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di Giorgia Grifoni
Alle elezioni algerine ha trionfato le pouvoir, come i cittadini qui designano il regime. “Impossibile - ribatte l’analista politico Lahouari Addi de l’Institut d’Etudes Politiques de Lyon, riportato dal New York Times - perché il Fln è rifiutato dalla popolazione. In elezioni oneste, la gente avrebbe votato per gli Islamisti”. Dopo il voto di giovedì per il rinnovo della Camera bassa del Parlamento - voto che ha visto il partito del presidente Bouteflika trionfare e accaparrarsi quasi la metà dei seggi - il Paese è incredulo. Ieri, a meno di 20 dalla chiusura dei seggi, il ministro dell’Interno Daho Ould Kablia ha dichiarato con certezza che 220 posti in Parlamento su 462 andranno al Fronte di liberazione nazionale (Fln), il partito che da cinquant’anni guida lo stato nordafricano.
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di Nena News
Roma, 17 marzo 2012. La molto mitizzata al Jazeera perde pezzi. A causa della sua copertura faziosa della crisi in Siria e anche della crisi nel piccolo Bahrain, una primavera araba che non fa notizia. Alcuni membri di primo piano dell’ufficio di Beirut della tv qatariota hanno annunciato le dimissioni o si sono già dimessi, secondo quanto riportato dal quotidiano libanese al-Akhbar.
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di Imad Fawzi Sheibi*
Alcuni scommettono che, come d’abitudine, avverrà un cambiamento nella posizione russa verso la regione araba, simile a quello che avvenne nel caso iracheno e in quello libico. Tuttavia, quest’ipotesi può essere esclusa da una profonda analisi della posizione russa, per le considerazioni che seguono.
Sembra che la regressione russa non sia possibile nel mondo d’oggi, dato che Mosca vede negli attuali eventi, e nel confronto con l’Occidente, ossia con gli europei e gli statunitensi, un’opportunità per formare un nuovo ordine mondiale, che superi quello che ha prevalso nel periodo post-Guerra Fredda e dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Quest’ultimo, rappresentato dall’unipolarismo, si è spostato verso il non-polarismo dopo la guerra in Libano del 2006.
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di Silvia Cattori
Roma. L’opposizione siriana riferisce di una strage compiuta dai miliziani filo governativi shabbiha. I cadaveri di 64 giovani di Homs, tra i quali numerose donne, fuggiti domenica dal quartiere di Bab Amro sarebbero stati ritrovati fuori dalla città. Ma dal quartiere assediato giungono resoconti di segno ben diverso, che riferiscono anche di crimini compiuti dai ribelli armati.
Homs, ormai, non è altro che un sinistro campo di battaglia dove i soldati governativi affrontano gruppi armati che, secondo testimonianze indipendenti sulla vera natura della ribellione, sparano cannonate alla cieca per seminare terrore e morte, facendo poi credere essere unicamente le forze del governo a martellare la città.
I media occidentali continuano, da parte loro, a menzionare come prova le dichiarazioni dei Comitati locali che diffondono la propaganda degli «oppositori» armati, in coordinamento con l’Osservatorio siriano dei Diritti dell’Uomo, con base a Londra, un organo creato e finanziato dalle forze alleate con la ribellione [1].
Per capire quanto succede in Siria, non è dunque possibile fare affidamento sull’Osservatorio siriano o sui blogger che sono parte integrante di questa ribellione; tantomeno sugli inviati speciali che constatiamo essere sistematicamente anima e corpo dalla parte degli «oppositori» armati, che loro qualificano come «eroi», e che presentano la battaglia che divide il popolo siriano in una luce del tutto manichea: da una parte l’opposizione che «lotta per la democrazia», dall’altra il terribile dittatore.
Ora, le cose non stanno così. Come è stato da ultimo dimostrato da un recente sondaggio nonché dalle massicce manifestazioni di sostegno al veto russo e cinese all’Onu, la grande maggioranza del popolo siriano non vuole questa rivolta armata che cerca unicamente di legittimare le potenze della Nato e taluni Stati arabi - notoriamente grandi paladini della democrazia - come il Qatar. Se si deve parlare di «eroi» in Siria, allora si deve fare riferimento a tutte le parti che soffrono, e non solamente agli «eroi» che riconosce l’Occidente…
Quanti missili Milan sono stati consegnati ai ribelli?
