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di Tania Careddu
Mentre i leader di tutto il mondo si sono riuniti a New York, lo scorso 19 settembre, per adottare la Dichiarazione di New York per la migrazione, per lavorare su “un approccio umanitario e coordinato per affrontare i grandi movimenti di rifugiati e migranti”, cinquemila e settecentoquarantanove persone, solo negli ultimi dodici mesi, sono morte alle frontiere di tutto il pianeta. E nove emergenze nel mondo testimoniano gli effetti deleteri di politiche migratorie sempre più restrittive.
Settantacinque mila profughi siriani sono bloccati al confine giordano con la Siria, nel deserto, senza assistenza, con quasi nessun accesso al cibo, con patologie croniche e donne in gravidanza, anche ad alto rischio.
Trecentocinquanta mila somali rischiano di essere rimandati in Somalia dal campo profughi di Dadaab, che soffre della mancanza cronica di finanziamenti e dove insicurezza e violenza la fanno da padroni.
In Libia, decine di migliaia di persone patiscono in attesa di attraversare il Mediterraneo, vittime di abusi e brutalità subìti, poi, anche durante la rotta migratoria che, tra l’altro, ha causato il doppio delle morti rispetto all’anno scorso.
I richiedenti asilo dell’America Centrale fuggiti in Messico vengono trattati in modo disumano nell’ambito del ‘Programma Frontera Sud’ finanziato dagli Stati Uniti, che priva sistematicamente, e nonostante un quadro normativo già esistente, le vittime di soprusi dell’asilo e della protezione di cui hanno bisogno, attuando anche una violazione del principio di non-respingimento.
I Rohingya vengono privati dei loro diritti e sfruttati in tutto il Sud Est Asiatico, per l’errore di essersi rivolti ai trafficanti allo scopo di fuggire dalla persecuzione, in quanto minoranza senza Stato, che le costa il non ottenimento di status formale di rifugiato, costringendoli nel limbo legale, che può esporli al rischio di arresto e detenzione, precludendo loro di ricevere finanche l’assistenza sanitaria.
Più di due milioni di persone sono state costrette, dalla violenza perpetrata da Boko Haram, ad abbandonare le loro case nella zona del lago Ciad: sfollamenti e violenza aggravano una situazione già disastrosa in una regione colpita da povertà, insicurezza alimentare, un sistema sanitario pressoché inesistente e soggetta a epidemie periodiche.
Sebbene, dunque, la Dichiarazione di New York prometta di “garantire un’accoglienza centrata sulle persone, sensibile, umana, dignitosa, attenta ai bisogni di genere e sollecita per tutte le persone in arrivo” e che “saranno riconosciuti i bisogni speciali di tutte le persone in condizioni vulnerabili”, l’obiettivo di ottenere “risultati concreti nel 2018” sembra, stanti le condizioni di partenza, solo un buon auspicio.
Perché, da qui al 2018, tanti Paesi ospitanti (?) saranno ancora tristemente (e comprensibilmente) impreparati a fornire servizi adeguati ai gruppi vulnerabili. Continueranno a mancare strutture che possano rispondere a bisogni specifici di bambini sopravvissuti ai traumi, servizi di salute mentale per le vittime di abusi sessuali e di tortura o gravemente malati. E’ in atto un fallimento collettivo. Parola di Medici Senza Frontiere, nel rapporto Reality check. Come stanno le cose.
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di Tania Careddu
Qual è il nesso tra servizi all’infanzia e accesso al lavoro retribuito delle donne? Se si considera che i servizi relativi alla prima infanzia comprendono tre filoni di politica pubblica - quelli rivolti alla prima infanzia, quelli relativi al lavoro cioè i congedi e quelli riferibili alle pari opportunità, ossia i trasferimenti monetari - e che il miglioramento di tali servizi è uno degli obiettivi prioritari dell’Impegno strategico per la parità di genere 2016-2019 della Commissione europea, il legame risiede nell’impatto positivo dell’adeguata copertura dei suddetti servizi sull’occupazione femminile.
