di Tania Careddu

E’ la seconda causa di mortalità al mondo per le minori fra i dieci e i diciotto anni. E dopo gli sconvolgimenti successivi alle Primavere arabe del 2011, e i conseguenti fenomeni migratori, la violenza sulle giovani migranti, sempre più presenti nel mondo ‘sviluppato’, è aumentata. Riducendo le bambine non solo a un target bellico ma a un vero e proprio campo di battaglia rappresentato dal loro stesso corpo.

“Prede di guerra”, non solo vengono rapite o arruolate con la forza da eserciti regolari e gruppi ribelli, e ridotte a schiave dei combattenti nei paesi in guerra, ma di fronte alla più grande crisi di rifugiati dalla seconda guerra mondiale a oggi, le ragazze, più di tutti, corrono il rischio di essere vittime di stupri e violenze, soprattutto quelle che viaggiano da sole.

Allettate da false promesse, finiscono nel giro della prostituzione, arrivano incinte sulle nostre coste e, prima di approdarvi, sono state spesso coinvolte nella pratica dei matrimoni forzati.

Sfruttamento delle piccole domestiche, matrimoni precoci e bullismo testimoniano una prevalenza del sesso femminile tra le vittime dei reati (anche in Italia). Circa undici milioni (nel mondo) svolgono lavori domestici, sette milioni in situazioni inaccettabili e quasi sei costretti a fare attività pericolose. Talvolta, nelle case in cui lavorano o nelle fabbriche subiscono percosse e abusi dai datori di lavoro.

Per milioni di loro, la violenza è parte della vita quotidiana: a opera dei genitori o dei docenti e dei coetanei nelle scuole. Viene esercitata per ottenere rispetto e disciplina: due bambine su tre (nel mondo) sono vittime, regolarmente, di punizioni corporali. E ogni dieci minuti (nel mondo) una ragazza muore a seguito di una violenza.

In Italia, secondo i dati del ministero della Giustizia, riportati nel dossier “Indifesa 2016”, redatto da Terres des Hommes, ottocentodiciassette minori di sesso maschile sono stati condannati per violenza sessuale ai danni delle loro coetanee, di cui duecentosessantasette sono stati dichiarati responsabili di sfruttamento della pornografia, che ha subito una crescita esponenziale pari a 543 per cento, e prostituzione minorile. Un incremento a tre cifre - più del 148 per cento - anche quello registrato degli atti sessuali con minori di quattordici anni.

Sebbene non manchi “la ricerca di un alibi” alla violenza, fortunatamente fra gli adolescenti, comincia a farsi strada la consapevolezza che la violenza di genere non sia tollerabile, nemmeno all’interno delle mura domestiche. Dentro (e fuori) le quali permane, però, il pregiudizio rispetto alla condizione socioeconomica (di marginalità) dell’abusante, che denota una severa distorsione informativa e della realtà.

Una deformazione che interessa anche il rapporto con quella virtuale, a tal punto che il 47,2 per cento delle ragazze dichiara che “quello che accade su internet” non avrebbe un nesso con la vita reale. Ivi comprese, quindi, le conseguenze dei propri comportamenti online, quali la condivisione di foto o video a sfondo sessuale o la circolazione di questi senza il proprio consenso o su cellulari di altri.

Non sembrerebbe, considerati i recenti fatti di cronaca che testimoniano reazioni estreme. A conferma del fatto che “vedere le proprie immagini a sfondo sessuale” circolare in rete è “grave quanto subire una violenza fisica”. Ed è tutt’altro che virtuale.

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