Sono numerosissimi i cittadini siriani che si appellano al loro presidente affinché le forze governative intervengano. A Homs soprattutto, dove la situazione è allarmante per ampi settori della popolazione, presi in ostaggio da questi gruppi che occupano intere zone della città - i quartieri di Baba Amr, Khaldiyeh, Karm el-Zeytoun - dove le persone chiamano da mesi Damasco affinché li soccorra [2].
La loro sorte è diventata ancor più fonte d’angoscia da quando i ribelli fanno uso dei lancia-missili anticarro Milan che erano stati consegnati ai ribelli libici durante la campagna di Libia, meno di un anno fa, da Francia e Qatar. Ci possiamo ricordare come Bernard Henry Levy e Sarkozy avessero all’epoca ingannato l’opinione pubblica attribuendo alle forze fedeli a Gheddafi l’uso di questi missili Milan che mietevano vittime in Libia.
È lo stesso inquietante scenario che si ripete in Siria. I politici, le ONG e i giornalisti, fanno ancora una volta una scelta di campo a favore della guerra che gruppi strumentalizzati dalle potenze straniere provocano. Attribuiscono alle forze governative - come in passato in Libia, senza alcuna seria verifica - gli atti di barbarie perpetrati dagli «oppositori» armati che terrorizzano la maggioranza della popolazione.
Da tre settimane i commentatori ripetono che Homs è cannoneggiata unilateralmente dall’esercito siriano. Al contrario, i contingenti lealisti attaccati dai missili Milan hanno subito numerose perdite dall’inizio del loro intervento. Non è chiaro se le autorità di Damasco riusciranno a sloggiare questi gruppi dotati di armamento pesante da tutti i quartieri della città in cui si sono infiltrati. Poteva il governo siriano non reagire?
È stato ripetutamente dimostrato - fin dall’inizio di questi combattimenti - che gli «oppositori» armati sono addestrati, inquadrati e formati da forze speciali straniere; che tra le loro fila gli oppositori hanno elementi che agiscono per conto di potenze straniere la cui presenza in Siria è lampante. La televisione siriana ha diffuso negli scorsi giorni le immagini recenti di Homs riprese da un «fotoreporter di guerra» straniero che ha seguito e filmato in un quartiere della città questi «oppositori» armati - gli stessi che i «grandi reporter» glorificano - che lanciano razzi e missili all’impazzata. Un’immagine ha attirato l’attenzione: all’interno di un edificio, con le scale imbrattate di sangue, gli arredamenti distrutti, campeggiava su un muro una scritta sorprendente e dal significato pesante: «Da Misurata, dopo aver liberato la Libia, siamo venuti a liberare la Siria!».
Chi sono i responsabili dei massacri di Homs, che obiettivi perseguono?
Questi gruppi armati, le cui azioni più efferate sono attribuite ai soldati di el-Assad che li fronteggiano, sono sistematicamente presentati dalla stampa occidentale come «oppositori» che lottano per la «democrazia».
Perché i «grandi reporter» non riportano mai le testimonianze su siriani vittime di rapimenti, torture, omicidi, da parte di questi «oppositori» armati? Perché, ancora di recente, il presidente di “Medici senza frontiere” si è aggiunto a questa operazione di intossicazione mostrando come degne di fede le testimonianze di Siriani anonimi - col volto celato - schierati coi ribelli che attribuivano alle forze di el-Assad ed ai medici degli ospedali atti indicibili di tortura su feriti e bambini? [3]
Chi potrebbe credere essere nell’interesse di Bashar el-Assad di torturare il suo popolo, violentare bambini e ragazzine? Chi può credere che il popolo siriano continui a sostenere in maggioranza Bashar el-Assad se fosse quel torturatore sanguinario dipinto in Occidente a fini di propaganda di guerra?
