Luiz Inácio Lula Da Silva costituisce ancora un’enorme risorsa per il movimento operaio e popolare brasiliano e internazionale. Lo si è potuto constatare all’incontro organizzato il 13 febbraio presso la Sede nazionale della CGIL. L’ex presidente del Brasile è in piena forma ed esibisce una vitalità e una lucidità sorprendenti per un settantaquattrenne da poco tornato in libertà dopo esser stato costretto (ingiustamente) a passare 580 giorni in galera.

Nel suo intervento Lula ha parlato con orgoglio dei successi indiscutibili della sua amministrazione, che ha sottratto 36 milioni di persone alla miseria, creato 11 milioni di posti di lavoro, consentito a centinaia di migliaia di giovani poveri di accedere all’istruzione superiore e all’università e restituito al Brasile il rango di Potenza internazionale nell’ambito dell’Alleanza BRICS.

Ha ricordato, con aneddoti gustosi e battute salaci, le sue esperienze ai vertici internazionali, come quello del G8 ad Evian che segnò il suo debutto su quella scena. Lui, che aveva cominciato a lavorare bambino e sofferto la fame vera, si chiedeva chi altro dei partecipanti a quelle riunioni di VIP potesse vantare un curriculum del genere. Ciò nonostante riuscì a stabilire rapporti di umana comprensione e simpatia persino con loro, nessuno escluso.

Ha ricordato, fra l’altro, come proprio a quella riunione di Evian, tutti si fossero alzati in piedi all’arrivo di Bush. Lui no - ha detto - perché Bush non si era alzato in piedi al suo arrivo. L’eguaglianza fra le persone praticata con coerenza in ogni circostanza. Dello stesso Bush respinse con forza la pretesa di giustificare l’invasione dell’Iraq con il pretesto delle armi chimiche, una scelta disastrosa della quale ancora oggi il popolo iracheno e altri popoli della regione stanno pagando duramente le conseguenze.

In Lula emerge una umanità davvero rimarchevole, fatta di disponibilità a capire, grande intuizione e capacità di risolvere i problemi  trovando quella semplicità che è difficile a farsi, della quale parlò una volta Bertolt Brecht. Ma anche grazie ad una grande dignità e caparbietà infinita nella lotta per la giustizia a tutti i livelli.

Ai temi della disuguaglianza e del disastro ambientale è stato dedicato l’incontro che poche ore prima aveva avuto con Papa Francesco Al cui invito si deve la sua due giorni italiana) e su questi ed altri temi i due grandi leader hanno trovato una sintonia che davvero non stupisce chi ne conosca la storia e le posizioni.

Parole chiare le ha avute nei confronti dell’amministrazione Trump, commentando con ironia la farsa del pagliaccio autoproclamato Guaidò, da lui definito un “pazzo venezolano” richiamando con forza tutti alla necessità di rispettare le scelte del popolo del Venezuela. Ha anche condannato il tentativo di spazzare via i palestinesi, per i quali ha chiesto uno Stato, come l’ebbe a suo tempo Israele.

Grandi temi, scelte indiscutibili e di cristallina trasparenza. Il grottesco personaggio che, grazie alla montatura giudiziaria del giudice Moro, ne ha preso il posto alla presidenza del Brasile, ha rapidamente restituito questo enorme e ricchissimo Paese al tradizionale ruolo di marionetta degli Stati Uniti e delle multinazionali, mentre peggiora a vista d’occhio la situazione sociale ed ambientale e si moltiplicano i crimini delle forze dell’ordine e delle milizie di natura apertamente criminale con esse collegate. Fra tali crimini vari assassinii politici contro leader come Mariele Franco, ma anche altri meno noti.

Certamente l’esperienza fatta negli ultimi anni ha ulteriormente affinato le capacità politiche di Lula e potrà consentire a lui e alla coalizione di movimenti sociali e partiti politici che lo appoggia di mettere  in cantiere politiche ancora più efficaci che in passato e di segno ancor più netto nel senso della protezione dei diritti sociali e dell’ambiente. E ovviamente del rilancio della Patria Grande, del sogno dell’integrazione latinoamericana basata su organismi attualmente in quiescenza, come la CELAC e UNASUR, che devono tornare ad operare per la pace, la democrazia e il benessere dei popoli latinoamericani.

Come evidenziato più volte di recente dallo stesso Lula, la sinistra può tornare a vincere. Ma a tale fine è molto importante che torni in campo lui, superando l’ingiusto ostacolo ai suoi diritti politici costituito dal procedimento penale pretestuoso, del quale i suoi legali hanno chiesto l’annullamento alla Corte suprema, dati i vari vizi sostanziali e procedimentali che lo rendono completamente illegale e contrario agli elementari principi del diritto.

Il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha cercato di ricondurre a uno sgarbo più o meno personale la clamorosa decisione di questa settimana di cancellare un cruciale accordo militare tra il suo paese e gli Stati Uniti. L’impatto del provvedimento, se confermato, è tale tuttavia da incrinare seriamente i rapporti tra i due storici alleati, suggerendo perciò l’esistenza di ragioni di portata strategica ben più importanti. Queste, com’è facile intuire, hanno a che fare in primo luogo con la rivalità crescente tra Washington e Pechino in Asia sud-orientale.

A inizio settimana, dunque, Duterte ha notificato alla rappresentanza diplomatica americana a Manila la sospensione unilaterale del cosiddetto “Visiting Forces Agreement” (VFA), il trattato bilaterale entrato in vigore nel 1999 che permette e regola lo stazionamento di militari USA sul territorio delle Filippine. In assenza di iniziative da parte dei due paesi, l’accordo sarà ufficialmente sciolto alla fine di un periodo di 180 giorni.

Malgrado il sostanziale equilibrio che ha caratterizzato i risultati delle primarie democratiche del New Hampshire, almeno un verdetto praticamente definitivo è arrivato dal piccolo stato del New England, cioè la fine delle speranze di nomination per colui che sembrava essere il favorito solo fino a poche settimane fa, l’ex presidente Joe Biden. Sulla strada verso l’uscita sembra essersi avviata anche la senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren, vista la chiara tendenza degli elettori di “sinistra” del partito a concentrare il proprio voto sul vincitore di martedì, il collega “democratico-socialista” del Vermont, Bernie Sanders.

Gli eventi degli ultimi giorni in Germania potrebbero avere gettato le basi per una profonda destabilizzazione del sistema politico della prima potenza economica europea. L’annuncio delle dimissioni della numero uno dei cristiano-democratici (CDU), nonché fedelissima della cancelliera Merkel, Annegret Kramp-Karrenbauer, rischia infatti di innescare pericolose forze centrifughe nel principale partito “mainstream” tedesco, a sua volta sconvolto dalle vicende della scorsa settimana in Turingia, quando è andata in scena la prima legittimazione politica formale dell’estrema destra neo-nazista.

Il dipartimento della Difesa americano ha aggiunto di recente una nuova arma a “bassa potenza” al proprio arsenale nucleare che potrebbe alterare i già precari equilibri tra le principali potenze militari del pianeta e, a dispetto delle intenzioni ufficiali, provocare una conflagrazione atomica di proporzioni catastrofiche. I missili W76-2 sarebbero già stati installati a bordo di almeno una nave da guerra USA e il battesimo della loro operatività si intreccia pericolosamente alla competizione sempre più accesa tra Washington e Mosca, soprattutto per quanto riguarda il progressivo tracollo dell’impalcatura creata a partire dalle fasi finali della Guerra Fredda per limitare la proliferazione e ridurre il numero di armi nucleari a disposizione delle due super-potenze.


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