di Fabrizio Casari

La data in calce è quella del 1° maggio, festa dei lavoratori. E' apposta sul "Decreto supremo 28701 - Eroi del Chaco", che a loro volta sono numero e nome del Decreto presidenziale a firma del Presidente Evo Morales, con il quale la Bolivia torna ad essere proprietaria delle sue ricchezze.
Il decreto presidenziale, infatti, firmato ai piedi del pozzo di San Alberto, nel municipio di Carapaci, regione di Tarija, nazionalizza gli idrocarburi boliviani, ponendo fine al reiterato saccheggio perpetrato dalle multinazionali straniere con la complicità dei governi liberisti succedutisi negli ultimi decenni.
Le forze armate boliviane e la polizia nazionale, in alcuni dei siti accompagnati da manifestazioni spontanee della popolazione, hanno immediatamente occupato i cinquantadue pozzi d'idrocarburi sparsi per il paese, che d'un tratto sono divenuti proprietà dello Stato e saranno sottoposti all'amministrazione della società Giacimenti Petroliferi Boliviani (YPFB), che deciderà prezzi, volume, industrializzazione e commercializzazione degli idrocarburi, cioè petrolio, gas e derivati.

di Fabrizio Casari

Un'alleanza a tre. Fidel Castro, Hugo Chavez, Evo Morales. Tre Paesi come Cuba, Venezuela e Bolivia che sono rappresentati da tre personaggi che incarnano tre generazioni di rivoluzionari.
Da sabato scorso infatti, la Bolivia di Evo si è associata con Cuba e Venezuela nell'ALBA (Alternativa Bolivariana de las Americas), alternativa popolare, di metodo e sostanza, d'indirizzo e scopi, all'Alca, rappresentazione evidente della volontà di controllo delle economie latinoamericane da Washington, che gli Stati Uniti hanno tentato d'imporre al continente. L'adesione della Bolivia arriva ad un anno esatto dalla fondazione dell'Alba e ha visto l'aspetto formale dell'adesione del paese andino nella firma del Trattato Commerciale dei Popoli (Tratado Comercial de los Pueblos), scelta dalla Bolivia come alternativa netta al TLC (Tratado de Libre Comercio), versione bilaterale e bonsai della ormai sepolta Alca.

di Nardino Cosmai

Qualcuno un giorno o l'altro dovrà riferire a Deborah Fait che i "nazirossi", come li definisce lei su Informazionecorretta, gli imbecilli come invece li definisco io, quelli che il 25 aprile al corteo di Milano hanno contestato la presenza dello striscione che ricorda la gloriosa Brigata Ebraica, non sono il centrosinistra.
Quei gruppi - che anche se non sono molti sono però evidenti e rumorosi - bruciando la bandiera di Israele credono di aiutare il popolo palestinese: ebbene è giusto far sapere a Deborah Fait che non sono la maggioranza del centrosinistra. Anzi, se è corretto affermare che appartiene al centrosinistra chi vota per quel gruppo di partiti che lo formano, allora si può dire che parte di quei gruppi hanno scelto di collocarsi fuori dalle regole civili. Affermazione in apparenza elementare ma necessario ribadirla, perché serve ad evitare confusione e falsità.

di Bianca Cerri

Dal 26 aprile scorso mancheranno esattamente mille giorni alla conclusione del secondo mandato di George Bush e, mentre molti si domandano se lasciarli passare o accelerare i tempi, alla Casa Bianca sono iniziate le grandi pulizie di primavera, cui seguiranno esperimenti per la formazione di un corpo politico esperto in mistificazioni quanto quello attuale. Si è dimesso il portavoce, Scott McClennan, che prima di andarsene ha dichiarato che continuerà a svolgere il proprio incarico con l'impegno di sempre fino alla nomina ufficiale di un sostituto. Il che non esclude che McClennan intenda fare l'ingresso in politica entrando dalla porta principale, grazie all'aiuto della mamma Karen, candidata alla carica di governatore del Texas, alla quale è molto attaccato. Il 38enne ex-portavoce di George Bush ha già lasciato intendere che tornerà quanto prima in Texas proprio per starle accanto, a meno che l'assegnazione di un nuovo incarico non preveda la sua presenza a Washington.

di mazzetta

La primavera porta la guerra. Succede in Afghanistan e in Pakistan, dove i Talebani stanno mettendo a rischio i governi dei due paesi; succede alle porte d'Europa, dove il tradizionale aumento dell'attività della resistenza curda diventa il pretesto per un'azione militare che vede impiegati turchi ed iraniani contro i curdi.
Il gigante turco si sta muovendo, e pare intenzionato ad entrare in forze nel Kurdistan iracheno, dove per ora mantiene solo 2000 uomini. Le manovre non sembrano animare la diplomazia internazionale, che guarda con disinteresse a una faccenda gestita in intimità tra Turchia, Iran e Stati Uniti.
L'escalation trae origine dall'attivismo, non solo politico, dell'esercito turco e pone all'Europa grossi problemi e grossi dubbi, in particolare sul tasso di democraticità di un paese che appare alla mercé della sua casta militare. La fuga in avanti dell'esercito turco è cominciata l'anno scorso, quando furono catturati due membri dell'esercito che avevano appena compiuto un attentato dinamitardo contro una libreria curda di Semdinli. La folla che catturò gli attentatori fu anche mitragliata da una vettura di complici: anche quell'auto apparteneva all'esercito turco.


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