di Tania Careddu

Intere comunità cacciate dalle proprie case e donne estromesse da qualsiasi processo di sviluppo per soddisfare la domanda di cibo e di biocarburanti o, semplicemente, per mera speculazione. Da investitori senza scrupoli che, in barba alla biodiversità, s’impegnano in una corsa globale all’accaparramento della terra.

Corsa sempre più sfrenata, tanto che, secondo il database Land Matrix, riportato nel dossier “Custodi della terra e difensori del nostro pianeta”, redatto da Oxfam, per oltre il 75 per cento degli oltre mille e cinquecento accordi registrati, si tratta di contratti già in essere. Una cifra tre volte superiore a quella del 2012 e che, alla fine del 2016, conterà più o meno il doppio di quelli finalizzati nel 2013.

Ma di un dialogo con le comunità locali, considerato che il 59 per cento di questi accordi riguarda terre rivendicate dai popoli indigeni e dalle piccole comunità, nemmeno l’ombra. Nonostante un po’ dappertutto nel mondo siano state adottate misure e politiche via via sempre più stringenti sulle acquisizioni di terre, la loro applicazione concreta rimane ancora una delle maggiori sfide degli anni a venire. E la mancanza di un riconoscimento formale per miliardi di ettari di terre indigene e comuni annulla totalmente i diritti dei popoli, unici conoscitori dei segreti della biodiversità, che le abitano.

Così, oltre a essere compromesso irrimediabilmente il pianeta, si assiste alla più grande incursione contro la sopravvivenza e la sicurezza degli abitanti. E, soprattutto, a un attacco alla loro identità. E’ opera di governi, investitori privati e grosse società che stanno spingendo più di due miliardi e mezzo di persone fuori dalle loro terre, perché traggono profitti sia dal settore minerario che dal disboscamento e da quello agroalimentare.

Le modalità riportano ai tempi della colonizzazione, dietro le mentite spoglie dello sviluppo economico. Si valutano le attività tradizionali di quelle popolazioni come arretrate e improduttive, incapaci di competere e, perciò, inesistenti. Un potere impari descritto da semplici (sterili) indicatori di reddito. Che non tengono conto dell’eredità culturale, degli usi e costumi.

In Honduras e nello Sri Lanka, per fare posto allo sviluppo delle attività turistiche; in Perù, per la concessione dei territori alle compagnie petrolifere; in India, per l’introduzione di piantagioni di legno teak a scapito della grande varietà di coltivazioni e in Mozambico per gli investimenti delle grandi imprese agroalimentari. Dove, come in tanti altri stati africani, sebbene vengano riconosciuti i diritti alla terra per le comunità locali, l’ottenimento di un certificato ufficiale è lungo e difficile.

Per il riconoscimento legale delle terre ancestrali, lottano da anni le comunità aborigene dell’Australia, con una storia di discriminazione e dislocazione continua, per difendere i loro luoghi sacri. Custodi insostituibili di diritti e identità.

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