di Alessandro Iacuelli

Nel pomeriggio del 27 ottobre 2005, a Clichy-sous-Bois, nella periferia parigina, due giovani, Bouna Traoré, 15 anni, e Zyed Benna, 17 anni, morirono fulminati nella cabina elettrica in cui si erano introdotti scavalcando una rete metallica. Un terzo, Muhittin Altun, 17 anni, sopravvissuto con gravi ferite, raccontò di essersi nascosto con i compagni nel trasformatore della centralina elettrica per sfuggire ai poliziotti dai quali pensava di essere inseguito. La reazione poco felice del ministro dell'Interno francese, che dichiarò “quella gente è feccia”, scatenò la rivolta, con centinaia di automobili incendiate, violenze, devastazioni e migliaia di arresti. Due notti fa una decina di uomini a volto coperto ed armati hanno attaccato un autobus a Bagnolet, nel dipartimento Seine-Saint-Denis, a nord di Parigi. Hanno fatto scendere i passeggeri e gli hanno dato fuoco. Hanno fatto scendere i passeggeri e gli hanno dato fuoco. Un incidente simile è avvenuto anche a Nanterre, ad ovest della capitale francese, dove un altro gruppo di persone con il volto coperto ha dato fuoco ad un autobus senza ferire nessuno. Associazioni di quartiere e polizia temono che siano segnali per una ripresa delle violenze in occasione dell'anniversario dei morti dell’anno scorso.

Forse la realtà è diversa e non sta nel pericolo di altre sommosse in occasione di un anniversario. Il fatto é in un anno nulla è cambiato, se non la pianificazione del ministro dell’Interno della propria carriera politica futura, visto che punta decisamente alle elezioni presidenziali. E la gente di quei quartieri continua ad essere considerata “feccia”, ad essere definita “canaglie”.
Ad essere sinceri, per trovare traccia dell’esistenza di questa “feccia” è stato necessario andare a scavare a fondo, nei meandri delle banlieues, nei tre giorni trascorsi a Clichy-sous-Bois durante la rivolta. Questa “feccia”, altrimenti invisibile, altro non è che il portato del modello francese di integrazione degli immigrati, che sulla carta immigrati non sono, essendo francesi da quattro generazioni, discendenti degli abitanti delle ex colonie del nord Africa.
Girando per il quartiere da cui è partita la rivolta, si nota che hanno parchi pubblici, aiuole curate, scuole, negozi. Le banlieues non appaiono degradate come spesso ci è stato descritto. Appaiono molto più vittime del degrado certe periferie di Napoli, Roma e Milano. L'Ile de France invece è tutto sommato vivibile, con il particolare che tutto ciò che serve è presente nel quartiere, per scoraggiare l'idea di spostarsi, di uscire dalla banlieue. Proprio per evitare che escano dal quartiere, per impedire la contaminazione tra disagio e lusso, molte linee di mezzi pubblici terminano alle 16.00, in modo da rendere difficile spostarsi, uscire dal ghetto.

Certo, le banlieus non sono il centro di Parigi, ma si tratta di centri urbani dignitosi e le persone che ci vivono sono straordinariamente “normali”. Di sicuro non è una comunità aperta. Riservati, omertosi se si vuole, chiusi nel loro spaccato, tendono a non parlare con gli sconosciuti. L’unica volta in cui qualcuno mi ha rivolto la parola è stato perchè hanno temuto fossimo agenti di polizia. Analisi ingenua la loro, dettata probabilmente dalla sorpresa di trovare due facce nuove, le uniche due con la pelle bianca, nel quartiere. In realtà sono circondati da poliziotti, ma tutti in borghese e rigorosamente di colore. Quando si allontanano di pochi chilometri, vengono subito fermati, controllati, perquisiti, insultati. Non è colpa della polizia in questo caso. Il problema è politico: vengono mandati appositamente in quei luoghi poliziotti non formati al dialogo, ma solo alla repressione, che sono ancora più giovani e impauriti, incapaci infine.

E basta effettivamente allontanarsi di pochi chilometri, per essere fermati e controllati, perchè poco più in là c'è La Raincy, quartiere di villette a schiera monofamiliari o al massimo bifamiliari, tutte rigorosamente a due piani, con giardino. Fuori, Mercedes o BMW parcheggiate in bella mostra.
Lo “stacco” anche panoramico tra La Raincy e Clichy-sous-Bois è netto. Da una fermata d'autobus alla successiva, cambia il paesaggio di colpo: le villette a schiera terminano improvvisamente, iniziano i blocchi di cemento da 16 piani.
Gli appartamenti sono vivibili, ma sono stati progettati per nuclei familiari di 4 persone e poi assegnati a famiglie di 7 o 8 persone

Per quanto riguarda il modello di integrazione francese, c’è da dire che i manifestanti di un anno fa non erano affatto tutti adolescenti con voglia di violenza: tra gli arrestati figurano anche ultraventenni diplomati, alla ricerca di un lavoro. Inutilmente. Perché il lavoro, quando c’è, non è per loro, i “beurs”, termine dispregiativo con il quale i parigini indicano gli abitanti della sconfinata periferia.
La Francia antirazzista non ha saputo proporre altro che assunzioni basate su curriculum anonimi, perchè nessuno assume chi ha il cognome africano, anche se è nato in Francia da genitori altrettanto nati in Francia, cittadino francese con diritto di voto. Ai ragazzi delle banlieues, questa storia dei curriculum anonimi piace, perchè la vedono come possibilità di trovare lavoro, di scommettersi il futuro.
A noi italiani questa idea appare invece umiliante. Sarebbe non umiliante il poter essere scelto per le proprie capacità, indipendentemente dall'origine del cognome.
Il segnale chiaro che emerge dal disagio delle banlieus è il fallimento di un modello d’integrazione, che pretende da un lato la “francesizzazione” forzata dei discendenti di popoli colonizzati, ma che dall'altro produce cittadini con diritti di serie B, provocando una ghettizzazione che, secondo alcuni ragazzi di Clichy, è già la soglia dell'apartheid.

La strada istituzionale per far valere i propri diritti non è fallita: semplicemente, non è mai decollata. Sono rassegnati e costretti a subire un regime di apartheid mascherato da democrazia.
Per questo, non c’è da temere una ripresa delle violenze per l’anniversario della morte dei ragazzi di Cliché: sono decenni che scoppiano rivolte nelle banlieues, per tutti i motivi finora descritti. E se la rivolta di un anno fa venne etichettata come “la più intensa dalla metà degli anni '80”, è solo in base alla contabilità dei danni a persone e cose. Ma venti anni fa ci furono danni persino maggiori.
Il disagio ha già in sé il futuro che lo fa crescere. Quello che non hanno i giovani delle banlieus.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy