’occasione in meno per ridurre le distanze.

Il risultato della giornata lo fa però il Lecce, che al Via del mare batte l’Inter. Ottimo lavoro di Cosmi che schiera 9 uomini davanti la sua area e due furetti velocissimi nelle ripartenze. I nerazzurri escono sconfitti da un portiere straordinario e da un allenatore, Ranieri, che davvero non ha capito nulla di quello che sta succedendo. Non si tratta solo del sostituire il migliore (Snejider) con il peggiore (Alvarez) quando è già in svantaggio, ma di non riuscire a vedere come il centrocampo sia in affanno. Privi di Thiago Motta non c’é ordine e profondità nella manovra e quanto a dinamismo, peggio ancora. Del resto Poli e Faraoni, giovani e bravi, vanno in panchina, Cambiasso esausto e Zanetti con le batterie a terra in campo.

Per Ranieri, ma solo per lui, il problema è Snejider e la soluzione può essere Alvarez, giocatore inutile sotto diversi aspetti. Ma anche Maicon e Milito accusano stanchezza e l’attacco non ha uno schema che non sia l’improvvisazione. Poteva agganciare l’Udinese sconfitta a Torino e portarsi al terzo posto, si è invece fatta superare di nuovo dalla Lazio e si trova al quinto posto. Così la rimonta nerazzurra diventa un ricordo. La mancanza di forze fresche in campo, peraltro, è doppiamente stupida: l’Inter, infatti, dovrà giocare sei partite in ventisei giorni tra campionato e Champions ed avrà quindi bisogno di abbondante turn-over in tutti i reparti, vista anche l’età non verdissima e la condizione dei suoi play-maker di difesa e centrocampo.

Ranieri dice che aspetta Snejider e Forlan, salvo poi aggiungere che l’olandese può giocare solo con una punta vicino. Forse è Ranieri che dovrebbe tentare di dare un gioco; magari non aspetta gli arbitri nei garage, come Mourinho, ma non riesce nemmeno a dare un senso alla sua squadra come faceva il portoghese. Annotazione positiva: due gol negati all’Inter per due fuorigioco di pochi centimetri. Bravissimo l’assistente in un periodo dove i centimetri vanno all’ingrosso.

Giornataccia anche per il Napoli, che perde a Genova causa un Palacio straordinario. Una bella partita con i partenopei che, sotto di tre gol, segnano i due gol con i suoi due campioni Cavani e Lavezzi nello spazio di due minuti. Avesse fatto entrare prima Cavani, Mazzarri avrebbe potuto portare forse via un risultato migliore. E per restare nelle parti alte della classifica va sottolineato il risultato della Lazio, che batte con un sonoro 3 a 0 il Chievo, riscavalca l’Inter e si rilancia. Veniva da tre sconfitte consecutive, non era semplice vincere in trasferta. Ma due gol del suo fuoriclasse Klose ed uno di Hernanes fanno calare la nebbia su Verona.

La Roma, invece, non riesce a superare il Bologna all’Olimpico e pensando alle polemiche interne dei giorni scorsi, cene o no, arrabbiature o no, il boccone felsineo appare indigesto. Sarebbe stato utile per i ragazzi di Luis Enrique approfittare del passo falso dell’Inter per accorciare ulteriormente la classifica in funzione zona-Uefa.

La Fiorentina torna al successo battendo il Siena (che si trova solo a tre punti dalla zona retrocessione) e il Palermo accenna a risvegliarsi e batte il Novara, mentre il Cesena perde in casa con l’Atalanta; per i bergamaschi i tre punti sono importantissimi, per il Cesena la zona retrocessione viene ulteriormente confermata. Il Catania ha pareggiato con il Parma, un punticino che serve più ai siciliani, ma comunque buono a far cascina ad entrambe.

