di Maura Cossutta

Per la sinistra la sconfitta elettorale è stata devastante, ben al di là di ogni previsione, la più pessimistica o la più lucida che fosse. Un vero e proprio tsunami, che stravolge la faccia delle istituzioni e del Paese. Per la prima volta nella storia la sinistra è fuori dal Parlamento, neanche un parlamentare, sparita, dissolta. Perde milioni di voti ovunque, al Nord e al Sud, nelle grandi città e nei piccoli comuni, non raggiungendo il quorum neppure nelle zone considerate “sicure”, neppure dove il radicamento era consolidato o dove il cosiddetto voto di opinione aveva sempre tenuto. E crolla addirittura negli insediamenti operai delle grandi fabbriche. Una sconfitta epocale, storica. Ma l’onda lunga dello tsunami non si ferma: ora dilaga nei partiti che sono stati sconfitti, dissolvendo quello che era rimasto.

di mazzetta

Il risultato elettorale sembra aver colto di sorpresa gli sconfitti in misura superiore al plausibile. Stupore strano, poiché la sconfitta era annunciata, si sapeva che sarebbe stata netta quanto inevitabile e non solo perché lo dicevano i sondaggi. Fanno buon viso a pessimo gioco al Partito Democratico, entrano nel fair play con il quale Veltroni pensa di tappezzare il suo Piano B, ovvero l'attesa che la fine del governo Berlusconi, prima o poi, lo consegni al paese come unica alternativa. Sono i vantaggi del sistema bipolare: non occorre vincere, basta attendere il fallimento dell'altro polo e festeggiare la vittoria sui cadaveri degli amministrati. L'errore originale è stato quello di dare per finito Berlusconi e credere che in caso di caduta di Prodi ci sarebbe stato da affrontare un centrodestra imploso, salvo poi ritrovarsi Berlusconi trionfante a capo di una destra coesa, più forte e più reazionaria che mai. Fanno buon viso a cattivo gioco anche nella Destra, che ora cercherà di elemosinare qualche strapuntino, festeggiano la sparizione dei comunisti e anche loro sperano nel loro personale sole nero dell'avvenire. Al popolo di destra piace il potere, un partito di destra che si offre come opposizione ha il destino segnato.

di Fabrizio Casari

Quello di domenica non è un voto facile, per niente. Soprattutto per chi da sempre si è considerato di sinistra, a sinistra. Una certa pulsione a sottrarsi ha contaminato anche chi a votare è sempre andato, fortemente motivato o più o meno convinto. Per protesta, disillusione, anche noia, sono in molti che hanno pensato all’astensione, come atto di cittadinanza solitaria se non come urlo. Ma in queste ultime ore gli indecisi si assottigliano, si avverte un cambiamento che più che essere determinato dai programmi o dalle dichiarazioni dei leader dei partiti, è piuttosto il frutto dell’elaborazione personale di ognuno, della capacità individuale di analizzare la situazione del nostro Paese, di una soggettività politica che comunque rimane, anche fuori dalla frequentazione dei partiti. L’astensionismo dunque non è la risposta, ma allora per chi votare?

di Paolo Dimalio

Il primo aprile scorso il governo Prodi ha varato un decreto legge destinato a recepire tutte le sentenze della Corte di Giustizia europea. Dal pacchetto, però, resta fuori la pronuncia del 31 gennaio 2008, che boccia senza appello le leggi italiane sulla televisione. Il motivo? Dal 1999 Rete 4 va in onda senza concessione. Mentre Europa7, che una concessione ce l’ha, è ferma al palo, visto che il Biscione ha fatto il pieno di frequenze. Se la sentenza sulla tv è l’unica a non essere accolta, spiega Emma Bonino, è “perché non aveva carattere di urgenza”. Giusto. Non c’è fretta. Sono solo 31 anni che le leggi in materia televisiva violano la costituzione. Esattamente dal luglio 1976, quando la Consulta cassa il monopolio Rai, spalancando ai privati le porte della tv privata. Con una raccomandazione ai partiti: subito una legge per scongiurare il monopolio privato dell’etere. Democristiani e socialisti invece la prendono comoda. Il pentapartito impiegherà 14 anni per sfornare una legge (la Mammì) che verrà bocciata dalla Consulta.

di Michele Paris

Tra i rari articoli dedicati nelle ultime settimane dai giornali americani alla scoraggiante campagna elettorale nel nostro paese, spicca quello proposto qualche giorno fa dal New York Times a firma Rachel Donadio, dedicato all’ultima crociata dell’ex sessantottino, ex comunista, ex socialista, ex ministro berlusconiano, nonché presunto ex confidente della CIA ed ora adepto neo-con Giuliano Ferrara, per il diritto alla vita. Ben lontano dall’incoronare il direttore de Il Foglio come una delle voci più originali della scena politica italiana, come qualche quotidiano del nostro paese ha scritto (La Stampa), il profilo delineato dall’autorevole testata newyorchese, pur sottolineando le relative diversità delle posizioni sostenute da Ferrara rispetto ai due principali candidati premier, sembra piuttosto farne il simbolo del degrado di una politica ormai diventata “incomprensibile” e “assurda” per quanti la osservano da fuori, e non solo.


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