di Raffaele Matteotti

In Ciad c'è un dittatore vecchio e segnato dall'etilismo. Passa più tempo nelle cliniche parigine che a governare il paese. Nonostante questo vuole fermamente continuare a governalo, giungendo a modificare la Costituzione per restare al potere. L'opposizione, stanca e repressa, tentò i tutto per tutto un paio d'anni fa, l'intervento dei militari francesi fermò i ribelli che stavano marciando sulla capitale. Lo stesso avvenne nella vicina Repubblica Centrafricana dove comanda un altro dittatore, assiso al potere pochi anni fa dall'esercito del Ciad assistito dai francesi. Nei due paesi è stata grande l'ira dei dittatori: abbandonati dalla gran parte delle forze armate, hanno arruolato bambini e banditi e praticato la pulizia etnica contro intere regioni accusate di sostenere i ribelli. Così in Ciad centinaia di migliaia di persone in fuga hanno popolato nuovi campi per profughi, aggiungendosi ai già numerosi provenienti dal Darfur. Ora in Ciad ci sono molti più profughi interni e centroafricani di quanto non siano quelli del Darfur, ma per fortuna sta per partire una missione europea per assisterli. O no?

di Giuseppe Zaccagni

A Pristina il Pdk - il Partito democratico del primo ministro, il terrorista Hashim Thaci dell’Uck - prende il potere e dichiara il Kosovo terra sovrana, staccata dalla Serbia. Nasce nel cuore dell’Europa - nel clima di una retorica nazionalpopolare - uno stato fantoccio filiale dell’Albania, benedetto e sponsorizzato dall’America di Bush mentre varie diplomazie internazionali manifestano inquietudine per questa manovra che - usando ogni mezzo di ricatto e pressione - destabilizza la geopolitica mondiale. Pronta e decisa - come sempre - la reazione dei serbi che, praticamente, scendono sul piede di guerra, con dichiarazioni e forme dirette di protesta. Non si accetta il “distacco” dalla madre-patria e si ricorda al mondo che dal luglio 2006 il Kosovo è tenuto sotto occupazione delle truppe della Nato con una azione che, di fatto, è stata una vera guerra “contro” la Serbia con l’obiettivo di far cadere Milosevic e al fine di installare - politicamente e militarmente - l’Alleanza e gli americani nel territorio ex yugoslavo. Ed ecco che in queste ore il governo serbo approva l' “annullamento'' della dichiarazione unilaterale d'indipendenza preannunciata dalla provincia a maggioranza albanese. Considera illegale ogni azione che contribuirà a rompere l’equilibrio geo-politico del territorio. E questo atto, largamente preannunciato, è destinato a cancellare - dal punto di vista serbo - tutti gli effetti della secessione perché Belgrado non intende riconoscere lo “strappo” di Pristina.

di Carlo Benedetti

Il dado è tratto. Putin, violando lo status costituzionale di Presidente di tutti i russi, si affaccia alla tv a reti unificate (quelle governative del primo e secondo canale) e parla su tutto e di tutto prima di lasciare la guida del Cremlino al successore che ha già incoronato. Traccia un bilancio dei suoi 8 anni di direzione e detta la linea: ''La Nato si sta espandendo, non dobbiamo accettare la sfida''. Quindi - mostrando i muscoli - attacca gli sforzi "illegali e immorali" che le potenze straniere mettono in atto entrando nella politica interna e nelle elezioni di una Russia sovrana. Ed eccolo questo presidente uscente che nella sala del Cremlino convoca la stampa nazionale e internazionale (1300 giornalisti) e invita anche i diplomatici stranieri. E subito coglie l’occasione per dire a chiare lettere: “Medvedev è un mio caro amico, lo conosco da tempo, da oltre diciassette anni, lo stimo, è il mio candidato e se mi sarà data la possibilità sarò anche disposto, in futuro, a mettermi al suo fianco, come primo ministro”. E così la campagna elettorale - che non è mai stata aperta - si ritrova ad essere chiusa una volta per sempre con Putin che socchiude il suo mandato in attesa della cerimonia del 2 marzo, ma conservando in tasca le chiavi del Cremlino perchè si è già garantito il sostegno dei gradini inferiori nella scala del potere.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Il clima che ti attende quando sbarchi all’aeroporto di Sceremetievo è quello tradizionale. Fa freddo. La neve si confonde con il grigio dei boschi. Le strade sono invase dalle auto e dai camion. I cartelloni pubblicitari sono quelli sgargianti di Mc Donalds, della Ford, dell’Ikea, della Lancome, di Armani e Versace... Non c’è aria di elezioni. Eppure le presidenziali sono alle porte, con Putin che lascia il palazzo avendo già affittato le stanze al suo amico Medvedev. I giochi, quindi, sono fatti, tanto che si parla di un ritorno al passato: quando il Pcus di Breznev celebrava in anticipo la giornata elettorale come una vittoria del Partito. E comunque sia questa Russia entra nel vivo di una nuova sceneggiata.

di Carlo Benedetti


MOSCA. Prima il totovoto tra i serbi Tadic e Nikolic ed ora questo sulle presidenziali d’oltreoceano. Russi divisi tra la signora Clinton e l’avvocato Barack Obama. Si parla delle posizioni raggiunte in New Hampshire e nel Wyoming, a Denver nel Colorado, a Minneapolis nel Minnesota. Ci si riferisce al Nobel Al Gore, al reverendo Sharpton, a George Pataki, a Mike Bloomberg... E tutto come se a votare si dovesse andare da Kaliningrad alla Ciukotka, da Mosca a Vladivostock. Si sa che non è così perchè le elezioni sono tutte americane e che quelle della Russia portano altri nomi. Solo quattro per la verità: il vincitore designato Medvedev (42 anni), il comunista Zjuganov (63 anni) in seconda posizione e i terzi - a pari merito - il populista Girinosvskij (61 anni) e il servitore del Cremlino Bogdanov (38 anni). Ma il rumore elettorale per le presidenziali locali - fissate per il 2 marzo - è solo concentrato nei media. A livello popolare non c’è alcun dibattito, non c’è tensione politica, non si nota nessun salto nel futuro. Domina quella cappa di piombo che era tipica degli anni sovietici. Con le elezioni come cerimonia. Un rito da compiere per mandare al Soviet Supremo personaggi che avevano già in tasca la dote del 90% ed oltre di voti. Quindi nessuna scelta, ma solo una investitura. Tanto che nei seggi elettorali si andava solo perchè in vendita c’erano scatole di caviale e cioccolatini di tutto rispetto. Prodotti, ovviamente, introvabili nei normali negozi.


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