Ancora poche ore e si concluderà anche la sessione invernale del calciomercato. Fino ad ora solo la Juventus ha acquistato un giocatore di buon livello. L'Inter sembra solo impegnata a impedire la fuga di Thiago Motta e il Milan, che aveva puntato su Tevez, si é accomodato con Maxi Lopez. E' stata la vicenda che più ha messo in imbarazzo Nosferatu Galliani, definito sempre "stratega" e "geniale" dalla stampa Mediaset e controllate varie, dirette e indirette. Per sentirlo definire come uno che "gioca sporco", che é "scorretto" e che "non rispetta le regole" bisognava ascoltare quanto detto da parte del Manchester City. Andavano cercate tra tra le righe le dichiarazioni britanniche, come il famoso ago nel pagliaio; chissà perché?

I soldi sono finiti, l'appeal del campionato italiano idem. Le operazioni che nascono da noi non vanno a buon fine e lo spettacolo di presidenti di società di serie A che lavorano per il mercato del Milan é indecoroso: ma solo in teoria, perché poi, a ben guardare chi sono i presidenti, tutto si capisce. Più in generale c'é poco da divertirsi. Come la scorsa estate, la canzone segue lo stesso spartito: da fuori vengono a fare shopping da noi, che ormai siamo in grado solo di formulare offerte da finanza creativa.

di Fabrizio Casari

Con la vittoria sull’Atalanta, la Juventus è matematicamente campione d’inverno. Che non avrà il valore storico del “generale inverno” dei sovietici, ma è pur sempre il segno di una leadership sul campionato che, statisticamente, precede la vittoria finale nel torneo. Una leadership maturata senza strabiliare, date le statistiche non esaltanti (poche vittorie rispetto ai pareggi, pur in assenza di sconfitte) ma che, dato l’inizio disastroso di Roma e Inter e le incertezze del Milan soprattutto nella fase iniziale del torneo, permette una testa della classifica che appare difficile da scalzare. Il vantaggio di non dover disputare le coppe europee ed una indubbia qualità del lavoro di Conte, ha reso dunque il massimo profitto in termini di classifica alla compagine bianconera.

Il Milan batte il Novara e non perde terreno nei confronti della Juventus. Non lo perde nemmeno in termini di favori arbitrali, visto che se la Juve la scorsa settimana era stata graziata di due rigori, ieri l’arbitro De Marco ha sorvolato su un fallo di mani in area di Nocerino (che dà tra l’altro il via all’azione da gol dei rossoneri).

E’ il terzo favore arbitrale al Milan nell’arco di una settimana, visto che il gol annullato di Thiago Motta nel derby era regolarissimo e quello di Pato che ha portato la squadra di Allegri ai quarti di finale della Coppa Italia era invece irregolare (fuorigioco). Solo la potenza di fuoco mediatica della squadra berlusconiana riesce a zittire gli ormai numerosi, scandalosi episodi arbitrali a favore dei Galliani boys. Quando ad Ibrahimovic si somma il pacco dono arbitrale (iniziato dalla Supercoppa e sembra non ancora finito) è chiaro che la posizione di classifica resta alta nonostante un gioco tutt’altro che spumeggiante.

Nel posticipo serale al Meazza l’Inter batte la Lazio e Ranieri supera il record di sei vittorie consecutive ottenuto quando sedeva sulla panchina della Roma. Una vittoria resa possibile dal carattere dei nerazzurri, che pur disputando una delle partite più brutte del suo campionato, hanno portato a casa un risultato fondamentale piazzandosi al terzo posto in classifica, scavalcando proprio la Lazio. Un fuorigioco, pur se di una manciata di centimetri, ha permesso a Pazzini di ribaltare il risultato e un fallo di mano di Lucio in area è stato considerato da Rizzoli il risultato di una spinta ripetuta di Klose sul centrale brasiliano dell’Inter.

Ma c’è anche da dire che aver giocato in undici, per la Lazio, è stato possibile grazie alla generosità dello stesso Rizzoli che ha graziato Dias per uno schiaffo a palla lontana rifilato a Pazzini e che avrebbe meritato il rosso invece che il giallo. La Lazio (con un superbo Ledesma ed un’inutile Hernanes) ha aggredito l’Inter ma non ha saputo capitalizzare la superiorità tattica; ha comunque giocato un’ottima partita grazie alla rinuncia a giocare degli interisti che hanno tirato in porta quattro volte segnando due gol.