Nel dettaglio delle voci, secondo quanto si legge nel rapporto Sulle spalle delle donne, redatto da Actionaid, basti pensare che laddove i servizi comunali per la prima infanzia presentano un tasso di presa in carico dei bambini fino ai tre anni più alto, anche quello dell’occupazione delle donne è più elevato.
Stessa ratio per i congedi parentali: in Italia, la fruizione di questa agevolazione da parte dei padri è molto limitata, pari al 12 per cento su un totale di quasi duecentottanta mila su tutto il territorio nazionale. Per le condizioni sfavorevoli che reggono la cura paterna le quali impediscono loro di scegliere di utilizzarla: il 38 per cento si sentirebbe incentivato se avesse un maggior sostegno finanziario e il 42 per cento si sente scoraggiato dalla scarsa copertura.
E cioè: la ridotta percentuale di salario, pari al 30 per cento, che viene riconosciuta durante il periodo di congedo induce il nucleo famigliare a valutare attentamente la scelta di avvalersene o meno ed, eventualmente, di tagliare il salario più basso (in genere, quello della donna).
Quanto ai trasferimenti monetari, la spesa pubblica complessiva destinata alle varie tipologie di assegni alle famiglie è stata, al pari del finanziamento pubblico degli asili nido, incrementata in modo più o meno costante dal 2004 al 2013 e il legislatore italiano non ha, finora, ritenuto necessaria l’introduzione di un trasferimento monetario di carattere universale, ossia svincolato da criteri legati al reddito o alla categoria lavorativa di appartenenza, al contrario di quanto avviene in altri Paesi dell’Unione europea (con due obiettivi: incentivare la natalità e contrastare la povertà infantile).
Per evitare inefficienze nella risposta ai bisogni delle famiglie bisognose sarebbe opportuno rivedere le modalità di erogazione di questi trasferimenti e valutare, piuttosto, un maggiore investimento, a oggi molto più basso di quello riservato ai trasferimenti monetari, per gli asili nido.
Il cui attuale livello di presa in carico dei bambini di età fra gli zero e i due anni è lontano dall’obiettivo Ue del 33 per cento, e prevedere, inoltre, politiche di promozione (vedi gli incentivi sui congedi parentali dei padri) dell’uguaglianza di genere in campo economico, in particolare nel lavoro di cura. Ché l’Italia è uno dei Paesi europei con la più ampia asimmetria tra donne e uomini per tempo dedicato al lavoro domestico.
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di Tania Careddu
“Rappresenta il principale luogo di incontro tra le competenze del docente e le aspettative dello studente, il canale preferenziale su cui si attiva la comunicazione didattica”, dice il MIUR. Strumento mediante il quale gli studenti realizzano il loro percorso di conoscenza e di apprendimento, ancora oggi il più usato, il libro di testo e la sua adozione sono stati oggetto di normativa.
Che, sebbene abbia interessato, fra le altre cose, anche il limite, fermo al 2013, - duecentoquarantanove euro per la prima classe, centosettantasette per la seconda e centotrentadue per la terza – “per quanto possibile e fatte salve l’autonomia didattica e la libertà di scelta dei docenti, del costo che annualmente le famiglie devono sostenere per l’acquisto”, non sempre le risorse messe in campo ne garantiscono un equo accesso (all’istruzione) per tutti.
Talvolta irraggiungibile anche nonostante le misure finanziarie a sostegno della fornitura dei libri scolastici che, per le scuole secondarie, sono (dovrebbero essere) fondi, ripartiti tramite un piano regionale sulla base del quale vengono trasferiti alle Regioni, atti a garantire la fornitura gratuita, totale o parziale, a favore degli alunni meno abbienti.
