di Liliana Adamo

Un cronista del "Guardian" ha voluto rintracciare i sopravvissuti di Chernobyl. Se da vent'anni a questa parte i dati del disastro sembrano interamente registrati e metabolizzati nella cognizione comune, il resoconto circostanziato di chi è scampato, emerge ancora come materia viva.
Adam Higginbotham ha cercato il pilota dell'elicottero che per mesi ha continuato a volare nella cenere radioattiva sopra il reattore numero 4, il tecnico che ha visto incenerirsi all'istante i suoi colleghi senza poter fare nulla, la famiglia costretta ad abbandonare la propria casa con un avviso d'evacuazione di appena 40 minuti…
Dal 26 aprile 1986, alle ore 1.23, dal momento in cui una serie d'esplosioni ha distrutto il reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl (con cinquanta tonnellate di combustibile d'uranio sprigionato), la città di Pripyat, in Ucraina, regione dell'ex Repubblica Sovietica, detiene il triste primato della città più radioattiva della terra.
Si entra nella zona d'esclusione a trenta chilometri dalla vecchia centrale e il mondo pare essersi fermato, ripudiato da tutti i suoi abitanti. Le cose inerti lasciate lì dalla fuga istantanea sembrano ossidate da tempo immemorabile, reliquie angoscianti che non rompono il silenzio, codificano soltanto ciò che è avvenuto: un vetro frantumato, cumuli di neve depositata sulla piattaforma scorrevole che nessuno guida più, le lancette dell'orologio della piscina comunale ferme alle ore dodici e sei minuti. Una spaventosa città vuota ha accolto il cronista inglese intanto che si alternavano i flashback del passato.

di Carlo Benedetti

Il tempo della "atomnaja stanzija" di Chernobyl non si è fermato. E così il cronista che ha vissuto i giorni della catastrofe va a rileggere il diario dell'epoca per tornare a riflettere su quella che era stata una catastrofe annunciata. Proprio perché quanto avvenne all'una di notte del 26 aprile 1986, in uno sconosciuto villaggio dell'Ucraina sovietica, era già stato narrato, con tremenda e diabolica forza anticipatrice, da un fine artista come il regista Andreij Tarkovskij il quale, con il film "Stalker", aveva descritto una catastrofe epocale che aveva isolato dal mondo un'intera regione. Allora si parlò del film come di un viaggio spirituale di conoscenza in un panorama di fantascienza. E tutto fu incasellato nella cineteca delle opere da non dimenticare. Ma proprio nel giorno dell'apocalisse nucleare nessuno ricordò l'ammonimento di Tarkovskij. Perché in quella notte le "autorità" dell'Ucraina sovietica tennero nascosta la notizia a tutti. Alla gente del posto che aveva, forse, sentito il "botto" fu detto che si era trattato di un semplice incidente e che, comunque, ogni cosa era sotto controllo. Cominciava, invece, proprio in quei momenti il tempo di Chernobyl. Con la vicenda che fu nascosta anche dalle fonti più autorevoli del Cremlino, a partire da Gorbaciov. Nessuna notizia, nessun allarme. Furono solo alcune emittenti occidentali che, dal nord Europa, lanciarono un primo allarme. Ma nell'Urss ufficiale non si credette a niente.

di Cinzia Frassi

Dalla due giorni sulla crisi nucleare iraniana tenutasi a Mosca martedì e mercoledì scorsi, emerge chiaramente che la situazione è in una fase di stallo. A pochi giorni dal 28 aprile, data indicata nell'ultimatum all'interruzione immediata di ogni attività di arricchimento dell'uranio all'Iran da parte del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, le posizioni che si fronteggiavano all'inizio sono le stesse di oggi. Dopo l'affondo degli Stati Uniti, che esortavano i 5 paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza a chiedere una risoluzione sulla base del capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite qualora Theran non avesse onorato l'ultimatum, incalzando sulla necessità di un intervento con l'uso della forza, la sensazione è che gli Usa siano piuttosto isolati.
Restano pressoché invariate le risposte da Teheran che evidenziano anche le difficoltà per gli Stati Uniti nel trovare il consenso di Russia e Cina. Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano da Mosca, lo dichiara serenamente: "Le minacce contro l'Iran sono il segno della frustrazione di Washington che non ha trovato consenso".

di Luca Mazzucato

Il dopo elezioni sulle due sponde della Green Line si sta dimostrando pieno di insidie per entrambi gli attori della guerra mediorientale, ognuno alle prese innanzitutto con la gestione del potere istituzionale. Dalla parte israeliana, mentre il progetto di ritiro unilaterale di Olmert sembra ormai dato per assodato, Kadima e Labor si stanno logorando sulla richiesta di innalzare il salario minimo. Sul versante palestinese, al contrario, è in corso una lotta senza quartiere fra Fatah e Hamas per il controllo del territorio e delle forze di polizia. Diamo uno sguardo a quello che succede nella Striscia di Gaza. Dal ritiro israeliano in Settembre, lo stato di anarchia e violenza si è consolidato di mese in mese: le varie fazioni della polizia palestinese agiscono come veri e propri clan che si contendono il controllo del territorio "manu militari", Fatah contro Hamas. Il più importante test per il neoproclamato governo di Hamas è riportare la calma nella Striscia. Il metodo più efficace consiste nell'arruolare attivamente tra le forze governative i vari capi fazione, in modo che tutti i gruppi armati passino sotto il controllo del governo.

di Carlo Benedetti

Robert Loftis Era considerata come un paese-appendice della vecchia Urss ma balzò all'attenzione delle diplomazie occidentali nel 1977, quando si parlò di una sua eventuale annessione a Mosca. Sempre fedele alla politica del Cremlino e schierata in prima fila (sino al 1991) nell'organizzazione militare di quello che si chiamava "Patto di Varsavia". Ma, crollata l'Unione Sovietica e disciolto il "campo socialista", è proprio la Bulgaria a divenire ora la vera mosca cocchiera della nuova politica di penetrazione americana all'Est. Arriva, infatti, a Sofia, l'emissario del presidente Bush, Robert Loftis, con il compito di organizzare - politicamente, diplomaticamente e militarmente - la dislocazione delle basi militari Usa sul territorio della Bulgaria. Non solo: ma tra il 27 e 28 aprile è convocato proprio a Sofia un incontro dei ministri degli Esteri dei Paesi della Nato. Tutti pronti ad affrontare la preparazione del summit dell'Alleanza a Riga, previsto per novembre prossimo. Ecco, quindi, che per la prima volta la Bulgaria ospiterà un vertice d'importanza globale dopo la sua adesione avvenuta nell'aprile del 2004. Le delegazioni attese nella capitale saranno 39 e quella americana sarà guidata dal Segretario di Stato Condoleezza Rice. Toccherà, infatti, a lei firmare con la controparte bulgara un accordo decennale per la dislocazione sul territorio nazionale di tre basi militari americane.


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