Giocare bene e non saper chiudere una partita in vantaggio e recuperare una partita giocata sottotono è la differenza tra una grande squadra e una che deve ancora diventarlo. Detto ciò, l'Inter ha definitivamente capito l'importanza di un giocatore come Thiago Motta nell'assetto del centrocampo, nella capacità di filtrare e verticalizzare e nelle geometrie del gioco. Parigi non vale una messa in crisi.

E a proposito di gioco di qualità, l’Udinese (che ha smesso da un po’ di praticarlo) non perde comunque il terzo posto, avendo ragione, con un gol per tempo, di un Catania sciupone. Quella dell’incapacità di concretizzare le azioni da gol sembra ormai essere un’abitudine da parte del Catania, che può voler indicare come la mano di Montella si vede nella creazione del gioco e quella della società - che non spende sul mercato - mandi a benedire il lavoro fatto dotando la squadra di elementi poco adatti alla serie A. Ma la squadra di Guidolin ha fatto bene il suo e quando si gode della presenza di un giocatore come Di Natale, che sigla un gol d’autore con una mezza rovesciata volante, ci si può anche permettere il lusso di tirare il fiato senza perdere posizioni.

Il Napoli, che sembrava ripartito alla grande, sbatte contro il Siena e conferma come tra il giocare in casa e in trasferta la squadra di Mazzarri trovi una grande differenza. Stavolta è Pandev (rinato all'ombra del Vesuvio) permettergli di pareggiare, dopo che Cavani aveva fallito un rigore; ma il Napoli ha davvero bisogno di ritrovare una linea di coerenza nelle sue prestazioni. Vincendo (e non sempre) in casa e non riuscendo a vincere (quasi mai) in trasferta, diventa impossibile coltivare sogni di zona Champions.

E visto che si accenna ai sogni, il fine settimana calcistico non può evitare il dovuto omaggio a Francesco Totti, che segnando il suo gol numero 211, segna il record del giocatore con il maggior numero di gol siglati con la stessa maglia. Un record strameritato per un giocatore che, discutibile per gli atteggiamenti, è però indubbiamente il maggior talento calcistico nazionale degli ultimi vent’anni. La Roma, che nell’anticipo di sabato ha asfaltato il Cesena, ha trovato una posizione per Totti decisamente migliore di quella prevista da Luis Enrique a inizio stagione; sembra ora aver riscoperto il gusto della vittoria e, dovesse confermarsi nelle prossime tre partite, potrà riportarsi su posizioni più consone alla tradizione calcistica giallorossa degli ultimi anni.

Per la serie “a volte ritornano”, si registra la rotonda vittoria del Palermo sul Genoa, che ne becca cinque e conferma di avere un assetto difensivo tipico dello schema a groviera. Preziosi, che ormai di regalo in regalo sembra operare come vice di Raiola in favore del Milan, farebbe bene a rilasciare meno interviste e a cercare di acquistare qualche difensore all’altezza della serie A. Invece di far contento Galliani sarebbe il caso provasse a far contenti i suoi tifosi.

E se tra Lecce e Chievo il pareggio viene reso incandescente da una rissa generale a fine partita, tra Cagliari e Fiorentina è pareggio di punti e sbadigli. L’unica particolarità è stato il ritardo nel calcio d’inizio, dovuto alla sacrosanta protesta dei lavoratori Alcoa di Portovesme, che si trovano sulla strada grazie alla fuga dei padroni americani. Ma se lo spettacolo deve continuare, come si usa dire, allora tanto valeva continuare ad assistere alla protesta operaia, decisamente più interessante della partita.

