di Carlo Benedetti


Ignoriamo le gaffes berlusconiane, mettiamo da parte le passerelle da varietà anni ’50, lasciamo ai diplomatici il giudizio su quanto avvenuto nel teatrino di Villa Certosa nella Costa Smeralda, stendiamo un velo sulla “mitragliata” del nostro Cavaliere in direzione della giornalista russa Natalia Melikova, della Nezavisimaya Gazeta, che ha trovato la forza per chiedere al suo Putin notizie in merito alle (eventuali) storie d’amore con la affascinante campionessa di ginnastica artistica (ora onorevole alla Duma) Alina Kabaeva. Entriamo, invece, nella politica e nei rapporti bilaterali Russia-Italia. Cominciamo con Putin. Il personaggio ha lasciato alle spalle la presidenza e si sente già (senza che nessuno lo abbia eletto) premier di una Russia completamente assoggettata al volere del Cremlino. E così comincia la sua nuova campagna acquisti con l’obiettivo di realizzare un impero di tipo nuovo, tutto economico. Pensa infatti - e non da ora - al ruolo che dovrà avere quella piovra industriale e commerciale che si chiama “Gazprom” e che si sta estendendo in ogni continente.

di Elena Ferrara

Uno scrittore che denunciava le gesta della malavita locale eliminato a colpi di pistola, un boss dell’industria nucleare implicato in grandi affari internazionali, un ministro dell’Interno che si dimette mentre la magistratura l’accusa di collusione con la criminalità organizzata, un “uomo d’affari” che nuota nel mare della mafia locale aiutato da banche e banditi… E’, in sintesi, il teatro di una Bulgaria che in questi giorni vede riemergere con forza e con sempre maggiore prepotenza la sua mafia mentre si alza lo scontro a livello politico. E l’allarme scatta non solo nel vertice di Sofia, ma anche negli ambienti comunitari di Bruxelles, che chiedono ai bulgari di adottare misure immediate per combattere la criminalità, condizione che era stata posta come essenziale all'ingresso nell'Ue nel 2007. Ma la Bulgaria non è riuscita a rispettare le regole proprio per il fatto che il sistema era corrotto all’inizio e che, col passare del tempo, si è andato sempre più caratterizzando per i suoi rapporti mafiosi. Ed ecco l’escalation delle ultime ore che aggiunge nuovi e drammatici dati alle statistiche ufficiali.

di Mariavittoria Orsolato

ASUNCION. La campagna elettorale paraguayana è ormai agli sgoccioli. Domenica si aprono i seggi e il “candidado de Dios” - così lo chiamano i suoi sostenitori - Fernando Lugo naviga a vele spiegate verso una vittoria annunciata, con il 45% delle preferenze praticamente assicurate, stando a quanto affermano i sondaggi delle ultime ore. Esistono però diversi ostacoli nella corsa dell’ex monsignore verso l’algido Palacio Lopez, primo fra tutti il pericolo brogli. In questi giorni i maggiori quotidiani del Paese hanno pubblicato la lista dei 12 metodi per falsare i risultati della consultazione popolare, mettendo in guardia i cittadini sull’eventualità di comportamenti anomali nei seggi. E mentre il Governo non acconsente a rendere pubbliche le liste mortuarie della nazione, i sospetti su quella che sarà la modalità più utilizzata per dirottare i voti si trasformano in certezze. Secondo un’inchiesta del quotidiano ABC, la prossima domenica andranno a votare reduci della guerra del Chaco (1932-1937), nonnine ultracentenarie e svariati ragazzi del ’99, da intendersi come 1899.

di Eugenio Roscini Vitali

Gli scontri che insanguinano le strade di Lhasa, le proteste inscenate dalla gente dell’altopiano e la repressione messa in atto dalle autorità cinesi sono i principali ingredienti di uno scontro culturale che risale a tempi antichi, che si è sviluppato, modificato ed è cresciuto nell’era moderna e che è definitivamente esploso dopo l’invasione cinese del 1950, quando le truppe della neonata Repubblica Popolare occupano parte del Tibet e danno inizio ad un lungo periodo di repressione fatto di stragi, annientamento delle istituzioni politiche, culturali e religiose e che si è poi trasformato in una vera e propria colonizzazione demografica. Le tensioni fra India e Cina, l’importanza strategica della regione e la necessità di far divergere il malcontento derivante dalla rigida applicazione delle teorie rivoluzionarie inducono Pechino a prendere il possesso di un territorio sul quale non aveva mai avuto un controllo assoluto, nel quale i simboli religiosi sono spesso diventati emblemi di indipendenza, di status e di sovranità.

di Valentina Laviola

Si è riunita a Pucallpa sabato 12 e domenica 13 aprile la “Cumbre de los Pueblos Amazonicos” in vista del Vertice Unione Europea - America Latina e Caraibi del prossimo maggio. È l’ultimo di una serie di appuntamenti che hanno già toccato il sud, Arequipa, nel settembre 2007, poi Puria, a nord, nel dicembre 2007 e Huancayo, nel centro, lo scorso marzo. Tutti appuntamenti tesi a dibattere proposte alternative in difesa dell’Amazzonia e improntate al rispetto dei diritti collettivi dei popoli. Obiettivo principale era quello di creare uno spazio di comunicazione tra società civile e Stati per ottenere il consenso alle politiche pubbliche; il programma prevedeva, inoltre, l’analisi della situazione amazzonica all’interno del contesto latino-americano e la discussione di uno sviluppo sostenibile che si rivelasse responsabile non solo in senso sociale, ma anche ambientale.


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