di Cinzia Frassi

Prima Silvio Berlusconi, poi Walter Veltroni. Si alternano così nel salotto bianco di Bruno Vespa i corridori solitari della politica italiana. Dallo scrittoio ormai d’obbligo per il Cavaliere, riesumato per l’occasione martedì scorso, al leader che ha lanciato la moda di “navigare in solitaria”. Il “si può fare” vestito di blu sembra nato per stare davanti ad una telecamera. Politically correct nel sangue, senza bisogno di tingersi i capelli. Moderato di default e moderno fino al midollo. Questa la sensazione in apertura della serata dedicata a lui nel salotto di Bruno Vespa. Ragionevole e sempre in linea con la saggezza latina all’insegna di in medio stat virtus. Abbiamo fatto un partito dal basso, con le primarie, dice, molto diverso dallo schieramento sotto l’ala del Cavaliere. Parla di cambiamento della geografia politica, di terremoto politico: il partito democratico, dichiara, è il partito di centro sinistra. Rivendica il titolo di partito di sinistra, suscitando come è accaduto, reazioni tra coloro che rappresentano la sinistra radicale. Dall’altra parte invece non c’è più il centro destra, sostiene, dato che Casini non ci sta e il Cavaliere coaugula forze di destra, da Fini alla Mussolini.

di Sara Nicoli

Già il solo vederlo pronunciare la parola “aborto” provoca un sano senso di disagio e di disgusto. Non appena, poi, oltre all’ormai noto salmoidiare su quanto sia riprovevole la pratica abortiva sotto tutte le latitudini senza che mai ci possa essere una ragione valida per farvi ricorso, lo si sente dire che l’altro giorno a Napoli, oltre ad aver offeso la dignità di una donna che già stava soffrendo “è morto anche un bambino”, vien voglia davvero di spernacchiarlo. Ma siccome passeremmo poi per cafoni, scivolando dalla parte dove non vogliamo stare, ossia quella del torto e della furia cieca vendicativa delle menti semplici, ecco che ci piacerebbe avere, adesso, una macchina del tempo. E ricacciare Giuliano Ferrara esattamente dove vorrebbe farci tornare lui, ad anni luce da qui e dal mondo civilizzato, verso quel tardo medioevo, oscuro e terribile, di cui sicuramente lui e i suoi vescovi sentono tanto la mancanza. Ovviamente vorremmo che, contrariamente a quanto vuole il Cavaliere, Ferrara non ci andasse da solo, indietro nel tempo. Ci spediremmo volentieri anche il suo giornale e i componenti tutti della lista Pro Life (leggasi No all’aborto), nostalgici del mondo che torna all’età della pietra, ma che è anche l’unico in cui questi furbastri che le sparano grosse per far breccia sui poveri di spirito, trovano degna cittadinanza.

di Sara Nicoli

Dopo giorni di interrogativi, non certo nostri, su quale sarebbe stato il motivo che Pierferdinando Casini avrebbe scovato per giustificare il suo ingresso nel Pdl, rinnegando ogni possibile abiura precedente del padre-padrone Berlusconi, adesso lo si vede con una certa chiarezza: la Cei, preoccupatissima che la scomparsa dell’Udc possa ridurre all’irrilevanza politica i cattolici, ha chiesto – senza tuttavia ottenerlo – che il partito di Casini non sia fagocitato dal Pdl, ma che conservi una propria dignità nell’ambito di una nuova alleanza con il centrodestra. Peccato che Berlusconi, a cui il voto cattolico interessa fin tanto che non gli mette i bastoni tra le ruote, ha rinnovato il suo diktat: o dentro il Pdl o non se ne parla. Così, come Fini ha appena ucciso An, Berlusconi sta chiedendo a Casini di mettere nel cassetto quel partitino che da solo arriverebbe a mala pena al 2% (oggi è al massimo al 3%) per fare contenta la Cei e dare una vena di cattolicesimo al suo Partito delle Libertà, altrimenti tutto potrebbe sembrare – anzi, lo è – un calderone elettoralistico per prendere il potere e continuare a farsi gli affari propri, non certo quelli del Paese. Con Casini alleato, ma non fantasma, del Pdl, la Cei avrebbe garantito che oltre a quelli di Berlusconi e Fini, anche la Chiesa potrebbe continuare, indisturbata, a perseguire i propri affari.

di Maura Cossutta

Il tema delle cure ai neonati molto prematuri non c’entra nulla con l’aborto. E’ questa la prima cosa che si deve sottolineare. Si parla infatti di quei casi in cui la gravidanza di una donna si interrompe prima del tempo, molto prima della fine normale di gestazione e si parla di neonati che comunque vengono alla luce dopo un parto vero e proprio. Parti prematuri, aborti spontanei, quindi, che nulla hanno a che vedere con i cosiddetti aborti terapeutici dopo la ventesima settimana. La questione è molto rilevante e complessa e viene discussa da anni in tutto il mondo, nella comunità scientifica internazionale. Infatti i progressi della medicina neonatale e lo sviluppo delle tecnologie hanno prodotto risultati importanti nel miglioramento dell’assistenza neonatale e hanno mutato le condizioni di sopravvivenza di questi neonati, fino a ieri del tutto impossibili e anche impensabili. Il destino di questi neonati era solo affidato alla natura, senza possibilità di intervenire. Oggi esistono casi, statistiche – anche se molto scarse, giova ricordarlo - che vengono studiate, analizzate, per cercare risposte, per trovare indicazioni utili a chi, in sala parto, deve decidere cosa fare, spesso in una manciata di secondi.

di Cinzia Frassi

Dopo la caduta del governo Prodi, con la sua dinamica, con la mortadella e lo spumante goliardico quanto volgare, ecco arrivare anche il nulla di fatto del Presidente del Senato Franco Marini. Dopo giorni di consultazioni, il malcapitato getta la spugna. Pochi giorni fa, l’abbiamo ascoltato confidare nel famoso spiraglio per riuscire a richiamare tutti al senso di una non ben precisata responsabilità davanti al Paese ed ai cittadini. Giudicava determinante il contributo delle forze sociali, che in coro hanno fatto sapere di ritenere importante un governo che traghettasse il paese per il tempo necessario a riscrivere la legge elettorale. Insomma, la medesima canzone intonata negli ultimi mesi. L’esplorazione targata Marini é fallita, rimandando il referendum elettorale da alcuni tanto voluto, soprattutto dopo il segnale verde della Consulta, al prossimo futuro. Ciò comporta che il prossimo governo dovrà comunque farci i conti. Non solo: fino a pochi giorni prima della caduta del governo Prodi, che potremmo definire incidentale quanto prevedibile, sembrava unanime l’impegno dei leader di partito proprio rispetto alla riforma della legge elettorale. Dichiarazioni all’insegna della collaborazione, discussioni sulle varie formule che ci hanno tenuto impegnati e che parlavano a turno di maggioritario alla francese o alla tedesca in insalata italiana, con proporzionale, con sbarramento e quant’altro.


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