Queste incessanti campagne che prendono la difesa degli oppositori violenti, e non del popolo terrorizzato e oppresso da questi ribelli, sono pericolose. Mirano a portare acqua al mulino delle potenze - Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, appoggiate da Qatar e Arabia Saudita - che, da mesi, preparano nell’ombra il terreno per un intervento militare in Siria e non aspettano altro che il semaforo verde da parte di Obama.
Note:
[1] L’Osservatorio siriano dei Diritti dell’Uomo - che raccoglie le dichiarazione manipolate dalla Siria di diversi Comitati - è stato più volte denunciato come niente altro che un volgare strumento di disinformazione al servizio della rivolta. Malgrado le numerose prove che lo attestano, rimane sulla Siria la principale fonte - insieme ai famosi «grandi reporter» - su cui si poggia tutta la stampa occidentale che giorno dopo giorno propaga quanto riferito da questo osservatorio bidone.
[2] Si veda: «Una siriana che ha avuto il fratello ucciso a Homs dagli «oppositori», testimonia», racconto raccolto da Nadia Khost, 8 febbraio 2012. (http://www.silviacattori.net/article2790.html)
[3] Torneremo sul ruolo delle ONG che hanno contribuito ad alimentare la disinformazione che colpisce la Siria aumentando così il rischio di un intervento straniero; in particolare Amnesty international et Médecins sans frontières.
Fonte: http://www.silviacattori.net/article2861.html
Fonte: Nena News
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di Eleonora Vio
Non si può dire che le elezioni parlamentari del 2 di marzo siano l’evento più atteso nell’instabile panorama geo-politico iraniano. Nonostante ciò, la prossima chiamata al voto per spartire i 290 posti del Majlis (Parlamento) ai 3.440 candidati in lizza svela un interessante slittamento di potere in seno allo statico sistema partitico iraniano.
Lontani sono i tempi in cui iraniani dalle diverse appartenenze sociali e politiche si riunivano sotto un’unica bandiera inneggiante libertà e democrazia dopo le presidenziali truccate del luglio 2009. L’Iran avanguardista sembra essersi assopito - in parte per la lunga serie di maltrattamenti, restrizioni, coercizioni ai quali è stato sottoposto in questi tre anni e in parte per la mancanza di un leader rappresentativo - e, sia la fazione riformista di Khatami, seppur con qualche disertore, sia i sostenitori di Mousavi e Karroubi, i due volti pubblici del ‘Movimento Verde’ trattenuti agli arresti domiciliari da un anno ormai, hanno deciso di boicottare le prossime elezioni.
Se una vera opposizione non è presente, ciò non vuol dire che lo scenario politico restante sia omogeneo. Affatto. Le elezioni parlamentari del 2 marzo fungono da cartina di tornasole dello (s)bilanciamento interno di potere nella Repubblica Islamica Iraniana e preparano il terreno per le elezioni presidenziali che si terranno a luglio 2013.
La selezione dei candidati alle parlamentari è avvenuta il dicembre scorso secondo i discutibili criteri del ministro degli interni e la supervisione del potente Consiglio dei Guardiani. Eliminati gli elementi avversi al regime, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad è emerso come l’ultima scomoda pedina all’interno del composito scacchiere conservatore.
Come fonti iraniane riportate da Al-Akhbar affermano, “la frammentazione in seno al campo conservatore è dovuta alle chiare divisioni tra i sostenitori di Ahmadinejad e il gruppo cosiddetto dei “fondamentalisti” artefice della sua salita al potere”.
Se Ahmadinejad, “umile” uomo del popolo dai saldi valori tradizionali, aveva trovato l’appoggio incondizionato della Guida Suprema Khamenei nelle lontane presidenziali del 2005, il mutuo accordo tra i due ha subito una brusca svolta nell’aprile 2011. La base del disaccordo giace già in quel lontano 2005, quando Khamenei si era fatto ingannare dall’apparente mancanza di sostegno popolare ad Ahmadinejad e aveva deciso di accoglierlo sotto la sua ala protettiva. Per contro, il futuro presidente aveva strategicamente stretto a sé una corte di veterani e ideologi formatasi durante l’aspra guerra contro l’Iraq e, una volta ottenuto il potere grazie a Khamenei, aveva assegnato loro le poltrone migliori. Dalle elezioni del 2009, dove Khamenei si è trovato costretto a supportare Ahmadinejad per evitare di soccombere al potere riformista, il rapporto tra i due uomini dalle pari ambizioni è degenerato progressivamente.
