di Mario Braconi

Uno degli indicatori della distanza siderale delle posizioni del New Labour su temi tipicamente cari alla sinistra, quali i diritti civili, è segnato dal tema della possibile estensione della custodia preventiva in carcere a carico di persone sospettate di terrorismo: Brown è convinto che l’attuale termine di detenzione senza incriminazione formale (attualmente fissato a 28 giorni) debba essere esteso fino a 42 giorni. Per farsi un’idea di quali siano gli standard internazionali in materia, è utile rifarsi ad una ricerca comparativa sulle leggi del mondo curata dalla ONG Liberty e recentemente pubblicata dal quotidiano britannico The Guardian: i 28 giorni di detenzione preventiva sembrano già scandalosamente numerosi se si pensa che gli Stati Uniti prevedono un fermo massimo di 48 ore per qualsiasi reato, terrorismo incluso, e che in generale in altri paesi si oscilla tra le 24 ore del Canada e i cinque giorni dell’Irlanda. Ma Brown prosegue per la sua strada, deciso a portare la proposta in Parlamento dove, è praticamente sicuro, andrà incontro ad una umiliante sconfitta: gli si opporranno non solamente diversi Laburisti “ribelli”, ma anche i Liberaldemocratici e perfino i Conservatori.

di Elena Ferrara

Nel gergo i signori della guerra le chiamano “Matrioske” come se fossero un gioco per bambini. Sono le bombe a frammentazione o a grappolo (appunto: cluster bomb) che rilasciano sul terreno centinaia di ordigni minori (mine antiuomo o granate esplosive) che tra il 10 e il 40% non esplodono e restano cariche per anni sul terreno. Gli esperti militari dicono che dopo lo sgancio la bomba ruota a causa dell’aria che passa nelle alette di coda. Progettate per distruggere un’ampia gamma di obiettivi terrestri, possono perforare spessori di 250 mm. dopo che la rotazione provoca l’apertura dell’involucro esterno e il rilascio delle granate. Ognuna delle quali è dotata di un paracadute che assicura un angolo di attacco più preciso. Le “cluster” possono essere lanciate da aerei tattici bombardieri d’alta quota: sono progettate per esplodere in 300 frammenti. Ma la detonazione non può verificarsi se la bomba non colpisce una superficie dura.

di Marco Montemurro

Da giorni proseguono dimostrazioni e assalti contro gli stranieri nei sobborghi delle città in Sud Africa. Il dilagare delle violenze ha causato decine di morti, 42 accertati al 21 Maggio, e migliaia di fuggitivi, oltre 13.000 ha reso noto il 20 Maggio l'Organizzazione internazionale delle migrazioni. L’ondata di proteste è scoppiata l’11 Maggio ad Alexandra, distretto ai margini di Johannesburg, dopo un violento litigio tra bande che ha causato due morti, sudafricani contro un gruppo d’immigrati dallo Zimbabwe. Da quel momento si incomincia a dare sfogo alla rabbia contro gli stranieri, africani provenienti soprattutto dallo Zimbawe, Mozambico, Malawi e Somalia, e la situazione sembra degenerare nei sobborghi delle città.

di Michele Paris

Barack Obama ha compiuto martedì un passo probabilmente decisivo verso la conquista della nomination democratica ottenendo, grazie alla vittoria nelle primarie in Oregon, la maggioranza assoluta dei delegati del proprio partito che alla Convention saranno vincolati alla scelta del candidato da proiettare verso l’Election Day. Un numero di delegati quello conquistato dal Senatore dell’Illinois ormai praticamente insuperabile dalla sua avversaria Hillary Rodham Clinton, la quale ha invece ottenuto una netta vittoria con un margine di 36 punti percentuali in Kentucky, replicando l’affermazione di sette giorni fa in West Virginia (con un vantaggio di 41 punti) e nelle precedenti consultazioni in Stati che presentano una simile composizione sociale dell’elettorato (Ohio, Pennsylvania, Indiana). Ben decisa a rimanere in corsa nonostante la strada a dir poco in salita e le pressioni per un suo abbandono che da più parti stanno arrivando per evitare di danneggiare il Partito in vista delle presidenziali, Hillary sta però inesorabilmente e significativamente scomparendo dai discorsi di un Obama che da un paio di settimane a questa parte pare essere entrato in una nuova fase della propria campagna elettorale nella quale dovrà fronteggiare a sua volta nuove e impegnative sfide.

di Eugenio Roscini Vitali

L’esplosione di violenza che per cinque giorni ha travolto il Libano è solo un’altro capitolo della storia mediorientale, della civiltà post coloniale e del mondo arabo contemporaneo. Il bilancio degli scontri parla di 62 morti e più di 200 feriti, di un Libano profondamente diviso e della disarmante impotenza della comunità internazionale. Per oltre due anni i leader libanesi hanno palesemente trascurato i bisogni di una popolazione spaventata, afflitta e ferita; si sono ignorati ed insultati; si sono accusati vicendevolmente di essere agenti dell’una o dell’altra parte, uomini al servizio dell’Iran o di Israele; hanno fatto di tutto perché il Paese ristagnasse in una permanente condizione di crisi. Quello che ne è uscito fuori è un Libano ingovernabile, schiacciato dagli interessi stranieri, dalla pressione dei media e dall’ingerenza di soggetti pronti a trasformarlo in un vero e proprio terreno di scontro ideologico; come preannuncia il giornalista libanese Omar Hossino, il teatro di una nuova guerra fredda.


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