di Sara Nicoli

Come tutti gli anniversari che si rispettino, anche quello sulla tragica fine di Aldo Moro non esula dalle rivelazioni dell’ultim’ora, quelle destinate - almeno nelle intenzioni - ad aprire squarci di verità su fatti ancora oscuri a distanza di trent’anni. Ora, fatto salvo che in Italia non si riesce mai a sapere una verità che è una su una qualsivoglia vicenda (sia essa minimale per le sorti del Paese, come un delitto di provincia, o decisamente più importante, come la morte violenta di uno statista o una strage dai mandanti politici) la storia dell’omicidio Moro viene vissuta oggi come qualcosa di veramente troppo lontano perché ogni nuova verità possa minimamente influenzare in qualche modo il presente. Ma è forse proprio per questo che ora entrano in scena, con rivelazioni sul piede della tomba, personaggi che all’epoca svolsero ruoli più o meno importanti nell’indirizzare le indagini e nell’influenzare le decisioni di chi, davvero, doveva decidere. Quel che emerge sono nuovi tasselli di una verità a dire il vero già nota, ma raccontata con maggiore rudezza e forse per questo digeribile con più difficoltà. Aldo Moro - ci viene svelato adesso - fu lasciato morire nel nome della ragion di Stato, cosa che di per sé non è certo una novità. Lo è, invece, che nel nome di questa il comitato di crisi messo in piedi per gestire l'emergenza pianificò la morte dell'ex statista. E allora la storia diventa più complicata.

di Sara Nicoli

E’ una campagna elettorale strana, schizofrenica, più guerreggiata nelle retrovie che verso l’esterno. Tranne rare eccezioni di gesti plateali, come quello del Cavaliere che straccia il programma del Pd, fino a poco prima accusato di essere “copiato” dal suo, per il resto gli schizzi di veleno sono equamente dispensati in una guerra del tutti contro tutti che solo quaranta giorni fa sarebbe stata impensabile. E’ ufficialmente cambiato tutto, con Borselli che dice peste e corna di Bertinotti e Bertinotti fa altrettanto con Veltroni, mentre Berlusconi spara addosso a Casini e quest’ultimo se la prende con Fini che, a sua volta, inveisce contro Storace: saltate le coalizioni, è tutto uno strapparsi il pane di bocca. Con un’unica certezza sul finale di questa giostra: se Berlusconi sarà per la quinta volta presidente del Consiglio, porterà con sé, tra Camera e Senato, un battaglione di parlamentari che mai avremmo pensato di dover chiamare un giorno “onorevoli” se non all’interno di un film dell’orrore. Che, invece, puntualmente si è verificato.

di Cinzia Frassi

Ci sarà ancora questo clima fino al deposito dei simboli e sicuramente fino alla presentazione delle liste di candidati, il 9 e 10 marzo prossimo. Si concluderà solo allora questo periodo all'insegna del "rimpasto", di fusioni audaci e separazioni annunciate e di restyling di simboli, identità e scambio di poltrone. Il centro destra, dopo l’ingresso nel Pdl di Fini e dei suoi, chiude la porta in faccia a Casini e all’Udc. A cercare di rastrellare i nostalgici di una destra con una sua identità ideologica più tradizionale: Francesco Storace a capo del nuovo partito la Destra. Secondo i recenti sondaggi, una formazione che potrebbe riuscire a trovare una quota tra l’1 e il 3% e una potenziale fetta del 12%. Così mentre Gianfranco Fini sostiene che nessuno li voterà, Storace risponde proprio che “bisogna avere più prudenza quando si parla di piccoli partiti". Una fetta di elettori di An quindi dovrebbe riconoscersi maggiormente nella neo formazione che vede come candidato premier la signora Santanchè.

di Saverio Monno

Al via oramai da qualche giorno, l’attuale campagna elettorale ci stupisce per il clima particolarmente cordiale che ha accompagnato questa prima fase del confronto. La dialettica tra le diverse fazioni si è presentata improntata, almeno sino ad ora, all’insegna di un’inusitata pacatezza. I primi a lanciare questo “messaggio di pace”, sono stati Berlusconi e Veltroni, con il primo pieno di premure e consigli per la salute del secondo, che da parte sua ringrazia ed assicura di non essere disposto ad attaccare l’avversario, durante la competizione elettorale per “rispetto”. In forma Berlusconi che, dicendosi preoccupato per la pesante eredità del governo-Prodi, discute del grande senso di insicurezza e della paura che “attanaglia il paese, anche per l’ingresso generalizzato di immigrati.” Ribadisce che “Prodi ha fallito, ha fallito l’Unione. La sinistra ha fallito. Hanno scontentato tutti, imprenditori, lavoratori, giovani ed anziani”. Il cavaliere attinge a piene mani dal suo repertorio, e, rispolverando un vecchio slogan del 2006, proposto in versione soft, aggiunge: “Gli Italiani non saranno così ingenui da riconsegnare il paese nelle mani di questa sinistra!”

di Rosa Ana De Santis

Il partito gli chiede di correre da solo, Berlusconi gli propone di entrare nel Pdl. Giorni difficili per Pier Ferdi, che a forza di fare il "né-né" si trova a dover scegliere di non saper dove andare. L'ex Presidente della Camera le sta tentando tutte con il Cavaliere: pur di apparentarsi farebbe qualunque cosa. Ma pare che stavolta l'uomo di Arcore abbia deciso che la formazione bigotta serve solo se porta voti a lui, non se Casini utilizza i voti suoi per le sue probabili, future scorribande trasversali. Dunque, forse l’Udc di Pier Ferdinando Casini, suo malgrado e controvoglia, “correrà da sola”. Del resto era stato questo il duro verdetto emesso dalla segreteria politica dei partito papale, che ha respinto le offerte indecenti di Berlusconi che pretendeva adottarlo cambiandogli però nome e cognome. Davanti all’idea di veder scomparire il proprio simbolo, Casini ha detto no: l’Udc, allora, correrà da sola. Che poi sia preciso il termine correre piuttosto che camminare, questo lo vedremo il 14 Aprile. Intanto quello che è certo è che il partito dell’ex-presidente della Camera ha raggiunto il record di traumi nel più breve lasso di tempo possibile.


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