di Tania Careddu

Se si riuscisse a sostenere la libertà di movimento si potrebbe leggere la migrazione come la richiesta di potersi esprimere nel luogo scelto come meta. E a interpretarla come fattore di sviluppo integrale, di crescita e di tutela dei diritti di tutti (e non a discapito di molti). A interpretarla non come una “fuga”, secondo quanto riportato dal "Rapporto italiani nel mondo 2016", redatto dalla Fondazione Migrantes, quanto, piuttosto, come mezzo per soddisfare ambizioni e nutrire curiosità, i giovani italiani.

Generazione istruita, in possesso di qualificati titoli di studio post-laurea ma penalizzata sul versante delle possibilità lavorative, vive la migrazione come una mobilità in itinere, continuamente modificabile, lungi dall’essere un progetto migratorio determinato aprioristicamente ma affrontata secondo continue e sempre nuove opportunità incontrate. Come un percorso la cui evoluzione dipende dalle possibilità trovate (vita affettiva compresa).

Una chance e non una costrizione, che ne riduce le opzioni di scelta - come accade, invece, per molti coetanei provenienti da altri Paesi stranieri - da esercitare nel pieno diritto della libertà individuale e in risposta a percorsi positivi di crescita personale. La scelta per i giovani italiani non è tanto se partire quanto se restare.

A lasciare il Belpaese sono decisi anche i pensionati per spostarsi, nel 2015, in Svizzera, in Francia, in Spagna, in Australia e in Canada, le cinque mete più gettonate. E coloro che emigrano in età lavorativa offrono al Paese d’approdo, intraprendenza professionale e ingegno architettonico. Prova ne siano gli ospedali italiani in Argentina, nati già dall’ultimo quarto del secolo, e la cattedrale di La Plata, realizzata con la partecipazione dell’architetto Francesco Primaroli, dell’imprenditore Leon Valli e dell’estro di vari artigiani triestini.

E poi ci sono i migranti due volte: dal Bangladesh verso l’Europa, fermandosi per lungo tempo in Italia e da qui verso il Regno Unito, i bengalesi italiani. Nuovo fenomeno migratorio rivolto verso Londra, Birmingham e Manchester. Almeno cinquemila famiglie, circa ventimila persone, in tutta la Gran Bretagna, occupando preferibilmente i grossi sobborghi. Spesso padri di famiglia, spinti da motivazioni economiche e in cerca di garantire una realizzazione sociale per i figli, che trovano impiego nella ristorazione, nei mezzi di trasporto privato, vedi i minicab, e anche nel settore tecnologico.

Prescindendo dalle motivazioni che sottendono alla partenza, il migrante italiano è da sempre “portatore sano di italianità” attraverso il gusto, la lingua, il business, la moda, il design, la musica e la letteratura. Che, dopo anni negativi, sta ottenendo un riconoscimento internazionale che tocca l’Asia e il mondo arabo, con la narrativa nella parte da leone, rappresentando un terzo della vendita dei diritti alle case editrici straniere, e la letteratura per l’infanzia.

Dimenticando le derive nazionalistiche senza tradire la propria identità ma arricchendosi delle opportunità offerte dalle innumerevoli culture che abitano il mondo. Rispettando il diritto di migrare e quello di restare.

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