Lo scorso aprile ecco la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Prima Ahmadinejad licenzia il capo dei servizi segreti Heydar Moslehi e Khamenei risponde rovesciando l’ordine impartito e ristabilendo il suo personale controllo su un ministero dalla fondamentale importanza. Quindi, Ahmadinejad licenzia tre dei suoi ministri ma il Consiglio dei Guardiani dall’assoluto potere costituzionale lo taccia di aver esercitato un potere che non gli spetta. Nei mesi seguenti si susseguono scandali di frode e accumulamento di denaro pubblico - mai peraltro verificati - ai danni di Ahmadinejad e compagni.
Il tentativo del presidente Ahmadinejad di rafforzare la propria autorità personale si scontra oggi sia con il suo elettorato, che nel 2005 e poi ancora nel 2009 aveva creduto alle promesse di rinascita economica ma è stato penalizzato dalle sanzioni economiche seguite all’azzardata politica estera di Ahmadinejad, sia con la Guida Suprema che, in un regime teocratico come quello iraniano, ha potere assoluto non solo su questioni di ordine religioso ma anche e soprattutto statale.
Dopo la dipartita dell’Ayatollah Yazdi dovuta ad incomprensioni interne con il presidente, alle prossime elezioni parlamentari la fazione politica fedele ad Ahmadinejad non avrà alcuna guida spirituale a tesserne le lodi. Per Ahmadinejad e i suoi non si mette bene e, secondo ciò che riporta Al-Akhbar, “se gli uomini del presidente dicono che si aspettano di ottenere non meno di 100 seggi in parlamento, l’opposizione è convinta che si possono ritenere fortunati, se ne vincono 20”.
Le restanti fazioni politiche in gioco costituiscono due simili alternative a una leadership di stampo islamico fondamentalista.
Il più largo consenso va al Fronte Unito per i Fondamentalisti, creato dal volere del capo dell’Assemblea degli Esperti, Ayatollah Kani, e da clerici influenti con il supporto della Guardia Rivoluzionaria e dei Basiji (gruppo paramilitare artefice delle violenze scoppiate nel 2009). Questo gruppo politico ha mire presidenziali e, per tale motivo, sta stringendo alleanze con fondamentalisti di altri fronti, conservatori tra cui Ahmadinejad e perfino alcuni riformatori.
Il fronte Sumoud (Fermezza) è il più integralista tra i due ed è critico nei confronti del Fronte Unito per i Fondamentalisti e delle sue relazioni con gruppi politici più moderati, ma in particolare con Ahmadinejad. Il Sumoud vanta la protezione della Guida Suprema - da qui deriva la sua graduale avversione nei confronti del presidente - e si avvale del supporto di una figura pubblica come il disertore Ayatollah Yazd.
Se Ahmadinejad stringesse alleanze sotto banco per ottenere più seggi alle prossime elezioni, o se la Guida Suprema convenisse che è “nell’interesse del paese” spargere tali voci tra i candidati, le fazioni fondamentaliste metterebbero in atto quello che hanno già espresso verbalmente: fare fronte comune contro “l’impostore”.
In Iran di rado le cose avvengono per volere di qualcuno che non sia la Guida Suprema e il Consiglio dei Guardiani. Qualora la situazione storico-politica - appesantita dalla minaccia militare congiunta d’Israele e Stati Uniti - lo richiedesse, le cariche supreme non impiegherebbero molto ad abbracciare una politica repressiva e ultra-conservatrice e a sostituire la Repubblica Islamica Iraniana con una temibile teocrazia. Con gravi ripercussioni sia a livello nazionale che globale.
Fonte: Nena News