di Tania Careddu

Orfani due volte. Di una madre barbaramente uccisa e di un padre che finisce in carcere. Pagano il prezzo più alto del femminicidio. Dal 2000 a oggi, sono stati mille e seicentoventotto, di cui quattrocentodiciasette nel corso degli ultimi tre anni: cinquantadue di loro sono stati testimoni dell’omicidio della madre da parte del padre, che nel 20 per cento dei casi si suicida, il 44 per cento ha visto il cadavere della mamma e ben diciotto sono stati uccisi insieme a lei. Minorenni nell’84 per cento delle volte.

Soli, fragili e senza strumenti per costruire una nuova opportunità di vita: privi di un sostegno educativo e affettivo da parte dell’ambiente familiare più intimo, psicologico, nel 57 per cento dei casi, ed economico, nel 98 per cento delle situazioni tanto che solo il 2 per cento delle famiglie colpite ha ottenuto soldi dallo Stato.

Collocati in case famiglia, comunità o parenti affidatari mai visti prima, nel 9 per cento dei casi della famiglia paterna, o sistemati dai nonni, spesso materni, anche loro alle prese con un lutto difficile da elaborare o, addirittura, cresciuti dai fratelli più grandi.

“Vittime collaterali”, le definisce la ricerca Switch-off: orfani speciali dei femminicidi, condotta dal Dipartimento di Psicologia della Seconda Università di Napoli in collaborazione con l’associazione nazionale Donne in rete contro la violenza e presentata, alla Camera, qualche giorno fa, sopravvissuti, e subito dimenticati.

Dai servizi sociali che non hanno garantito il sostegno necessario, se non quello relativo all’affidamento, a gestire l’anno successivo al trauma, quello decisivo, secondo i (discutibili) manuali di psicologia, per evitare il suicidio o che diventino violenti a loro volta. Cosicché nemmeno nel 15 per cento dei casi sono stati supportati da un percorso di psicoterapia.

“Nonostante ogni intervistato - si legge sulle pagine online del progetto - abbia storie e percorsi diversi, ciò che sorprende è che tutti gli orfani sono accomunati da sentimenti di rabbia e tristezza: la rabbia di sapere o aver intuito dei maltrattamenti a carico della loro mamma (perché l’omicidio non è un raptus) e di non aver potuto o saputo fornire un intervento adeguato. Il sentimento di tristezza e delusione relativo all’esperienza di essere stati lasciati soli, privi di qualsiasi sostegno sia economico sia psicologico”.

“Sono arrabbiata con tutti, e non penso che riuscirò mai ad avere una mia famiglia perché non sono in grado di fare la madre, per la rabbia e la delusione che mi porto dentro, nei confronti di tutto e tutti. Non avevo colto i segnali, per me è stata una sorpresa, brutta, ma una sorpresa. Da quel giorno non ho più avuto un’adolescenza normale, la mia vita è cambiata tutt’a un tratto. Non ho più avuto una famiglia. Tante belle parole, ma nessuno veramente che ti aiuta. Questa è la verità.”

E lo è per gli orfani speciali. Lasciati soli dalla latenza delle istituzioni: non esiste ancora una norma specifica che li tuteli o li sostenga, anche economicamente, come avviene, invece, per altre categorie. In un limbo legale e in un vuoto di risposte. “M., undici anni, pensa spesso alla madre e al padre e ciò che vorrebbe domandargli è: ti sei pentito di quello che hai fatto?”.

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