Perché il processo di accesso ai buoni libro è macchinoso, con una disparità notevole a livello nazionale delle procedure concernenti la fruizione dei fondi statali per la fornitura gratuita, applicabile con diverse modalità che vanno dal comodato d’uso al pacchetto scuola, fino al rimborso spese. Ma a parte la Valle d’Aosta, il Friuli Venezia Giulia, e le Province autonome di Trento e Bolzano, che garantiscono il comodato d’uso gratuito a tutti gli studenti frequentanti le scuole dell’obbligo a prescindere dalla loro condizione economica, e da alcuni dei loro comuni virtuosi che concedono sussidi in denaro, la maggior parte delle Regioni italiane utilizza il rimborso spese documentato ex post.
Che grava sulle famiglie nella misura in cui l’erogazione dei fondi è caratterizzata da tempistiche che non corrispondono alle esigenze degli alunni beneficiari: nella quasi totalità delle Regioni, i ritardi (pressoché sempre di ordine strutturale, legati alla dilatazione dei tempi relativi all’approvazione del riparto alle amministrazioni regionali da parte del MIUR), si protraggono per mesi dopo l’inizio dell’anno scolastico, quando non per anni, aggravando lo svantaggio dei ragazzi più indigenti.
Valutare, inoltre, se l’allocazione delle risorse statali tra le Regioni sia adeguato, è difficile. Dal rapporto Tutti a scuola…e i libri?, redatto da Save the Children, emerge, infatti, che ci sono Comuni in cui le risorse avanzano ogni anno e altri in cui non sono sufficienti a coprire i rimborsi. I quali, oltretutto, non garantiscono quasi mai la copertura totale della spesa e i cui criteri per accedervi prevedono tetti poco larghi.
A ostacolare l’attuazione delle pari opportunità, pure, l’accesso alle informazioni, le modalità di comunicazione e l’assistenza alle famiglie nella presentazione e compilazione delle domande, carenti soprattutto per i nuclei famigliari privi di competenze informatiche, dei necessari strumenti tecnologici e della connessione internet necessari, nella maggior parte dei casi, per ottenere la documentazione.
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di redazione
La storia di Tiziana Cantone è su tutte le prime pagine. Si è uccisa il 13 settembre con un foulard nello scantinato del suo palazzo a soli 31 anni. Bellissima e vittima di un video hard cui si era esposta con ingenuità: “Stai facendo il video? Bravo”. Questa la frase che l'ha tormentata, rimbalzata su siti di gossip e social, impedendole ormai di condurre una vita normale.
Additata in tutti i modi possibili: dall' attrice hard alla donna fedifraga e di facili costumi, aveva avuto la sua rivincita legale, citando in giudizio i giganti di internet e ottenendo l'autorizzazione a cambiare identità. Eppure non è bastato.
Napolitan.it scrive: “Il suo avvocato, Roberta Foglia Manzillo, ha citato in giudizio, assieme ai diffusori dei video, Facebook Ireland, Yahoo Italia, Google e Youtube, oltre alle persone responsabili della diffusione in rete.
Il giudice del tribunale di Aversa, Monica Marrazzo, ha riconosciuto la lesione del diritto alla privacy della donna, contestando al social di non aver rimosso il contenuto appena ha saputo che i contenuti pubblicati erano lesivi della sua reputazione.”
La storia, rispetto ad altre note alla cronaca in cui momenti d'intimità erano stati immortalati da video come arma di ricatto, ha la sola differenza che Tiziana in queste scene non è vittima di violenza, ma è consenziente al rapporto con il suo amante. E' questo ad inchiodarla all'incubo che la condanna a morte. C' è di mezzo il potere dei mezzi di comunicazione attuale, c'è di mezzo la conflittualità non risolta tra una società che decanta la privacy dove tutti però fanno a gara a mettere sulla bacheca facebook la propria vita privata. C'è questo di contemporaneo.
Ma c'è un tema vecchio come il mondo nella storia di Tiziana. C'è una donna che è giovane e bella e che accetta in libertà di vivere un rapporto intimo con un uomo che non è il suo compagno ufficiale. Questo scatena i riti più antichi dell'insulto. Dei maschi per essere piu chiari. Solo che ora non si limitano ai cori paesani agli angoli delle vie o dietro le persiane. Viaggiano ad alta velocità e arrivano ovunque, coperti dall'impunità del mondo virtuale.
