di Cinzia Frassi

Ci voleva più intelligence per proteggere l'identità delle spie della CIA la cui identità sarebbe stata scoperta da un'inchiesta del Chicago Tribune. Il giornale sostiene di aver individuato circa 2.600 impiegati CIA, tra agenti sotto copertura e personale, rivolgendosi semplicemente ad agenzie che sul web forniscono ai propri clienti informazioni contenute in registri pubblici. Non solo, attraverso semplici ricerche il giornale di Chicago avrebbe disegnato una vera e propria mappa con ubicazioni di alcune sedi della CIA sul territorio americano, riuscendo anche ad individuare 50 numeri telefonici interni del Pentagono. Le informazioni naturalmente non sono state pubblicate dal giornale, ma come è facile immaginare la vicenda ha innescato grosse polemiche quasi ancor prima di arrivare sul tavolo del direttore della CIA, Porter Gross, che si è detto "atterrito". Del resto, restarono atterriti anche i cittadini statunitensi quando lo scorso dicembre il Presidente Bush ammise candidamente di aver autorizzato la National Security Agency (NSA) a controllare le loro comunicazioni. La rivelazione scatenò le reazioni di esponenti politici, di organizzazioni per la difesa della privacy e della stampa, con il New York Times in prima linea a citare in giudizio l'U.S. Defense Department al fine di ottenere i documenti riguardanti le operazioni di spionaggio interno attuato dalla NSA.

di Liliana Adamo

Piacerebbe citare un film popolarissimo d'Irvin Kershner, quel "Mai dire mai" tratto dall'ennesimo romanzo di Ian Fleming ed esattamente un'inquadratura: Sean Connery (James Bond) e Klaus Maria Brandauer (Largo), si contendono il potere manipolando una scacchiera elettronica (comprensiva di mortali scariche elettriche), dove l'uno o l'altro può spingersi al dominio totale, colpendo a morte l'avversario e annientando ogni continente espugnato. Il tema centrale del film ruota intorno al cattivo di turno e a Largo bastano un paio di testate nucleari per tenere sotto smacco, i governi del mondo...
Trascurando il fascino del vecchio Bond (che ucciderà Largo, otterrà l'amore di Domino e salverà il mondo), il genere fantastico ha speculato sulle più svariate minacce soverchianti l'ordine costituito delle cose. L'incubo nucleare e i grandi attacchi terroristici sono diventati, oltre che elementi tangibili, le forme più in voga di fiction (quello degli attacchi terroristici in grande stile devono aver persuaso del tutto il presidente Bush e il suo entourage).
Pochi hanno stimato la guerra globale per l'accaparramento di risorse energetiche, anche se il pretesto è materia straordinariamente attuale. Ci ha pensato, invece, l'analisi di un "oscuro" autore americano, talmente bravo a condurre i suoi punti d'arrivo, che, al lettore del saggio, procura più di un brivido gelido lungo la schiena.
Complotti e fosche macchinazioni per il dominio petrolifero? Orditi intrighi all'ombra dell'OPEC? O un'allucinante profezia con dati realistici alla mano?

di Barbara Betancourt*

Dopo un processo segnato da delusioni ed insoddisfazioni, minacce pubbliche del Governo degli Stati Uniti e compromessi con gli alleati, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione che instaura il nuovo Consiglio dei Diritti Umani. Il Consiglio sostituirà la Commissione, incaricata da sessant'anni della materia. Così come aveva annunciato, Washington ha votato contro il testo e, come era d'aspettarsi, lo ha fatto in compagnia di Israele, Isole Marshall e Palau.
Non ha causato sorpresa che l'Unione Europea abbia votato a favore del documento, era stato annunciato: ma ancor meno sorpresa ha destato che Bruxelles definisse la sua posizione in linea con quella statunitense, nonostante la differenziazione sul voto.
Sembrerebbe contraddittorio che possano esserci posizioni comuni e voti diversi sullo stesso documento, se non fosse che entrambi appartengono al blocco delle grandi potenze, che hanno in comune la stessa ideologia e che si differenziano tra loro solo per l'uso di tattiche diverse per raggiungere gli stessi obiettivi.

di Carlo Benedetti

Sul Montenegro - che il 21 maggio va alle urne per il referendum sull'indipendenza - l'ombra di Milosevic pesa già come un macigno. Perché il Paese, che con la Serbia forma attualmente la Repubblica Federale di Jugoslavia, è chiamato, ancora una volta, a decidere sul suo futuro: sulla totale e irrevocabile sovranità di Podgorica o sulla tradizionale appartenenza al centro belgradese.
E così se i "Sì" prevarranno con almeno il 55 per cento e la partecipazione al voto sarà di oltre il 50% vorrà dire che il Montenegro divorzierà dalla Serbia. Pertanto la dissoluzione di quella che era un tempo la Jugoslavia unitaria di Tito (e, successivamente, di Milosevic) avrà raggiunto un altro gradino. E risulteranno più che mai profetiche quelle parole di Danilo Kis - lo scrittore di Subotica - "vengo da un mondo scomparso".
A vincere il braccio di forza con Belgrado potrebbero essere, infatti, i due massimi esponenti dell'attuale regime: il presidente Filip Vujanovic e il premier Milo Djukanovic. Si gioca quindi in questi giorni il futuro di una regione-chiave dell'intera area balcanica la quale, dopo essere stata divisa nel 1941 dall'Italia fascista - con l'annessione di una parte all'Albania - entrò nella federazione jugoslava nel 1946 come una delle sue sei repubbliche. Ma quando la federazione si dissolse, costituì nel 1992 - insieme con la Serbia - la nuova Federazione. Poi, nel corso della gravissima crisi segnata dalla guerra civile in Bosnia-Erzegovina (tra il 1992 e il 1995) e dall'intervento militare della Nato (1999), il Montenegro manifestò aperti segni d'insofferenza verso la politica della Serbia e del suo leader Milosevic.

di Luca Mazzucato

l'arresto di saadat Lo show mediatico dell'assedio alla prigione di Gerico è l'ultimo atto della campagna elettorale di Ehud Olmert. La storia si ripete, come spesso accade da queste parti, anche se più di tremila anni sono passati dal biblico assedio di Gerico, quando Giosuè, alla guida del popolo ebraico, rase al suolo le mura della città al magico suono delle trombe e sterminò i suoi abitanti.La massiccia operazione dell'esercito israeliano, concordata con gli alleati inglesi e americani, ha portato all'arresto e alla deportazione in Israele di un numero imprecisato di detenuti palestinesi e in particolare del leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e neoeletto deputato del Parlamento Palestinese, Ahmed Saadat. Costui è ritenuto l'organizzatore dell'omicidio di Rehavam Zee'vi, ministro del Turismo e leader dell'estrema destra israeliana, avvenuto nel 2000. Saadat si trovava nel penitenziario di Gerico dal 2002, fino a oggi sotto la sorveglianza degli ispettori anglo-americani. Questi ultimi hanno deciso senza preavviso di lasciare la prigione martedì mattina in una staffetta con l'artiglieria pesante israeliana e i suoi bulldozer che hanno raso al suolo la prigione, costringendo i detenuti a consegnarsi alle forze di occupazione dopo ore di trattative.


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