di Michele Paris

La moratoria de facto delle condanne a morte in atto negli Stati Uniti d’America dallo scorso mese di settembre, quando la Corte Suprema accettò di deliberare in merito al caso “Baze contro Rees” riguardante la presunta incostituzionalità del metodo attualmente in uso nella pratica dell’iniezione letale, potrebbe risolversi in un vero e proprio boomerang per quanti, sia oltreoceano che in Europa, si auguravano che da tale decisione potesse giungere un passo avanti verso la sospensione definitiva della pena capitale anche in quel paese. Almeno questa è l’impressione che si è ricavata dal dibattito che per la prima volta nella storia americana ha visto i membri del Supremo Tribunale USA entrare nel merito di una simile questione. Tra scambi di battute intorno all’efficacia dei veleni da iniettare per via endovenosa e macabre speculazioni sulle sofferenze patite dai condannati durante le esecuzioni, nessuno spazio ha avuto, come si temeva, una seria riflessione sulla (a)moralità della pena di morte in quanto tale. “La decisione della Corte Suprema potrebbe non essere scontata”, ha fatto notare però Brian Evans, membro del Programma di Amnesty International USA per la Campagna contro la pena di morte. “Gli esiti delle recenti deliberazioni dei membri di questa Corte sono sempre stati molto incerti e quella in merito all’iniezione letale potrebbe non rappresentare un’eccezione”.

di Elena Ferrara

Tornano in attività i “blocchi” 3 e 4 della centrale nucleare bulgara di Kosloduy. Ed è subito polemica: gli antinuclearisti scendono in piazza e ricordano quella pagina nera del 6 settembre 2000 quando si registrò una fuoriuscita di materiale radioattivo nella centrale situata sulla riva del Danubio. Da allora la situazione non è cambiata, pur se il governo di Sofia ha fatto sempre riferimento ad un programma di smantellamento dei reattori pericolosi. Tutto questo tenendo conto che quattro dei sei reattori di Kosloduy erano del tipo più vecchio e, secondo il rapporto dell’organizzazione Wenra (Western european nuclear regulators association), non sicuri. E la stessa Wenra (di cui fanno parte Belgio, Francia, Finlandia, Germania, Spagna, Olanda ed Italia) ha più volte messo in evidenza le grandi carenze tecniche che si registrano nell’Est europeo quanto a sicurezza degli impianti nucleari. Per la Bulgaria, ad esempio, si è più volte rilevato che il sistema di regolamentazione della sicurezza nucleare non è in linea con la prassi in vigore nell' Europa occidentale, in quanto non garantisce una sufficiente indipendenza all'autorità di controllo. Problemi anche per la Lituania dove - nella centrale di Ignalina - si dovrebbe elevare il livello di sicurezza.

di Daniele John Angrisani

Come da promesse, è stata una notte elettorale come gli Stati Uniti non vedevano da tempo. Se dal lato repubblicano le cose si sono svolte da copione, con John Mc Cain ormai in volata verso la nomination definitiva, in campo democratico è stato tutto un susseguirsi di colpi di scena, sorprese, assegnazioni di Stati all'uno o all'altro candidato, fino al Big Prize, la California, alla fine vinta, ma non stravinta, da Hillary Clinton. Alla fine di questa lunga notte elettorale è però difficile stabilire un vincitore: se da una parte è vero che nel computo degli Stati conquistati, sembrerebbe che Obama sia in vantaggio di 13 a 8 sulla Clinton (con il New Mexico ancora in bilico al momento in cui scrivo), ma anche che quest'ultima sarebbe riuscita a conquistare quasi tutti gli Stati con il maggior numero di delegati: oltre alla California, New York, New Jersey e soprattutto la grande sorpresa della serata, ovvero il Massachussetts dei Kennedy che neanche poche settimane fa avevano dato il loro appoggio a Barack Obama.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Il significato di questo voto serbo - che ha visto la vittoria ai punti di Boris Tadic su Tomislav Nikolic - non può restare entro i confini della giurisdizione belgradese. Perché da questo momento, con l’ufficializzazione dei risultati, si ripresentano - di riflesso - problemi di geopolitica che coinvolgono sempre più l’intera Europa e gli Usa evidenziando, allo stesso tempo, il ruolo strategico di una terra ora definita come “Ex Jugoslavia” che si caratterizza con nuovi ed imprevedibili segnali contraddittori. Ed è in questo quadro che il referendum di Belgrado va analizzato, nell’ottica di una nuova fase di “guerra fredda” che si va sviluppando nel cuore dei Balcani dove i gomitoli della politica sono sempre più imbrogliati. Il “grande gioco” è complesso e vede varie cancellerie occidentali soffiare sul fuoco delle tensioni locali. Con i media che - ispirati dalle centrali d’oltroceano - gettano benzina sull’incendio che già sconvolge Belgrado e Pristina. Ma vediamo cosa è avvenuto con queste elezioni presidenziali che hanno segnato la vita politica e diplomatica delle ultime settimane. Con Mosca che ha seguito i due candidati cercando di non cadere (almeno a livello ufficiale) nella trappola degli appoggi multilaterali.

di Daniele John Angrisani

E' finalmente arrivato il giorno del giudizio negli Stati Uniti: in questo fatidico Supermartedì si vota infatti per ben 22 Stati per le primarie democratiche ed in 20 Stati per quelle repubblicane. Tra coloro che sono chiamati al voto per entrambe le primarie vi sono i cittadini della California, dello Stato di New York, dell'Illinois, del Missouri e di altri Stati minori. Il totale dei delegati in gioco è di circa 1.100 per i repubblicani, vale a dire pressochè la cifra che serve per assicurarsi la nomination. Considerando che il meccanismo di computo dei delegati per la Convention repubblicana è per gran parte basato sulla regola "il vincitore prende tutto" per distretto o per Stato, da molti il “Supermartedì” viene considerato come il giorno cruciale per l'aggiudicazione della nomination repubblicana. I sondaggi, dopo il rovinoso ritiro dalla corsa presidenziale di Rudolf Giuliani, beffato dalla sua stessa strategia elettorale, e le dichiarazioni di supporto da parte dei principali leader repubblicani come il governatore della California Arnold Scharzenegger, mostrano in netto vantaggio John Mc Cain, il quale si dice, da par suo, sicuro di ottenere la quasi matematica certezza della nomination con le votazioni odierne.


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