La storia di Tiziana è quindi la storia della comunicazione declinata a pettegolezzo ai tempi del social, il rivendicato diritto all'oblio che fa a pugni con il mondo del tempo sempre attuale che internet ha portato.
Ma è anche una storia antica, di canoni arretrati e maschilisti. Non a caso del ragazzo con cui Tiziana ha un rapporto non si parla, che i suoi genitali figurino in un video non suscita interesse nel web. E' lei la star di ogni peggiore pulsione. Perché internet non cambia gli stereotipi: all'uomo è permesso, alla donna no.
In tribunale Tiziana ha citato tutti i colpevoli, tranne la tradizione dei generi che vede ancora e sempre le donne colpevoli della loro libertà sessuale. Non c'era Facebook quando la donna fedifraga veniva lapidata dagli uomini. Era il vangelo di Giovanni: un testo di secoli fa. E ancora oggi la verità appare in tutta la sua nettezza. Non c'è diritto all'oblio né alla privacy, se non c'è prima il diritto all'eguaglianza.
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di Tania Careddu
E’ la rotta migratoria più pericolosa del mondo, quella del Mediterraneo centrale che dal Nord Africa porta in Italia. Dove i minori stranieri non accompagnati sono sempre di più: l’incremento è oltre il doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente,. Nel 2016, secondo quanto si legge nel rapporto “Grandi speranze alla deriva”, redatto da Oxfam, sono stati più di tredici mila, il 15 per cento di tutti i migranti sbarcati sulle coste della Penisola.
Che li accoglie in situazioni inaccettabili: disinformati sui loro diritti, oggetto di minacce e di privazioni, non supportati da professionisti specializzati previsti dalla legge, messi in strada a diciotto anni e un giorno. Nel frattempo, sono in carico ai servizi sociali dei comuni ‘di rintraccio’ (quelli in cui di fatto approdano), spesso piccoli, con poche strutture e risorse insufficienti, che aumentano le disfunzioni del sistema (oltre che le speculazioni).
Sistema che non offre abbastanza posti per i minori non accompagnati, cosicché restano bloccati in strutture concepite per permanenze di pochi giorni, per un prolungarsi di tempo infinito. In un sovraffollamento cronico, promiscuità e inadeguatezza dei servizi igienico-sanitari, oltre che in condizioni di scarsa vigilanza da parte degli enti gestori di fonte a episodi di prevaricazione, quando non di vera e violenza, tra gli ospiti.
Di un programma di integrazione neanche a parlarne e nemmeno di un servizio informativo sulla possibilità di presentare richiesta di protezione internazionale. Idem dicasi per il diritto ad un tutore legale che faccia il loro superiore interesse, rivestendo la fondamentale funzione di determinare la misura e la qualità con cui le istituzioni applicano le proprie responsabilità nella presa in carico dei minori soli. Per accompagnarli in un percorso individuale che, in tanti casi, ha fatto diminuire le fughe dalle comunità di accoglienza.
Un fenomeno che, solo nei primi sei mesi del 2016, ha coinvolto oltre cinquemila ragazzini che non si sentono tutelati o per l’intenzione di proseguire il loro viaggio: sta di fatto che l’allontanamento li espone a molti rischi, tra i quali quello di essere truffati o di cadere nella trappola del traffico dei minori. Vulnerabilità a cui sono esposti pure i minori arrivati soli che raggiungono la maggiore età in una comunità di accoglienza italiana. Che di accogliente, da quel momento in poi, non ha proprio niente.
Anche perché, da gennaio 2016, una circolare del Ministero dell’Interno ha specificato che l’erogazione di fondi nazionali ai Comuni che hanno effettuato la presa in carico di minori stranieri non accompagnati, è possibile fino al giorno del raggiungimento del diciottesimo anno di questi ultimi. Dopodiché spetterebbe alle amministrazioni locali rimborsare le comunità che continuano a ospitare i ragazzi maggiorenni. Non fosse altro per una logica di completamento del percorso intrapreso. Intrapreso quando?