Gli Stati Uniti e i loro alleati preparano in silenzio un piano brutale per «mettere fine alla dittatura» in Venezuela. La prima parte di questo «colpo da maestro» (Masterstroke), già predisposta, dovrebbe essere messa in atto prima delle prossime elezioni. Se l’esito di questa offensiva, che sarà sorretta dall’intero apparato propagandistico e mediatico, nonché da azioni violente “in difesa della democrazia”, non sarà la cacciata del presidente Nicolas Maduro, il piano B è già pronto, coinvolgerà molti Paesi per riuscire a imporre una “forza multilaterale” che intervenga militarmente.

 

Panama, Colombia, Brasile e Guyana, appoggiati dall’Argentina e da “altri amici”, sono il fulcro dell’operazione, con la regia del Pentagono. Tutto è pronto: le basi militari, i Paesi confinanti che forniranno aiuto diretto mettendo a disposizione ospedali e riserve di viveri per i soldati.

L’incontro tra Macron e Trump alla Casa Bianca - al quale è seguito quello con la cancelliera Merkel - ci ha consegnato più interrogativi che punti fermi sull’accordo nucleare con l’Iran del 2015. Trump non ha chiarito se il 12 maggio si ritirerà dall’intesa. Ma abbiamo una certezza: nelle guerre mediorientali l’Iran rimane il vero bersaglio degli Usa e dei suo alleati regionali, Israele e Arabia Saudita.

 

“Fermare l’espansione dei Teheran e della Mezzaluna sciita sulle coste del Mediterraneo siriano, in Libano e in Yemen”, questo è il mantra che hanno ripetuto il presidente francese e quello americano che è esattamente quello che chiedono lo stato ebraico e la monarchia wahabita.

Nella relazione annuale del Dipartimento di Stato sui diritti umani, gli Stati Uniti hanno bollato Cina, Iran, Russia e Corea del Nord come “forze dell’instabilità” per le loro presunte violazioni dei diritti umani. Il rapporto si è anche scagliato contro lo Xinjiang cinese e negli affari tibetani.

 

Un giorno prima della pubblicazione del rapporto, il Dipartimento di Stato ha invitato diversi giornalisti uiguri di Radio Free Asia al suo briefing quotidiano e ha lanciato calunnie circa la situazione nello Xinjiang. Un funzionario del Dipartimento di Stato ha dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero agire attraverso il Global Magnitsky Act. I media occidentali hanno immaginato che gli Stati Uniti stiano considerando la possibilità di sanzionare dei funzionari cinesi.

Questa è la storia di una città chiamata Douma, un luogo devastato e puzzolente di blocchi di appartamenti distrutti - e di una clinica sotterranea le cui immagini di sofferenza hanno permesso a tre delle nazioni più potenti del mondo occidentale di bombardare la Siria la scorsa settimana. C’è anche un dottore amichevole in un cappotto verde che, quando lo rintraccio nella stessa clinica, mi dice allegramente che la ripresa del “a gas” che ha fatto orrore al mondo - nonostante tutti i dubbiosi - è perfettamente genuina.

 

Le storie di guerra, tuttavia, hanno l’abitudine di diventare più oscure. Per lo stesso dottore siriano di 58 anni c’è qualcosa di profondamente scomodo: i pazienti, dice, sono stati sopraffatti non dal gas ma dalla fame di ossigeno nei tunnel pieni di spazzatura e negli scantinati in cui vivevano, in una notte di vento e bombardamenti pesanti che hanno scatenato una tempesta di polvere.

Quando Macron era candidato alla presidenza della repubblica ignorava tutto delle relazioni internazionali. Il suo mentore, il capo dell’Ispezione Generale delle Finanze (corpo di 300 alti funzionari), Jean-Pierre Jouyet, lo beneficiò d’una formazione accelerata. I predecessori di Macron, Nicolas Sarkozy e François Hollande, avevano considerevolmente indebolito il prestigio della Francia.

 

Per mancanza di obiettivi prioritari e per i numerosi voltafaccia, la posizione della Francia era percepita come “inconsistente”. Macron ha iniziato il proprio mandato incontrando il maggior numero possibile di capi di Stato e di governo per dimostrare che la Francia sta rioccupando un ruolo di potenza mediatrice, capace di dialogare con tutti.


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