Anche qui, davvero difficile da comprendere l’atteggiamento della famiglia Della Valle, che dopo aver ceduto Mutu, Frey e Gilardino ed aver fatto a meno di Mijahilovic, si appresta ora a cedere anche Montolivo e Vargas, salvo poi chiedere ai tifosi di non imbestialirsi. Delio Rossi sarà anche un buon allenatore (pur se molto sopravvalutato) ma se gli dai in mano gli avanzi di una squadra di mezza classifica, con un solo campione, sarà difficile che possa combinare molto. Ha preso il patentino di allenatore a Coverciano, non a Lourdes.

di Fabrizio Casari

Un’Inter attenta, contratta ma concentrata, dura e schierata come una muraglia cinese, ha sconfitto il Milan per uno a zero nel derby di Milano. A dire il vero il risultato giusto sarebbe stato più rotondo, ma il solito, indecente Copelli, uomo vicinissimo al Milan e non da oggi, come da tutti risaputo e appurato dal team d'investigatori di Calciopoli, ha fatto annullare un gol regolarissimo di Thiago Motta. Non c’era nessuna possibilità di errare, la segnalazione è stata...spontanea. Sconcerta la sua designazione, ma fino a un certo punto. I favori al Milan sono stati costanti anche in questo torneo. Per fortuna, però, il Palazzo amico non sempre é sufficiente. Il Milan ha provato ad allargare il gioco e a penetrare centralmente e i tre inserimenti di Robinho e Seedorf e El Saharawi nel corso della partita avevano proprio l’obiettivo di allargare la difesa dell’Inter e cercare l’inserimento dei centrocampisti in zona tiro. Niente da fare.

Perché Ranieri, come si sa, è l’uomo dei derby. Ha inserito Chivu per chiudere la strada a Robinho e quindi Snejider per infoltire il centrocampo. Con otto giocatori dietro la linea della palla e una mediana di piedi buoni, le possibilità di gioco sono comunque due: pressing basso nella propria metà campo e ripartenze con la difesa attestata davanti all’area o spostamento di venti metri avanti del baricentro, pressing alto vicino l’area avversaria e possesso palla allargando il gioco a Maicon e Nagatomo sulle fasce per i cross ai centrali offensivi e per l’inserimento dei centrocampisti al tiro (non per caso l’Inter ha mandato a segno quattordici giocatori diversi fino ad ora). Con le grandi si usa il primo, con le piccole il secondo.

Ma nell’analizzare il successo dell’Inter si deve in primo luogo soffermarsi sulla straordinaria coppia centrale: Samuel e Lucio sono straordinari, ancora la coppia di centrali tra le prime al mondo la loro condizione brillante con la ritrovata forma di Julio Cesar trasforma la difesa dell’Inter in una roccaforte. Non è un caso, infatti, che nelle ultime sette partite l’Inter ne abbia vinte sei e nelle ultime 4 non abbia subìto un gol.

Si riapre dunque la lotta per le prime posizioni della classifica, dal momento che la distanza tra i nerazzurri (quinti) e la capolista è di soli 6 punti e in quattro punti ci sono tre squadre. Quando Ranieri si sedette sulla panchina dell’Inter il distacco era di tredici punti. E a dire quali possono essere le possibilità dei nerazzurri di migliorare ulteriormente lo dice anche la panchina che ieri era a disposizione di Ranieri: Snejider, Forlan, Ranocchia, Chivu. Se queste sono le riserve…

Il Milan, invece, conferma che le squadre di Allegri soffrono molto la ripresa dopo le soste come l’inizio di campionato. Il sole di Dubai non deve aver scaldato muscoli e cervello, perché con la conferma di Pato, ha invece creato i presupposti per la freddezza futura di Ibrahimovic, l’arma letale dei rossoneri. Lo svedese, infatti, ha bisogno di giocatori che si allarghino e non che cerchino il centro dell’attacco, obbligando lui ad allargarsi e rifinire invece che concludere. L’impressione è che la conferma di Pasto cominci ad avviare la fase dei “mal di pancia” di Ibra.

