di Elena Ferrara

Le vecchie cronache della guerra fredda - tutte caratterizzate da un impressionante clima di intolleranza - narrano di uno Stalin che, beffardamente, chiedeva ai suoi interlocutori stranieri: “Ma quante divisioni ha il Papa?”. Era un modo per rivelare a tutti che il Cremlino non aveva paura di niente, nemmeno della millenaria storia della Chiesa di Roma. Cambiano i tempi. La domanda non circola più. Ma il Vaticano, egualmente, sfodera ora le cifre del suo arsenale agli ordini del colonnello Elmar Theodor Mäder, comandante del Corpo della Guardia Svizzera Pontificia. E precisamente l’uomo che - sotto la direzione spirituale e monarchica del papa Ratzinger - ha il compito di vigilare su una superficie di appena 0,44 kmq, inserita nel tessuto urbano di Roma, sulla riva destra del Tevere. Eccola l’armata papale con variopinte divise di stile rinascimentale, con gli elmi lucidi, con i pennacchi di struzzo e le suggestive alabarde d'ordinanza. Attualmente, l’esercito conta 118 effettivi. E tra questi ci sono 86 alabardieri, un comandante, un cappellano, un vice comandante, un maggiore, due capitani, un sergente maggiore, cinque sergenti, dieci caporali, dieci vice caporali.

di Carlo Benedetti

Da sessanta anni tra Cina (9.575.388 chilometri quadrati) e Taiwan (35.980 chilometri quadrati) è sempre guerra fredda, guerreggiata. Fatta di ostilità evidenti e nascoste che di volta in volta sconvolgono le teorie geopolitiche asiatiche. Ma i dollari sono dollari. E il gelo politico-diplomatico comincia a conoscere una stagione di mutamenti perché si scopre che tra i due “paesi” - 1.273.111.000 abitanti per la Cina e 23 milioni per Taiwan - il giro d’affari ha già raggiunto i 100 miliardi di dollari. Con Taiwan che risulta sempre più il maggiore investitore estero nella Cina continentale. Ora, tra sorrisi e meditati silenzi, qualcosa si sta muovendo. Da un lato c’è il presidente Hu Jintao che - alla guida della potenza di Pechino - punta sempre più alla accelerazione del processo di riforme economiche e finanziarie; dall’altro c’è il grande capo di Taiwan, Ma Ying-jeou, che si sente forte per il dinamismo economico mostrato dall’isola.

di Giuseppe Zaccagni

Li vediamo arrivare aggrappati a barche che fanno acqua: trovano rifugio ai bordi delle reti che pescano i tonni e sono scene da apocalisse che le nostre televisioni mostrano ogni sera come rubriche fisse. Scene che Frantz Fanon nel suo “I dannati della terra” ha già illustrato quando l’emergenza era solo agli inizi. Allora si parlava di “sogni muscolari” che caratterizzavano i poveri in cerca di vita e si faceva riferimento a quella “aggressività sedimentata nei muscoli” dei diseredati che cercavano di risolvere il problema della fame. Ora le “visioni” di Fanon sono qui nella vita di ogni giorno. Perché ci sono cento milioni gli africani che rischiano oggi di morire di fame o di sprofondare nuovamente nelle terribili condizioni di privazioni a causa della violenta crisi alimentare che sconvolge il pianeta.

di Marco Montemurro

Cambiano gli equilibri energetici in Asia con la storica decisione dell’Indonesia di uscire dall’Opec, l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio. Il greggio nei giacimenti indonesiani non è in quantità sufficiente per essere venduto all’estero e pertanto appartenere al cartello non è più conveniente per l’unico paese asiatico del gruppo. Il volume delle importazioni di petrolio ormai è superiore a quello delle esportazioni e il greggio estratto, quantità che rappresentava solo il 3% della produzione dell’Opec, è in grado di soddisfare solamente il 70% del consumo indonesiano. “Ci concentreremo sulla domanda nazionale di greggio” ha affermato Paskah Suzeta, il ministro per la Pianificazione e lo Sviluppo, che ha spiegato così i motivi della decisione: “Appartenere all’Opec era una spesa troppo costosa”. Nel corso degli anni le risorse petrolifere in Indonesia hanno registrato un continuo calo, processo che ha comportato inesorabili cambiamenti nel commercio di energia nella regione.

di Giuseppe Zaccagni

Nell’arena mondiale ci sono oggi 13 paesi che puntano ad allargare i loro confini basandosi sulla piattaforma continentale. Sono Russia, Brasile, Australia, Irlanda, Francia, Spagna, Inghilterra, Norvegia, Messico, Barbados, Argentina, Cile, Nuova Zelanda. E’ in arrivo, quindi, una nuova rivoluzione destinata a ridisegnare geopoliticamente il mondo e tutto avviene anche per effetto di una convenzione dell’Onu sui diritti del mare. Procediamo con ordine cercando di vedere i motivi che potrebbero provocare tsunami diplomaticamente epocali. L’intera vicenda non è nuova pur se c’è il tentativo di riscoprire il valore di vecchie regole. Ci si potrà riferire così anche allo zar russo - Pietro Il Grande - che aveva come obiettivo quello di conquistare uno sbocco al mare assicurandosi il predominio sul Baltico e sulla regione del Mar Nero.


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