di Eugenio Roscini Vitali

Fino ad oggi in Darfur il conflitto ha colpito quattro milioni di civili di cui un milione e ottocentomila di età inferiore ai 18 anni; i profughi sono due milioni e trecentomila, la metà dei quali non sono ancora ragazzi. Tra loro c’è chi lo scorso febbraio ha compiuto cinque anni, figli di un conflitto brutale quanto assurdo, nati e vissuti senza mai aver conosciuto la pace e con pochissime speranze di sopravvivere alla guerra. Negli ultimi due anni i combattimenti hanno provocato 120 mila nuovi “giovani” esuli; nello scorso febbraio gli attacchi messi in atto dai Janjawid, le milizie arabe sostenute dal governo di Khartoum, hanno causato 800 nuovi profughi la cui età varia tra i 12 e i 18 anni. Per la comunità internazionale aprile segna anche un quinquennio di insuccessi, la fallimentare risposta all’escalation di una crisi troppo spesso dimenticata, dove gli scontri etnico-culturali e la politica di arabizzazione di un regime senza scrupoli si sposano perfettamente con gli interessi legati al petrolio e al commercio delle armi.

di Mariavittoria Orsolato


ASUNCION Tutto è andato come doveva andare. La tornata elettorale conclusasi domenica pomeriggio alle 16, ha proclamato la vittoria indiscussa di Fernando Lugo, 56 anni ed ex vescovo della poverissima diocesi di San Pedro, e della sua “Alianza Patriotica para el Cambio”, miscellanea di partiti e movimenti della sinistra e del centro-sinistra paraguayani. Con il 40,8% delle preferenze, circa 705.000 voti, il “candidado de Dios” ha conquistato la presidenza della Repubblica e ha confinato in una clamorosa sconfitta, quantificata nel 30,7% dei voti, il Partito Colorado ovvero l’ombra repubblicana che ha confinato il Paese in un medioevo culturale e politico durato 61 anni. Il miracolo vero e proprio dell’ex monsignore - i cattolici scusino l’affermazione blasfema - è stato però quello di essere riuscito a garantire un cambio nell’amministrazione senza colpi di Stato e soprattuto senza spargimenti di sangue.

di Eena Ferrara

I test atomici - per i quali sono spesi miliardi e miliardi - continuano, mentre i danni provocati dalle alluvioni aumentano di giorno in giorno. Ma il regime nordcoreano di Pyongyang fa finta di niente e cerca di nascondere la vera tragedia. Perché il paese è alla fame. E l’Onu lancia l’allarme: su una popolazione totale di 23 milioni - quella che vive a nord del 38mo parallelo - la fame sta divorando circa 7 milioni di abitanti. Le notizie che arrivano dal regno del silenzio coreano sono impressionanti ed assurde. Il governo locale (che continua a presentare il paese come uno Stato multipartitico guidato secondo l'ideologia politica dello “Juche”, ovvero dell'autosufficienza) non accetta interferenze e insiste negli sprechi propagandistici. Nessuna apertura di credito nei confronti dell’occidente o della vicina Cina. Le statue dei “padri della rivoluzione” continuano ad essere costruite in ogni località e sono sempre più grandi, più alte e realizzate con materiali preziosi.

di Luca Mazzucato

Una riunione in un luogo segreto a Damasco, senza giornalisti e sotto strette misure di sicurezza: l'ex presidente americano Jimmy Carter ha incontrato Khaled Meshal, leader di Hamas in esilio in Siria. I due hanno discusso per cinque ore a porte chiuse di tutti i punti scottanti del conflitto israelo-palestinese: il controllo dei confini di Gaza, il negoziato per la liberazione del soldato rapito Gilad Shalit, la fine dell'embargo che Israele impone da dieci mesi alla Striscia, un cessate-il-fuoco tra Israele e Hamas a Gaza. L'incontro è il culmine del viaggio di Carter, che come un tornado sta attraversando il Medioriente per rompere lo stallo in cui si sono arenate le iniziative diplomatiche. “Non v'è alcun dubbio che, se Israele vorrà raggiungere pace e giustizia nelle relazioni con i vicini Palestinesi, Hamas dovrà essere incluso nel processo.” Con questa dichiarazione d'intenti, Carter ha creato il subbuglio nell'amministrazione americana e nel governo israeliano, la cui strategia di isolare Hamas sembra forse mostrare qualche cedimento.

di Michele Paris

Con 7 voti a favore e 2 contrari, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha confermato la costituzionalità del procedimento utilizzato dallo Stato del Kentucky nella somministrazione dell’iniezione letale per le esecuzioni capitali. Il caso in questione (“Baze contro Rees”) era stato avviato lo scorso anno dai legali di due detenuti nel braccio della morte in Kentucky, Ralph Baze e Thomas C. Bowling, i quali avevano sollevato dubbi circa la conformità all’Ottavo Emendamento della Costituzione, che vieta di infliggere ai condannati punizioni inutilmente crudeli e dolorose, del metodo con cui viene eseguita tale condanna. In attesa del pronunciamento del supremo tribunale americano, negli ultimi mesi si era assistito ad una moratoria di fatto di tutte le condanne a morte, situazione che aveva alimentato le speranze di quanti si auguravano un passo importante verso la definitiva abolizione della pena capitale negli USA. Nonostante il parere dei giudici dia invece il via libera alla ripresa delle esecuzioni, tra le pieghe della sentenza è possibile tuttavia cogliere qualche segnale di speranza.


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