Ma questa è stata una settimana durissima per il club di Via Turati: la figuraccia rimediata da Galliani nella vicenda Tevez e i mugugni di Gattuso verso lo staff medico si uniscono al nervosismo di Ibra e alla sconfitta nel derby, oltre che al rilancio della nemica Inter. Particolare segnalazione per il pirla dell’anno va a Boateng, che aveva detto di essere preoccupato dell’Atalanta, non certo dell’Inter. Complimenti per la sapienza calcistica e la preveggenza.

Si riapre dunque questo campionato anche perché le sorprese arrivano, se si considera che le prime tre squadre della classifica - Juventus, Milan e Udinese - hanno ottenuto complessivamente un punto. Nel dettaglio, un Genoa pimpante, pur ingiustamente punito da un rigore e un’espulsione che non c’erano, ha ragione di una Udinese che trova una squadra che corre tanto quanto lei e, soprattutto, trova Frey in una di quelle giornate di grazia che ricordano a tutti le qualità straordinarie del portiere francese. La Juventus non riesce ad imporsi, bloccata sul pareggio dal Cagliari. Resta comunque, la squadra di Conte, l’unica a non aver ancora conosciuto la sconfitta in questo campionato ed è arrivata a diciotto risultati utili consecutivi. E la vitttoria dell’Inter contro il Milan, con la contemporanea sconfitta dell’Udinese, è comunque una benedizione per le ambizioni scudetto dei bianconeri.

Sembra aver parzialmente smaltito la sbornia anche la Lazio, che batte l’Atalanta all’Olimpico con un 2 a zero firmato Hernanes e Klose. Se per il bomber tedesco è inutile trovare parole per definirne la micidiale qualità e quantità di gol, per la Lazio va detto che non costruisce gioco ma almeno, nell’occasione, non ne ha subito. A volte sembra noiosa e cupa come il suo allenatore, ma comunque si mantiene in una situazione di classifica buona.

Mentre si attende la fine della telenovela relativa al contratto di De Rossi, la partita tra Catania e Roma è stata sospesa causa nubifragio. Una partita solitamente calda quella che si vede quando i giallorossi scendono a Catania per via di polemiche antiche, ma stavolta l’acqua a catinelle aveva spento ogni ardore ultras.

L’imperizia del Catania in attacco (nel primo tempo si è divorata tre occasioni enormi) e la pioggia battente hanno salvato la Roma, che sembrava davvero in difficoltà con i suoi palleggiatori su un terreno pesante, ma un rigore a favore dei giallorossi ci stava. Poi, Giove pluvio ha deciso che poteva finire così, con un arrivederci invece che un risultato.

Il Lecce, in trasferta, batte la Fiorentina di Delio Rossi, che pare addirittura peggiore rispetto a quella di Mihaijlovic che, va detto, non ha potuto disporre di Jovetic per mesi interi. Le contestazioni dei tifosi dovrebbero suggerire un bagno di realtà da parte della dirigenza viola, che invece di cambiare allenatore farebbe bene a mettere in discussione la presunta genialità di Corvino nell’allestimento della squadra. Che poi Corvino si muova secondo le direttive dei Della Valle conta poco: è l’incapacità di trovare giocatori low cost e giovani all’altezza delle ambizioni della Firenze calcistica che pesa sulla qualità complessiva dell’organico.

A proposito di allenatori c’è da registrare la sconfitta del Palermo (ennesima) che testimonia come Mutti non vada meglio di Mangia. Qui il problema del Direttore sportivo entra relativamente, Zamparini basta e avanza per creare (poco) e distruggere (molto) nelle ambizioni dei rosanero. Il Parma di Donadoni sembra aver dato uno scrollone serio e la vittoria rotonda sul Siena dice che l’allenatore conta, eccome se conta.

Nell’area emiliana-romagnola rispunta anche il capino del Cesena, che tenta di vedere la luce fuori dal tunnel battendo il Novara, diretto competitor per la salvezza. Vittoria maturata nei primi 45 minuti con una doppietta di Mutu, che supera il traguardo dei cento gol in serie A. Cosa non da tutti.

 


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