di Eugenio Roscini Vitali

In Iran le elezioni parlamentari del 14 marzo scorso hanno sancito la vittoria dei conservatori. Un successo annunciato che però non convince e che può fornire diverse chiavi di lettura, non ultima l’immagine di una società piena di contraddizioni, fortemente influenzata dalle pressioni esterne e dalla forte conflittualità interna, divisa tra legittimità popolare e religiosa, tra rivoluzione e riformismo. Ad uscire sconfitti da quest’ultima consultazione sono proprio i sostenitori dell’ex presidente Khatami che, con il 26% delle preferenze, segnano una delle peggiori performance della loro breve storia. Ma alle difficoltà del fronte moderato non corrisponde un trionfo altrettanto limpido della destra radicale e dal grande blocco dei conservatori iraniani; spuntano nuove correnti, nuove fazioni e nuove alleanze che in attesa delle presidenziali del 2009 affilano le armi tra i banchi del nuovo Majlis.

di Bianca Cerri

Il due aprile prossimo conosceremo il nome della vincitrice di Miss Mina Antiuomo 2008, che si svolgerà in Angola. Le dieci partecipanti rappresentano le dieci province del paese africano e ognuna di loro ha perso un arto inferiore proprio a causa di uno degli ordigni antiuomo sparsi nei circa 2800 campi ancora da sminare. Hanno accettato di sfilare nella speranza di aggiudicarsi la protesi messa in palio dagli organizzatori che renderà meno dura la vita di una di loro, le altre dovranno trovare un’alternativa. La più anziana ha 32 anni ed è rimasta vedova da poco con tre bambini di 3, 11 e 12 anni da crescere. La più giovane ha 19 anni e tra poco diventerà madre per la prima volta. L’ideatore del concorso è un giovane regista norvegese, Morten Traavik, collabora con lui Maria Nazareth Neto, supervisore del governo angolano. La manifestazione vuole ufficialmente sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema delle mine antiuomo facendo sfilare dieci ragazze che ne hanno pagato il prezzo.

di Giuseppe Zaccagni

Il vertice del 29-30 marzo nella capitale siriana è il 20esimo per il mondo arabo ed ha come tema centrale l’analisi geopolitica dell’intera regione, con la questione israeliano-palestinese che domina a tutto campo (gli avvenimenti a Gaza e nei Territori, i seguiti di Annapolis e la questione libanese) proprio per il fatto che il presidente di Damasco, Assad, spera di rilanciare il suo ruolo nell’area e vedere così confermata la linea decisa di comune accordo con gli alleati arabi lo scorso anno a Riyadh. E precisamente una normalizzazione dei rapporti con Israele, ma solo a patto che lo stato ebraico si ritiri da tutti i territori arabi e palestinesi, incluse le alture del Golan, occupate durante la Guerra dei sei giorni del 1967. La situazione generale, intanto, si caratterizza per le molte incognite che si delineano in queste ore di vigilia. Tanto che gli oltre 900 giornalisti arabi, che sono pronti a seguire i lavori del summit, s’interrogano sul senso dell’incontro fornendo valutazioni ed analisi che evidenziano contrasti di ogni genere.

di Michele Paris

“Ricordo benissimo quel viaggio in Bosnia. Atterrammo sotto il fuoco dei cecchini. Avrebbe dovuto esserci una cerimonia di accoglienza all’aeroporto ma fummo costretti a correre sulla pista tenendo le nostre teste abbassate per raggiungere le auto della scorta che dovevano condurci presso una base militare nelle vicinanze”. Con queste parole la candidata alla nomination democratica, Hillary Rodham Clinton, aveva ricostruito la scorsa settimana le circostanze della sua visita a Tuzla nel marzo del 1996 in qualità di First Lady. Il resoconto di un atterraggio avvenuto in condizioni di estremo pericolo rientrava nella strategia messa in campo dalla Senatrice di New York volta ad accreditarsi l’esperienza necessaria per poter ambire alla Casa Bianca in situazioni di crisi internazionale. Dei rischi che Hillary avrebbe corso in quell’occasione non vi è però traccia nei documenti ufficiali; né, d’altra parte, quanti erano presenti in Bosnia quel giorno di 12 anni fa ricordano alcuna minaccia di fuoco nemico.

di Alessandro Iacuelli

La notizia, per chi ha memoria, è di quelle che potrebbero lasciare il segno: la corte d'appello federale degli Stati Uniti, a quanto ci risulta per la prima volta, fornisce un segno di speranza per Mumia Abu-Jamal, annullando la condanna a morte del giornalista radiofonico afroamericano il cui caso è da oltre venti anni una bandiera per il movimento internazionale contro la pena capitale. Sia chiaro: Abu-Jamal non ha affatto ottenuto una grazia. I tre giudici della Corte d'appello del Terzo circuito hanno ritenuto valido il suo verdetto di colpevolezza per l'uccisione di un poliziotto. Questo significa che lo stato della Pennsylvania, che ha la competenza territoriale del suo caso, può decidere di commutare la pena in ergastolo, oppure riaprire un procedimento entro 180 giorni per stabilire se Abu Jamal dovrà essere condannato a morte o al carcere a vita. In pratica, si apre la possibilità di celebrare un nuovo processo che potrebbe concludersi con una diversa sentenza.


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