di Fidel Castro Ruz

Venerdì 15 avevo promesso che nella mia prossima riflessione avrei abbordato un tema di grande interesse per molti compatrioti. Questa riflessione ha anche forma di messaggio. È giunto il momento di postulare e di eleggere il Consiglio di Stato, il Presidente, i vicepresidenti e il segretario. Ho sostenuto questo onorevole incarico di presidente per molti anni. Il 15 febbraio del 1976 si approvò la Costituzione socialista, con voto libero diretto e segreto di più del 95% dei cittadini con diritto al voto. La prima Assemblea Nazionale si costituì il 2 dicembre dello stesso anno, quando si elessero il Consiglio di Stato e la sua presidenza. Prima avevo svolto l’incarico di primo ministro per circa 18 anni. Ho sempre disposto di tutte le prerogative necessarie per portare avanti l’opera rivoluzionaria con l’appoggio della stragrande maggioranza del popolo. Conoscendo il mio stato di salute, molti all’estero pensavano che la mia rinuncia all’incarico di presidente del Consiglio di Stato, il 31 luglio del 2006, che posi nella mani del primo vicepresidente, Raúl Castro Ruz, era definitiva.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Il grande gioco balcanico è al capolinea. Le bandiere del cosiddetto mondo libero sventolano a Pristina mentre si scatena l’odio contro i serbi e gli slavi. E per un certo occidente questo è uno spettacolo valido per i media, tra colori e grida, con una musica in sottofondo che ricorda le melodie zigane underground di Goran Bregovic per i film di Emir Kusturica... Ma all’angolo - e precisamente al nord per la precisione geografica - c’è in lista d’attesa un nuovo problema. Quello di Mitrovica serba che, già divisa dai kosovari-albanesi, potrebbe proclamare il suo “strappo” ed uscire, quindi, dal Kosovo albanese-americano. Il nuovo terremoto geopolitico è alle porte e questa volta i grandi del mondo (che hanno benedetto la secessione attuata dai terroristi dell’Uck guidati da Thaci) si troveranno a dover decidere avendo già perso in partenza. E dovendo ammettere che il Kosovo non è solo terra di corvi e monasteri, ma è anche un grosso e complicato puzzle fatto di popoli, religioni, storie, tradizioni...

di Fabrizio Casari

No, non ce n’era nessun bisogno. Di un Kosovo indipendente, con tutto quello che comporta e comporterà, sia dal punto di vista politico sia da quello del diritto internazionale, non c’era bisogno. La dichiarazione d’indipendenza che Pristina ha lanciato come un bastone tra le gambe degli equilibri europei, ottiene infatti il triste risultato di rimettere in campo una concezione esclusivamente etnica della natura giuridica di una entità statale. E’ un obbrobrio dal punto di vista giuridico non minore di quelli che, sulla base della stessa affermazione identitaria di tipo etnico, hanno rappresentato la cornice dentro la quale i Balcani hanno visto la più brutale torsione del diritto internazionale della fine del secolo scorso, con il seguito drammatico di guerra e distruzione che ha incendiato l’Europa dell’Est. Che l’Unione Europea – ma sarebbe più esatto dire una parte del gruppo fondatore della Ue – abbia deciso di accettare, anzi addirittura di fornire valenza giuridica e politica alla secessione kosovara, è un fatto grave e pericoloso.

di Carlo Benedetti

MOSCA. E’ troppo tardi ed ora arrivano solo le lacrime. Si piange, in tutto il mondo slavo, per quanto è avvenuto in questi tempi nel “Kosovo e Metohija, terre dei corvi e dei monasteri ortodossi”. Si piange per le distruzioni sistematiche delle chiese, dei conventi, dei capolavori dell’arte medievale, per gli attacchi alle tradizioni cristiane, per quelle bombe della Nato che hanno seminato terrore e morte, per l’agonia della popolazione serba che è diventata una minoranza da proteggere... Si piange perché sono andate in macerie, sotto i colpi del terrorismo, più di 150 chiese ortodosse... Ora - per i religiosi di Mosca e di tutta la Russia - è il momento della tristezza e del rimpianto. Tristezza per non essere riusciti ad aiutare un popolo fratello e rimpianto per non aver fatto in tempo a salvare un patrimonio di storia comune a tutti. Ora c’è solo da fare il conto dei danni senza sapere a chi presentarlo dal momento che il territorio kosovaro - come mi dicono a Mosca i rappresentanti delle comunità religiose serbe - sta divenendo un deserto sul quale il nuovo potere dei terroristi dell’Uck costruirà il suo impero, il suo stato di occupazione.

di Agnese Licata

Una nuova costituzione entro l’anno. A un mese e mezzo dalle elezioni che hanno portato il Kenya allo scontro etnico, è questo il primo, limitato, risultato ottenuto dalla diplomazia internazionale. Dopo settimane di trattative – guidate con fatica dall’ex presidente Onu Kofi Annan (oggi tra i rappresentanti dell’Unione Africana) – l’annuncio di un accordo tra i due ex candidati alla presidenza, Mwai Kibaki e Raila Odinga, arriva in un momento in cui gli scontri tra kikuyo e luo non sembrano spegnersi. E arriva poco dopo le perentorie (nonché tardive) dichiarazioni di George W. Bush: “Deve esserci uno stop immediato alle violenze”, affiancate dalla decisione di far sedere anche il segretario di Stato Condoleezza Rice al tavolo delle trattative. Se l’iniziativa abbia contribuito a sbloccare i negoziati o sia stato semplicemente un modo per garantire agli Stati Uniti di rientrare in partita, garantendosi un futuro diritto d’ingerenza nel nuovo assetto del Kenya, non è dato saperlo.


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